La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 13 agosto 2016

La santera che amava Che Guevara

Intervista a Adelaida Victoria de la Caridad di Geraldina Colotti 
Artigli coloratissimi e sigaro in bocca, la Santera giganteggia nella piazza dell’Avana. Sul banchetto ha un cartello che dice «Dalle persone false chiedo solo una cosa: distanza». Ci invita a sedere, si presenta. «Mi chiamo Adelaida Victoria de la Caridad, ho 73 anni, 8 figli, 18 nipoti e 6 pronipoti, per via del sigaro mi chiamano señora Avana, ho visto varie epoche di questo paese. Sono santera da 60 anni e sto bene con la rivoluzione».
Perché?
"Tutti i miei figli hanno potuto studiare, siamo una famiglia di musicisti e ballerini. Da piccola ho visto tanta povertà, analfabetismo. Quelli che vogliono il capitalismo, il consumismo, sono una minoranza, il popolo sa quello che perderebbe. Ricordo un’immagine del Che. Era il 1960. Noi ragazze sapevamo che si trovava al porto dov’era arrivata una nave di riso dalla Cina. Tutti davano una mano a scaricare.
Decisi di andare anch’io, ma non per aiutare, per vederlo. Prima, mi feci preparare un biglietto per lui dalla santeria. Quando lo vidi, carico di sacchi e senza maglietta, gli dissi: «Quanto sei bello con quei sacchi». Rispose: «Qui di bello c’è solo il lavoro, mettiti a lavorare che vedi il bello». Mi sono messa a lavorare. Poi, il Che si sedette su una cassa a riposare e a fumare il sigaro. Anch’io fumavo il sigaro. Mi fece accendere… Tutta quella magia non si è spenta, chi arriva sull’isola se ne accorge."
Ha conosciuto anche Fidel?
"Non personalmente, ma la santeria è molto legata a lui. E sono circolate molte storie sulla sua relazione con la religione di Ocha, soprattutto dopo quel viaggio in Guinea in cui lo si è visto vestito di bianco, si è detto che in quel periodo si era fatto santo. Nella santeria bisogna seguire un percorso che prevede una serie di divieti.
Io amo molto la cultura yoruba, che non nasce a Cuba ma in Nigeria, dove gli yoruba vivono da secoli. Quando arrivarono qui gli spagnoli distrussero gli aborigeni e tutti i gruppi etnici, poi dovettero importare gli schiavi africani. Vennero deportati a Cuba bantu, mandinga, yoruba… Ogni gruppo ha portato la sua cultura, la sua religione, i canti al Dio che si chiama Oricha. Oggi, circa il 70% dei cubani pratica la santeria, ma allora il culto era proibito dai colonialisti e i santi cattolici vennero sincretizzati con quelli africani."
Ma né le donne né i gay possono diventare Babalao
"No, il gran sacerdote è sempre un uomo, i gay – e ce ne sono molti nella santeria – possono essere padrini, ma non Babalao. E ci sono molte donne nella santeria, anche la rivoluzionaria Celia Sanchez ne faceva parte. E’ un culto antico, praticato nelle società patriarcali basate sulla forza dei cacciatori che provvedevano al mantenimento della famiglia e che da vecchi passavano il sapere e la saggezza a un altro uomo.
Il Babalao è una divinità umana. E’ un culto che però ci dà molta forza. Molti Babalao hanno partecipato alla rivoluzione. Quando Fidel si è ammalato, tutta la santeria ha fatto scudo. Ci siamo riuniti per Chavez. Questo popolo è fidelista e anche quando Fidel morirà resterà sempre in ogni uomo, in ogni donna o bambino che cammina per le strade di quest’isola e dell’America latina: come Gesù Cristo, come Bolivar, come Ho Chi Min, come Chavez… come tutti quegli uomini che sono stati forti e hanno rivoluzionato la storia."

Fonte: il manifesto 

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