La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 17 maggio 2016

Come la Turchia è diventata una dittatura "de facto"

di Alon Ben-Meir
Le dimissioni forzate del primo ministro turco Ahmet Davutoğlu suggeriscono una cosa sola: il presidente Erdoğan, totalmente assorbito dalla sua brama di potere, non tollererà più nessuno nel suo governo che si discosti dalle sue posizioni politiche. Il primo ministro Davutoğlu non ha fatto eccezione. Anche se la costituzione turca garantisce al primo ministro pieni poteri esecutivi, lasciando al presidente un ruolo prevalentemente cerimoniale, non è questo ciò che Erdoğan aveva in mente quando ha chiesto all’allora primo ministro Davutoğlu di formare un nuovo governo dopo le ultime elezioni. L’ambizione di Erdoğan e la linea aggressiva nel voler diffondere la sua agenda islamica sono i fattori che hanno determinato ogni sua mossa politica. Cercare di trasferire a livello costituzionale il potere esecutivo del paese alla presidenza è l’ultimo passo verso il consolidamento legale del suo potere, nonostante questo potere sia già stato da lui esercitato durante i suoi undici anni da primo ministro.
Per più di 15 anni, Davutoğlu è stato un fedelissimo di Erdoğan – prima come suo primo consigliere di politica estera, poi come ministro degli Esteri e, negli ultimi due anni, come primo ministro scelto personalmente dal presidente.
Erdoğan ha scelto Davutoğlu per questa carica proprio perché si aspettava che questi continuasse ad essere il suo “Yes man”. Dovendo egli assumere la leadership dell’AKP in quanto primo ministro, Erdoğan si aspettava che Davutoğlu spingesse per la trasformazione del ruolo cerimoniale del presidente a carica più potente a livello di potere esecutivo in Turchia; trasformazione che Davutoğlu ha promosso in maniera tiepida, visto che ciò avrebbe diminuito in modo considerevole il suo potere a livello costituzionale.
Non a caso, una volta assunta la presidenza, Erdoğan ha continuato a presiedere le riunioni di gabinetto e ha anche stabilito un governo-ombra con una manciata di consulenti di fiducia. Ha volutamente messo da parte Davutoğlu, che si è silenziosamente risentito per l’usurpazione da parte di Erdoğan del suo ruolo e delle sue responsabilità di primo ministro, come se nulla fosse cambiato.
La premiership è diventata una carica meramente cerimoniale e la presidenza si è invece trasformata in un ufficio potentissimo, senza alcun emendamento costituzionale formale che gli conceda legalmente l'autorità assoluta che sta attualmente esercitando.
Ho conosciuto Davutoğlu da quando era il capo consigliere di Erdoğan e l’ho trovato un uomo di integrità e visione, sempre dalla parte dei moderati, impegnato a rendere la Turchia un potenza stabilizzatrice a livello regionale e un attore importante sulla scena internazionale.
Ho avuto molte opportunità di parlare con Davutoğlu faccia a faccia sulle relazioni tra Turchia e Israele, dato che sono stato attivamente coinvolto dietro le quinte per mitigare il loro conflitto derivante dall’incidente della Mavi Marmara.
In un'altra occasione, ho organizzato dei negoziati di pace israelo-siriani con mediazione turca, non solo per la sua vicinanza e (all’epoca) per i buoni rapporti con Siria e Israele, ma anche perché sapevo che Davutoğlu sarebbe stato l'interlocutore ideale.
Inoltre, giocando un ruolo del genere, Davutoğlu è stato anche molto coerente nell’impegno a realizzare la sua filosofia politica di 'zero problemi con i vicini', che ha inizialmente portato a relazioni amichevoli e di cooperazione della Turchia con la maggior parte dei suoi vicini.
L'ambizione di Erdoğan di diventare il perno della regione attraverso il suo approccio politico sfrontato, invece, non ha fatto altro che creare problemi con tutti i paesi vicini. Un ex funzionario turco di massimo livello mi ha detto che se a Davutoğlu fosse stata data la possibilità di portare avanti la sua visione di politica estera, oggi la reputazione regionale della Turchia sarebbe completamente diversa.
Nel corso degli ultimi due anni, tuttavia, molti conflitti tra i due hanno cominciato ad emergere. Mentre Davutoğlu, nel tentativo di trovare una soluzione, ha cercato di rinnovare i negoziati di pace con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), Erdoğan non solo ha rifiutato, ma ha promesso di combattere fino all'uccisione dell'ultimo dei ribelli del PKK.
