La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 3 luglio 2016

Cosa farà la sinistra da piccola?

di Daniela Preziosi
Giornata di autocoscienza per la sinistra, quella di sabato alla Casa internazionale delle donne di Roma, magnifica location dei nobili natali della pratica femminista. Ma l’afa è sfiancante e il morale è basso. Dalla batosta quasi generale delle comunali è la prima volta che le tante sfumature di rosso, viola e tutto l’arcobaleno delle «pratiche» ragionano insieme sul «perché non ci hanno votato», per farla breve con Luciana Castellina. Domandone. Ma la vecchia cara analisi del voto deve spingersi assai più indietro dell’ultima tornata elettorale, quindi la risposta non arriverà in un giorno. Arrivano però tanti sguardi, tanti punti di vista sul fattaccio. Questa parte politica si è presentata unita quasi ovunque.
Ma l’unione era frettolosa e infatti oggi non ha un punto di vista comune neanche su quello che è successo nelle grandi città: se a Milano o a Cagliari è stata sconfitta nonostante la vittoria; o se le sconfitte di Roma e Torino dove ha stravinto M5S in realtà però dicono «che siamo dalla parte giusta della faglia», come assicura Stefano Fassina, ex candidato sindaco al Campidoglio. Cioè dalla parte del voto anti-establishment e anti-Pd. Proprio per questo sorprende quanto poco si parli di un tema che il resto del mondo ritiene cruciale e cioè il referendum di ottobre e la campagna per – detto anche qui in breve – mandare a casa Renzi. Così dopo aver ceduto i suoi voti ai 5 stelle, ora questa sinistra rischia di non essere neanche la protagonista della caduta del presidente del consiglio, che pure auspica.
Vola assai più in alto la relazione introduttiva di Maria Luisa Boccia, presidente del Centro Riforma dello Stato, mette a fuoco la sinistra che «non ha una visione» e deve ricostruire un pensiero critico, per questo non riesce a trovare un rapporto con i soggetti della rivolta sociale, anzi si perde in stucchevoli dispute fra «sociale» e «politico» e in anacronistici slogan sulla priorità dei diritti sociali su quelli civili.
I toni sono amichevoli, è come se la sinistra fosse ormai anche stanca anche di litigare. Ma si misurano distanze ragguardevoli.
Qualche nodo, a titolo di esempio. Gli organizzatori, i deputati di Sinistra italiana Giulio Marcon e Giorgio Airaudo (quest’ultimo ex candidato sindaco a Torino) hanno voluto convocare «uno spazio unitario dove possano convivere culture e pratiche diverse, da quelle sociali a quelle di partito, da quelle di movimento alla cittadinanza attiva, che lavorano per lo stesso obiettivo, capace di connettere sia i nuovi che i tradizionali insediamenti sociali» contro le politiche neoliberiste. E invece Castellina obietta che «la parola spazio ricorda quella di una piscina in cui ciascuno galleggia da solo. Le diversità sono ricchezze solo se ci si propone di superarle, se ciascuno accetta di mettersi in discussione». Sullo sfondo, per una parte della platea, c’è il prossimo congresso di Si, formazione ancora non nata ma già incagliata in un difficile dibattito interno.
Altro tema, i 5 stelle. C’è chi come il comunista Paolo Ferrero (è segretario del Prc), racconta senza complessi di aver votato per loro al secondo turno. Ma anche chi dice che dei 5 stelle «bisogna combattere l’idea che democrazia sia sempre quello che decide il popolo, Brexit piuttosto è l’espressione della crisi della democrazia». E qui invece Fassina replica che la working class inglese ha votato Brexit; e che«è impossibile difendere un’Unione europea irriformabile perché fondata sulla svalutazione del lavoro». Ancora Fassina spiega che nonostante la sconfitta nelle città, «siamo dalla parte giusta perché abbiamo rotto con 25 anni di centrosinistra subalterno al liberismo e di una sinistra concentrata sui diritti civili e distratta da quelli sociali». Affermazione indigesta per i molti che hanno passato gli scorsi 25 anni a provare a fermare il Pds-Ds-Pd dall’opera di demolizione dei diritti sociali. E ugualmente inascoltabile per le molte femministe in sala (Bianca Pomeranzi, Bia Sarasini, siamo a casa loro del resto) per le quali l’affermazione suona come un tuffo nel passato perché «i diritti non sono divisibili». Prende parola anche la sinistra Pd: Walter Tocci riflette sull’origine della scarsa mobilitazione in Italia. Gianni Cuperlo invita le sinistre a «riconoscere l’altro come indispensabile». Ma è, anche quest’ultimo, un discorso delicato. Fassina infatti è «preoccupato dall’eccitazione sul possibile cambio dell’Italicum, qualcuno» ce l’ha col suo stesso partito «pensa che sconfitto Renzi e caduto l’Italicum si aprano praterie?». E Nicola Fratoianni spiega che ritocchi all’Italicum non servono, la legge va cancellata, serve il proporzionale.
Ci sono le voci delle associazioni, fra le altre Sbilanciamoci!, Banca Etica, Antigone, Rete della Conoscenza, Movimenti per l’Acqua, No TTIP, Arci, Rete Disarmo. La preoccupazione è che questi luoghi di confronto poi non si richiudano lasciando ciascuna «sinistra» sola con se stessa, ne servirebbe una intera e grande «di tutte e di tutti, capace di dare pari dignità a tutte le sue forme ed espressioni». Applaude Ferrero, da sempre contrario al partito unico «perché non c’è nessuno in grado di crescere su se stesso, dobbiamo fare un processo in cui uno vale uno». Già sentita, sì: dai 5 stelle.

Fonte: Il manifesto 

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