La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 12 agosto 2016

Serbia-Croazia, rapporti difficili e nazionalismi esasperati

di Francesca Rolandi
Il 18 luglio scorso la Serbia ha aperto i capitoli 23 e 24 per l'accesso all'Unione Europea superando il blocco frapposto dalla Croazia sino ad allora, e dopo che, poco meno di un mese prima, vi era stata una dichiarazione congiunta dei due presidenti, Kolinda Grabar Kitarović e Aleksandar Vučić, che a Subotica avevano espresso il loro impegno per un miglioramento delle relazioni bilaterali e la risoluzione delle controversie ancora aperte.
Tuttavia, a circa 6 settimane di distanza da quest'incontro, i rapporti tra i due vicini hanno di nuovo toccato uno dei punti più bassi della loro storia recente, come appare dalla guerra delle note di protesta in corso: quattro ne ha inviate Belgrado nel giro di una settimana a Zagabria, che ha risposta a sua volta con una. Il premier Vučić ha inoltre indirizzato lettere alle maggiori cariche della Commissione europea con cui ha denunciato la situazione nella regione.
La vicenda Stepinac
Una delle questioni che hanno portato nuovo carburante al conflitto latente affonda ancora una volta le radici nella storia della Seconda guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra, un'epoca che, opportunamente strumentalizzata, si trova spesso ad agire con forza sul presente. Con un processo lampo durato solo 4 giorni e intrapreso su richiesta dei discendenti, è stata annullata la sentenza di condanna per collaborazionismo emessa nel 1946 dallo Stato jugoslavo a carico di Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria ai tempi dello Stato indipendente croato (NDH), successivamente promosso a cardinale da Pio XII.
Che quello contro Stepinac sia stato un processo politico in un momento di resa dei conti del regime nei confronti della Chiesa cattolica è indiscutibile, come incontestabilmente selettiva fu l'analisi delle prove da parte del procuratore Jakov Blažević, che ignorò documenti di provenienza occidentale secondo i quali l'arcivescovo avrebbe protestato con le autorità in occasione di alcuni dei peggiori massacri.
Tuttavia, ciò non allontana le ambiguità dalla figura dell'arcivescovo. Se i suoi difensori si appellano a una sua pretesa funzione esclusivamente religiosa nei termini del mandato durante lo Stato indipendente croato, quando venivano compiute conversioni forzate sul territorio di sua giurisdizione ecclesiastica, questa appare in contrasto con il fatto che Stepinac si schierò con forza contro il regime comunista nel dopoguerra.
La sua beatificazione da parte di papa Wojtyla nel 1998 ha incontrato forti resistenze da parte di settori sia ortodossi che ebraici che ne hanno sottolineato le supposte connivenze con il regime. La delicatezza della questione è testimoniata dal fatto che il Vaticano ha di recente creato una commissione mista cattolico-ortodossa per appurare alcune circostanze storiche della vita del cardinale in via di canonizzazione.
In una nota di protesta indirizzata da Belgrado a Zagabria l'annullamento della sentenza è stata definita una riabilitazione del fascismo e della Stato indipendente croato, attacco al quale il ministro degli Esteri croato Miro Kovač ha risposto accusando la Serbia e il suo ministro degli Esteri Ivica Dačić di utilizzare lo stesso vocabolario grande-serbo di Milošević in un tentativo gratuito di destabilizzare la Croazia in un momento delicato dopo lo scioglimento del parlamento e vicini alla commemorazione dell'operazione Tempesta.
Retaggi del passato
Interessante notare che nella disputa a confrontarsi sono due governi tecnici che dovrebbero occuparsi delle questioni contingenti, in attesa, da parte croata delle elezioni, da parte serba della formazione di un nuovo governo. Inoltre, l'annullamento della condanna si inserisce in un trend regionale in cui si è distinta anche la Serbia con la riabilitazione del leader del movimento cetnico Draža Mihailović, quella in corso di Milan Nedić, a capo del governo quisling serbo e la precedente canonizzazione del vescovo in odore di antisemitismo Nikolaj Velimirović.
