La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 3 luglio 2016

La guerra nel Labour

di Paolo Rizzi
Un leader di sinistra per un partito centrista, questa è sempre stata la contraddizione di Corbyn. Dopo il referendum sulla Brexit, la contraddizione è diventata guerra aperta. È guerra aperta con il gruppo parlamentare laburista che ha “sfiduciato”Jeremy Corbyn con 170 voti contrari, quaranta a favore e quattro astenuti. Non è certo una novità che il gruppo parlamentare non abbia fiducia nel leader, anzi, i quaranta favorevoli sono più di quelli organici all’ala sinistra del partito. Il voto del gruppo parlamentare non ha nessuna valenza legale nel partito, ma indica che la burocrazia del partito è pronta a proporre una candidatura alternativa alla base del partito. La rottura col gruppo parlamentare è stata talmente netta che Corbyn non ha neanche assistito allo spoglio dei voti, preferendo un comizio nella piazza del parlamento, dove migliaia di sostenitori del Labour e dei sindacati sono in presidio permanente per chiedere la fine del colpo di stato.
“Sono stato eletto col mandato di affrontare la grande questione del nostro tempo: affrontare la disuguaglianza tra ricchi e poveri” ha affermato Corbyn e, parlando del risultato del referendum, ha aggiunto che “ci sono comunità dove c’è un senso di impotenza, da quando è stata distrutta l’industria mineraria. I centri commerciali che sorgono dove una volta c’erano le miniere dicono tutto di cosa sia l’Inghilterra oggi”.
La guerra nel Labour
Una nuova elezione per la leadership nel Labour è inevitabile. Mentre quest’articolo viene scritto, si contendono il ruolo di alternativa a Corbyn Angela Eagle, rappresentante del “centro” del Partito con all’attivo un posto da “ministro junior” delle finanze durante il governo di Gordon Brown e Tom Watson, già ministro per l’innovazione digitale e presidente dei Sindacalisti Amici di Israele.
Corbyn e i suoi alleati nei sindacati non intendono ritirarsi, anzi, rilanciano. Il suo mandato come leader è stato quello di affrontare la disuguaglianza economica ed egli intende svolgerlo nelle nuove condizioni poste dal processo di uscita dall’Unione Europea. Nell’elezione della leadership, Corbyn ha il sostegno dei sindacati, sia quelli schierati per la permanenza nell’Unione Europea (come la confederazione UNITE), sia quelli che hanno fatto campagna per l’uscita (come i ferrovieri di RMT).
Non a caso, nel nuovo Governo Ombra di Corbyn, i dimissionari, e i licenziati, della destra del partito vengono sostituiti con personaggi provenienti dal sindacato. Ai trasporti va Andy McDonald, da molto tempo il principale sostenitore della nazionalizzazione delle ferrovie. Dal sindacato UNITE vengono i responsabili per le finanze (Rebecca Long-Baily), per la cooperazione internazionale (Kate Osamor) e per l’ambiente (Rachel Maskell). Responsabile per l’Irlanda del Nord è Dave Anderson, vent’anni da minatore e poi presidente del sindacato UNISON.
La destra labourista sa che una battaglia contro le organizzazioni di base del Labour è difficile. Dei circa 400mila iscritti al partito, almeno 250mila sono iscritti attraverso i sindacati che sostengono Corbyn. Molti altri sono iscritti ai gruppi di base che stanno manifestando contro il golpe nel Labour. Per questo, prima della corsa per la leadership, si sta scatenando un caso legale sulla possibilità stessa che Corbyn si possa presentare. Secondo l’interpretazione di destra, Corbyn dovrebbe raccogliere cinquanta firme tra deputati ed eurodeputati e, a ora, sono solo quaranta i fedelissimi. Secondo l’interpretazione della sinistra, il leader uscente ha il diritto a presentarsi senza raccogliere firme.
È possibile un’uscita da sinistra?
Il golpe interno al Labour sembra un favore fatto apposta ai Conservatori. Dopo la Brexit, il premier Cameron si è dimesso. Il partito conservatore, diviso tra remain e leave, sembra il classico apprendista stregone incapace di gestire le forze che ha evocato, i candidati alla leadership si moltiplicano. In pratica, i conservatori non sono in grado di guidare il paese, le elezioni anticipate sarebbero la soluzione più logica per stabilire chi e come debba gestire l’uscita dall’UE. Non a caso Tony Blair si sta adoperando affinché il Labour non sia nelle condizioni di gestire un’uscita da sinistra.
Il giornalista Paul Mason ha comunque elaborato un piano per un’uscita progressista - ProgrExit - dall’Unione Europea che metta la giustizia sociale e la democrazia al centro delle negoziazioni sulla Brexit [1]. I punti fondamentali della ProgrExit sono:
Accettare la Brexit, non perdere tempo con l’idea di un nuovo referendum o di uscire per rientrare in tempi brevi;
Premere per elezioni a Novembre, i negoziati non possono essere condotti dai conservatori, lacerati e con un programma ultraliberista;
Offrire un patto elettorale ai nazionalisti scozzesi e gallesi e ai verdi per gestire la Brexit da sinistra. In particolare, agli scozzesi va garantita la possibilità di formare uno stato autonomo in cambio dell’appoggio alla ProgrExit;
Ridefinire il rapporto col Mercato Unico Europeo e con la mobilità delle persone all’interno dell’Europa. Se si esce dall’Unione Europea, si deve riconsiderare la libera circolazione. La circolazione dovrebbe essere gestita in maniera umana e generosa, ma comunque controllata.
Garantire l’indipendenza scozzese e limitare la libertà di circolazione delle persone sono cambiamenti enormi per la mentalità della sinistra; d’altra parte, il paese ha appena votato per l’uscita dall’Unione Europea. È tempo di cambiamenti enormi.


Fonte: La Città futura 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.