di Fulvio Parisi
Nell’ambito della campagna di raccolta firme per i referendum sociali è stata promossa dal Forum dei Movimenti per l’acqua una petizione popolare che, al di là della quantità di firme raccolte (230.000 a fronte delle 50.00 previste dall’art 71 della Costituzione) è significativa soprattutto per un aspetto: chiede il ritiro dei decreti Madia che promuovono la privatizzazione dei servizi pubblici locali, in spregio dell'esito referendario del 2011 e in contraddizione con il principio stabilito dalla legge delega in cui si sanciva che tale esito dovesse essere rispettato e, contestualmente, la costituzionalizzazione del diritto all’acqua.
Il diritto all’acqua, dunque, come diritto umano fondamentale in quanto costituisce un presupposto della condizione umana stessa così come già esplicitato dall’Ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani a settembre 2007: "È ormai tempo di considerare l'accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all'accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico - per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa - allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute.Gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all'uso personale e domestico dell'acqua al di sopra di ogni altro uso e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questo quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno la possa raccogliere ad una distanza ragionevole dalla propria casa”
Siamo ormai in piena campagna referendaria per il NO alla “deforma” costituzionale e i due temi (blocco della privatizzazione dei servizi pubblici locali e costituzionalizzazione dell’acqua) sono altre due frecce al nostro arco contro chi, con le modifiche che intende apportare alla Costituzione, si propone di bloccare ogni forma di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica affinché i diritti fondamentali siano solo formali.
È dunque possibile, anche con il blocco della riforma Madia e con la rivendicazione della costituzionalizzazione del diritto all’acqua, partire al contrattacco: non chiediamo una semplice difesa della Costituzione ma ne rivendichiamo l’applicazione (dal diritto al lavoro, alla tutela della salute, alla scuola pubblica) e l’estensione ovvero l’introduzione di nuovi diritti. È infatti evidente che la “deforma” costituzionale, insieme con la nuova legge elettorale (“Italicum”), intende riallineare l’assetto istituzionale alla negazione dei diritti sociali e ambientali perpetrati negli ultimi decenni (al “Jobs Act”, alla “buona scuola”, alle devastazioni ambientali imposte dal decreto “Sblocca Italia” transitando per le tante riforme pensionistiche che si sono via via succedute). Un riallineamento che non può che essere di natura autoritaria e che non prevede alcuna partecipazione dei cittadini “dal basso” né tantomeno un decentramento di ruoli e competenze alle autonomie locali.
Con questo approccio si rende necessario un salto di qualità: dal NO “tecnico” al NO sociale e costituente che vede nella ripresa della conflittualità sociale l’asse portante della campagna referendaria.
L’11 settembre a Roma ci confronteremo su questi temi a partire dall’appello del Forum dei Movimenti per l’acqua nel corso dell’assemblea nazionale “Promuovere i beni comuni, fermare il decreto Madia” .
Fonte: La Città futura
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