La revisione di processi che furono senza ombra di dubbio un prodotto dell'atmosfera dell'epoca, lontani dallo stato di diritto, viene così trasformata in una popolarizzazione postuma di personalità che portano quantomeno responsabilità civili e morali per il conflitto interetnico scatenatosi durante la Seconda guerra mondiale.
Quanto il gioco dei ruoli della Seconda guerra mondiale incendi tuttora la scena politica in Croazia è testimoniato dal 75° anniversario dell'insurrezione antifascista, celebrata in Lika a Srb sotto uno stretto controllo della polizia per le provocazioni del Partito autoctono del diritto croato che dal mese precedente aveva presidiato la zona allo slogan “Abbiamo conquistato Srb”. Il leader Dražen Keleminac, al quale era stato proibito dalla polizia l'accesso al villaggio per sei mesi, ha guidato il blocco della statale della Lika e una protesta sul luogo del memoriale, tra simboli filoustascia e un tentativo di zittire il discorso di Stipe Mesić. L'ex presidente della Repubblica ha successivamente definito doloroso il fatto di doversi riunire dietro un fitto cordone di polizia per commemorare un evento che dovrebbe essere considerato un caposaldo nella costruzione dello stato croato.
La spinta verso la riabilitazione di ogni oppositore del passato regime comunista in Croazia ha di recente portato all'erezione di un monumento a Miro Barešić nel suo villaggio natale di Drage. Barešić, un emigrante croato appartenente al movimento filo-ustascia HNO [Hrvatki narodni otpor, Resistenza nazionale croata], assurse all'onore delle cronache nel 1971 per l'omicidio di Vladimir Rolović, ambasciatore jugoslavo in Svezia, paese nel quale fu condannato all'ergastolo. Dopo varie vicissitudini e uno sconto di pena, tornò in patria per unirsi all'esercito croato e morì nel 1991 in circostanze non chiare. Alla commemorazione hanno presenziato anche i ministri alla Cultura Zlatan Hasanbegović e quello ai Veterani Tomo Medved che lo ha definito uno dei più grandi patrioti croati.
Crimini di guerra
Per quanto le controversie di un passato più remoto lascino tuttora un segno sull'attualità politica, sono i crimini di guerra degli anni '90 a dominare la politica regionale. In questo contesto va inserita la decostruzione della condanna in primo grado a 10 anni emessa nel 2009 nei confronti di Branimir Glavašper crimini contro civili serbi a Osijek. Nel 2015 la sentenza è stata annullata dalla Corte costituzionale che l'ha rinviata all'Alta corte per un nuovo processo.
E proprio le indagini sui responsabili dei crimini di guerra perpetrati negli anni '90, oltre ad essere una ferita aperta nella società civile con un numero risibile di condanne in tutti i paesi coinvolti, sono alla base del principale argomento con il quale la Croazia ha cercato di bloccare l'accesso della Serbia all'Unione europea. Infatti, il principio della giurisdizione regionale dei tribunali serbi per tutti i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia viene aspramente contestato da Zagabria. Nel frattempo si è aperto un altro fronte di conflitto tra il Tribunale penale internazionale dell'Aja e Belgrado che rifiuta di consegnare tre membri del Partito radicale accusati di avere influito sui testimoni nel processo contro il loro leader Vojislav Šešelj, conclusosi con una piena assoluzione nel marzo 2016.
In questo contesto si prepara la commemorazione dell'Operazione Tempesta (Oluja) di oggi, emblema delle memorie divise dei due fronti: simbolo della vittoria e del recupero dell'integrità territoriale per la Croazia, della pulizia etnica contro i civili serbi per la Serbia. Un appuntamento che si prospetta divisivo non solo per i due paesi vicini ma anche per la stessa società croata.
Anche quest'anno la cerimonia sarà sdoppiata su due centri, Knin, ormai trasformatasi in un raduno della destra croata dove si terrà un concerto di Thompson, e Zagabria, dove si svolgerà la parte più istituzionale alla quale presenzieranno anche i rappresentanti del partito socialdemocratico.