Inoltre, anche se Davutoğlu non ha mai criticato Erdoğan pubblicamente sui sistematici attacchi alla libertà di stampa, sull'incarcerazione dei giornalisti, e sulle violazioni dei diritti umani, non era d'accordo su queste misure illecite e non è riuscito nello sforzo di persuadere il suo capo ad alleggerire la pressione sulla stampa.
L'insistenza di Erdoğan nel voler mettere a tacere qualsiasi critica e la costante erosione di ciò che resta della democrazia turca ha praticamente sigillato (contrariamente a ciò che viene detto pubblicamente) ogni prospettiva per la Turchia di diventare un membro dell'UE; prospettiva che Davutoğlu ha cercato di realizzare con zelo.
Oltre a tutto ciò, Erdoğan sta ora cercando di togliere ai parlamentari curdi che si battono per la semi-autonomia l’immunità politica, questo per consentire il loro processo per legami con il PKK:Davutoğlu ha obiettato in privato. Ora, viene lasciato al prossimo Primo Ministro il compito di realizzare questo progetto illegale volto a soddisfare la draconiana volontà di Erdogan.
Infine, mentre Davutoğlu era impegnato nel suo tentativo di raggiungere un accordo con l'Unione Europea per riportare in Turchia i migranti illegali in cambio della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi nella regione di Schengen, Erdoğan ha sminuito pubblicamente gli sforzi di Davutoglu per privarlo di tutti i vantaggi politici che potrebbero derivare dal suo successo.
Il leader del Partito Popolare Repubblicano dell'opposizione, Kemal Kilicdaroglu, ha condannato il modo in cui Davutoğlu è stato tagliato fuori, affermando che "le dimissioni di Davutoğlu non devono essere percepite come una questione interna di partito. Tutti i sostenitori della democrazia devono resistere a questo golpe".
È interessante notare che, in quello che è stato considerato come un discorso di addio al parlamento, Davutoğlu ha dichiarato che "nessuno ha mai sentito una parola contro il nostro presidente uscire dalla mia bocca, dalla mia lingua, dalla mia mente, e nessuno lo farà."
Per me e per molti altri osservatori le parole di Davutoglu hanno espresso l'esatto contrario di quello che sembrava voler dire: cioè, che Erdoğan è al di là di ogni critica. Non c'era un modo più diplomatico di dirlo per non essere accusato da Erdoğan di tradimento, come succede abitualmente a chiunque si opponga alle sue posizioni politiche, qualsiasi sia questione.
A causa degli scossoni politici in tutto il Medio Oriente, dell'afflusso di milioni di rifugiati siriani e della battaglia contro l'ISIS, il ruolo della Turchia è diventato sempre più importante.
Anche se gli Stati Uniti e l'Unione Europea sono irritati dall'assurda condotta di Erdoğan, si sentono costretti a trattare con lui, per quanto ciò possa risultare sgradevole. Lasciando ad Erdoğan la possibilità di drenare ogni oncia di sangue delle potenze occidentali al fine di servire la sua agenda personale.
Quando la Costituzione viene utilizzata come strumento per prendere il potere, quando le teorie del complotto giustificano una crudele caccia alle streghe, quando le persone sono terrorizzate a parlare pubblicamente di politica, quando i giornalisti sono detenuti senza processo, quando la comunità accademica viene regolarmente attaccata, quando i diritti umani vengono gravemente violati, e quando i principi democratici vengono calpestati, tutto ciò non rappresenta solo una mera farsa per la Turchia, ma una vera e propria tragedia.
Con la partenza di Davutoğlu, e con un timbro di gomma dell'AKP, la Turchia è diventata una dittatura de facto, non essendoci più nessuno ad ostcolare Erdoğan.
E' un giorno triste per il popolo turco, dato che il paese è ora governato da un dittatore spietato senza un sistema di controlli, senza responsabilità e senza alcuna prospettiva di cambiamento, almeno finché Erdogan rimane al potere.
Il popolo turco dovrebbe ancora una volta scendere in piazza, ma questa volta dovrebbe resistere fino a che Erdogannon cede o si dimette.
In caso contrario, la Turchia continuerà a correre rapidamente verso un futuro sempre più tetro, in cui la libertà apparterrà al passato e in cui un regime autoritario guidato da un spietati leader sarà una realtà consolidata.

Traduzione a cura di Riccardo Venturi
Fonte: tpi.it

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