di Giorgia Furlan
Ogni anno in Brasile sono 30.000 i giovani uccisi. E solo nel 2012 gli assassini da parte delle forze dell’ordine sono stati 56.337, un dato che rivela come questa mattanza abbia ormai assunto le proporzioni di una vera e propria guerra. Una guerra che nel 77% dei casi amma giovani neri, nel 93% dei casi uomini. L’età media delle vittime si colloca fra i 15 e i 29 anni. Nonostante le denunce fatte dalle ong per esempio proprio nel 2014 quando il Brasile ha ospitato i mondiali di calcio, il massacro di giovani brasiliani di colore non si arresta.
Anzi negli ultimi tempi, in seguito dalla crisi politica che ha investito il Paese, la situazione è addirittura peggiorata. Soprattutto dopo la sospensione del presidente Dilma Rousseff e la nomina al vertice del Ministero della Giustizia di Alexandre de Moraes, già capo della polizia nello stato di San Paolo e principale responsabile della repressione delle proteste studentesche e sociali.
Anzi negli ultimi tempi, in seguito dalla crisi politica che ha investito il Paese, la situazione è addirittura peggiorata. Soprattutto dopo la sospensione del presidente Dilma Rousseff e la nomina al vertice del Ministero della Giustizia di Alexandre de Moraes, già capo della polizia nello stato di San Paolo e principale responsabile della repressione delle proteste studentesche e sociali.
Per questo Amnesty International ha scelto di sfruttare l’attenzione mediatica portata sul Paese dalle Olimpiadi e chiedere che le violenze non vengano perpertrate oltre. «È sconvolgente vedere quanto a Rio e in altre città brasiliane gli omicidi ad opera della polizia continuino a ritmo quotidiano» ha commentato Atila Roque, direttore di Amnesty International Brasile.
Quando Rio de Janeiro ha presentato la sua candidatura per ospitare le Olimpiadi del 2016, sono stati presi una serie di impegni come parte dell’eredità dei Giochi, uno dei quali era creare migliori condizioni di sicurezza per tutte le persone della città, dello stato e del paese.
Tuttavia, vari casi emblematici documentati da Amnesty International e da altre organizzazioni per i diritti umani, insieme alle statistiche ufficiali disponibili riguardanti le violazioni commesse da forze dell’ordine, mostrano un quadro diverso. Gli organizzatori non hanno mantenuto le condizioni promesse, e si stanno ancora verificando violazioni dei diritti umani nell’ambito di operazioni di sicurezza pubblica. È elevato il rischio che aumentino i casi di violazioni commesse come effetto diretto dello svolgimento delle Olimpiadi. Gli ultimi dati diffusi da Amnesty sono allarmanti: si è realizzato infatti un aumento del 103% nel tasso di omicidi a opera della polizia a Rio de Janeiro tra aprile e giugno del 2016 rispetto al 2015. Secondo l’Istituto di sicurezza pubblica dello Stato di Rio de Janeiro, la polizia della città ha ucciso 49 persone nel giugno 2016, 40 a maggio e 35 ad aprile – più di una al giorno.
Guardando le statistiche emerge infatti che dal 2009, quando Rio ha vinto la gara per ospitare i Giochi Olimpici, la polizia ha ucciso più di 2.600 persone in città.
Secondo i membri delle ong impegnati in Brasile: «La mancanza di protocolli chiari per controllare l’uso della forza letale e un approccio di sicurezza pubblica totalmente errato stanno facendo ripetere in Brasile i fallimenti dei Mondiali di calcio del 2014. Inoltre gli omicidi della polizia sono aumentati del 40% nel solo stato di Rio de Janeiro e le autorità hanno fatto ben poco per invertire la rotta. La responsabilità deve essere condivisa con l’ufficio del pubblico ministero, che ha il compito di controllare l’attività della polizia e presentare accuse sui casi di omicidi commessi dalla polizia». Una resposabilità che viene individuata e punita solo nell’8% dei casi, in tutti gli altri gli assassini in genere rimangono impuniti, liberi di esercitare nuovamente il loro ruolo istituzionale con la medesima brutalità.
La petizione e raccolta firme lanciata da Amnesty per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema ha già raccolto oltre 120mila firme, ma ancora molto resta da fare perché non si ripetano più storie come quelle di Roberto, Wesley, Wilton, Raphael e tanti altri.
111 spari per 5 ragazzi che cercavano un posto in cui cenare
La notte del 28 novembre 2015, cinque giovani neri di età tra i 16 e 25 anni stanno viaggiando a bordo della loro auto cercando un posto dove cenare dopo aver passato la giornata insieme come fanno gli amici in ogni parte del mondo. Quando la macchina passa di fronte agli agenti del 41o Battaglione di Polizia Militare nella periferia di Costa Barros, a Rio de Janeiro, Roberto de Souza Penha, di 16 anni, Wesley Castro Rodrigues, di 25, Wilton Esteves Domingos Junior, di 20, Cleiton Corrêa de Souza, di 18 e Carlos Eduardo da Silva Sousa, di 16, vengono colpiti da una raffica di 111 colpi di pistola. 111 colpi, 5 ragazzi morti. Mentre cercavano solo un posto dove cenare.
Morire a 5 anni
Il 2 aprile, un bambino di cinque anni viene ucciso durante un intervento della Polizia Militare a Magé, municipio dell’area metropolitana di Rio, e altre due persone vengono ferite. Nelle prime settimane di aprile 2016, sono almeno 11 le persone che perdono la vita nelle periferie di Rio. Colpevoli di nulla.
Le operazioni di sicurezza pubblica a Rio de Janeiro sono operazioni di polizia eccessivamente repressive che si giustificano con la logica dello scontro nella cosiddetta “guerra contro la droga” e causano un elevato numero di perdite umane, agenti di polizia compresi. Tra il 2006 e 2015, 228 agenti di polizia civile e militare sono stati uccisi in servizio nello stato di Rio de Janeiro. Nel 2015 c’è stato un aumento del 66,6% rispetto al 2014. La situazione è sfuggita di mano a tal punto alle autorità che però può accadere di essere arrestati perché in possesso di detersivo.
Raphael trafficante di detersivo
Rafael Braga, un giovane di 27 anni, all’epoca senza tetto, viene arrestato dopo una manifestazione che si svolge a Rio de Janeiro il 20 luglio del 2013. Con sé ha due bottiglie di un prodotto utilizzato per le pulizie. La polizia lo ferma e lo mette in carcere, l’accusa con cui viene portato davanti al tribunale è “possesso di ordigno esplosivo o incendiario non autorizzato”. Il verdetto arriva nel dicembre del 2013, Rafael è dichiarato colpevole e condannato a 5 anni di carcere. Nel frattempo il rapporto giudiziario redatto per il caso arrivò alla conclusione che le sostanze chimiche in suo possesso non sarebbero mai potute essere utilizzate per fabbricare esplosivi, ma il tribunale per emettere la sentenza preferisce non tenere conto della perizia. Uscito dal carcere anni dopo Rafael viene nuovamente arrestato, nel gennaio del 2016 con la falsa accusa di essere un trafficante di droga. L’unica prova presentata in tribunale contro di lui è la dichiarazione di un agente di polizia militare. La parola di un uomo contro la parola di un altro uomo. Rafael Braga al momento è ancora in carcere in attesa di giudizio.
Fonte: Left
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