A distanza di 25 anni dallo scoppio del conflitto, le relazioni tra Belgrado e Zagabria continuano a caratterizzarsi per un trend negativo e una conflittualità esasperata, dietro la quale si nasconde la mancante volontà delle rispettive classi politiche di confrontarsi con i lati oscuri della loro storia più o meno recente. Mentre è generalizzata la convinzione che il nazionalismo paghi in termini elettorali.

Approfondimenti - Croazia, il nazionalismo di Oluja
di Sven Milekić 

Il 21smo anniversario dell’operazione dell’esercito croato denominata Oluja (Tempesta), culminata il 5 agosto nella città di Knin – luogo simbolico della vittoria dell’esercito croato -, è trascorso più o meno come lo scorso anno. Benché grazie all’operazione Oluja, nel 1995, fu riportato sotto controllo oltre il 18% del territorio croato, controllato per quattro anni dalle forze dei ribelli serbi di Croazia – con vari crimini e la cacciata dei croati residenti – si tratta di un’operazione militare ancora segnata da molte controversie.
Durante e subito dopo l’operazione militare, le forze armate croate uccisero circa 600 civili serbi (secondo i dati del Comitato di Helsinki croato), perlopiù anziani, che erano rimasti nelle loro case e non erano fuggiti coi 200mila civili serbi che lasciarono la Croazia. Di tutti questi omicidi, la magistratura croata ne ha processati solo un numero esiguo. Inoltre la maggior parte delle case serbe nella zona dell’operazione furono date alle fiamme, mentre in tutta l’area furono registrati furti di massa.
Nonostante i suddetti crimini e le proteste della Serbia, la Croazia ogni anno celebra ufficialmente Oluja con una retorica da vincitore e senza il minimo riferimento alle vittime serbe. E siccome in Croazia a settembre si terranno le elezioni politiche anticipate, questa celebrazione, così come la precedente, avviene nel bel mezzo della campagna elettorale (per altro non ancora ufficializzata).
Come in passato l’anniversario è stato sfruttato politicamente soprattutto dall’Unione democratica croata (HDZ) e dagli altri partiti di destra. Un elemento che quest’anno è stato esplicitamente riconosciuto dal Partito socialdemocratico (SDP) all’opposizione, tanto che il suo presidente Zoran Milanović ha dichiarato alcuni giorni prima dell’anniversario che il suo partito non sarebbe andato a Knin, affermando che negli ultimi anni la celebrazione si è trasformata in un “raduno di partito dell’HDZ”.
Il discorso della presidente Grabar Kitarović
A confermare le dichiarazioni di Milanović ci ha pensato la presidente croata Kolinda Grabar Kitarović, già membro dell’HDZ, che ha tenuto un discorso in cui si è riferita proprio alle dichiarazioni di Milanović.
“Voglio rivolgere un messaggio a tutti quelli che credono che lo stato croato sia un caso […], questa Croazia è nata dal desiderio del popolo croato espresso a maggioranza col referendum del 1991. La Croazia è nata grazie all'operazione militare di Knin e grazie a tutti i veterani”, ha detto la presidente croata.
Inoltre, la presidente Grabar Kitarović ha cercato di sminuire i crimini compiuti durante l’operazione Oluja.
“Rispettiamo ogni vittima perché ogni vita è degna di valore, ma Oluja è stata legittimata politicamente, è una vittoria pulita e militarmente brillante per un obiettivo legittimo. Con Oluja abbiamo ribadito la nostra volontà di essere liberi, la capacità di essere sovrani e non stranieri sul proprio territorio”, ha precisato la presidente.
Nonostante abbia riconosciuto l'esistenza di problemi con cui fa i conti la minoranza serba in Croazia, Grabar Kitarović ha fatto un discorso diretto contro la Serbia, e contro tutti quelli che negano l’importanza e la legittimità dell’operazione militare.
“La Croazia e i croati hanno saputo perdonare, e questa è l’etica dei vincitori e della pace. Non abbiamo accettato, e non lo faremo mai, di valutare Oluja sulla base di norme anti-croate. Non accetteremo mai di modificare l'esito della guerra, così come le negligenze dei tribunali internazionali e la negazione della vittoria”, ha concluso Grabar Kitarović.
Il principale rivale politico di Milanović alle elezioni di settembre, Andrei Plenković, nuovo presidente dell’HDZ, era presente alle celebrazioni di Knin e ha accolto con favore il discorso della presidente croata.
“Ha tenuto un discorso adatto al momento, rivolto ai veterani croati e alle forze armate croate. Ha messo in guardia quegli attori politici che fanno dichiarazioni inadeguate, sia in Croazia che all’estero, sullo stato croato”, ha detto Plenković riferendosi al discorso della Grabar Kitarović. “Per me e per i cittadini croati Oluja è l'evento che ha messo fine per sempre all’aggressione 'grande serba' voluta da Milošević”, ha poi aggiunto il presidente dell’HDZ.
Sui crimini commessi durante Oluja, un discorso simile a quello della presidente è arrivato dal ministro degli Esteri al tempo di Oluja, Mate Granić.“Si sono verificati singoli crimini, incendi e ruberie, che però non derivano da una politica statale, [l’allora] presidente Tuđman era fortemente contrario a queste cose. Durante le operazioni belliche c'erano 180mila soldati solo dalla nostra parte: se confrontate questo dato con qualsiasi altro conflitto odierno, vedrete che gli incidenti registrati sono pochi. Chi ha commesso crimini è stato processato”, ha concluso Granić.
Nazionalismo croato
Al di là delle dichiarazioni cerimoniali, l’anniversario di Oluja si è trasformato per il secondo anno consecutivo in una serie di piccoli e grandi incidenti legati a nazionalismo estremo e neofascismo diretto contro i serbi.
A Knin ha marciato il 9° battaglione delle Forze armate croate – all’inizio della guerra un’unità paramilitare croata, in seguito integrata nell’esercito regolare – denominata "Rafael Boban", comandante ustascia della Seconda guerra mondiale. Con uniformi che ricordano quelle ustascia, un gruppo composto da una ventina di membri dell’unità ha cantato canzoni neofasciste e ha urlato il saluto “Per la patria pronti” ("Za dom spremni") con l’approvazione di parte del pubblico e la tolleranza della polizia. Nonostante siano stati poi fermati alcuni membri del gruppo, capeggiati dal comandante Marko Skejo, le reazioni sono state deboli e in ritardo.
Poco dopo, le telecamere hanno ripreso un gruppo di uomini che incendiava la bandiera serba con l’approvazione generale dei presenti. A causa dell'incidente la diplomazia serba ha inoltrato una nota di protesta. Dopo che il filmato è finito sui media, la polizia ha arrestato due dei protagonisti, che ora rischiano fino ad un anno di reclusione.
A conclusione della giornata, in concerto trasmesso in diretta sulla Radio televisione croata (HRT), ha fatto la sua comparsa Marko Perković Thompson, noto per le canzoni nazionaliste e per l’esaltazione del regime ustascia.
Il pubblico che accompagna i concerti di Thompson partecipa regolarmente a manifestazioni di nazionalismo estremo, e così è stato anche quest'anno a Knin. Il pubblico ha inneggiato agli ustascia e gridato “Per la patria pronti” durante il concerto. Anche se Thompson durante la diretta ha cantato le sue canzoni meno controverse, appena le telecamere si sono spente, ha tirato fuori la sua famosa canzone di guerra "Čavoglave", che inizia proprio con “Per la patria pronti”. In seguito la polizia gli ha consegnato una denuncia per l'infrazione, ma solo dopo aver ricevuto "luce verde" dei suoi bodyguard, il che di fatto equivale a negare i poteri della polizia.
Anche se molti politici, compreso l'ufficio della presidente, hanno condannato gli incidenti, resta l'impressione che la reazione non sia stata sufficientemente determinata. Così, ad esempio, Plenković, potenziale primo ministro croato alle prossime elezioni, ha condannato gli scontri, ma ha evitato di definire “Per la patria pronti” un saluto ustascia, temendo probabilmente la perdita dell’elettorato più di destra dell'HDZ.

Fonte: balcanicaucaso.org 

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