La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 11 agosto 2016

Podemos: non possiamo smarrirci!

di Manolo Monereo
Vedere Patxi Lopez lamentarsi per le pressioni di Ibex35 [la Borsa di Madrid, Ndt], dei gruppi di potere economico e mediatico —che rappresentano l’effettiva trama del potere reale— riempie di emozione e anche di tenerezza. Che lo dica Lopez è degno di nota, visto che è stato appena eletto presidente del Congresso dei Deputati proprio per avviare un processo che ha come obiettivo esplicito "sbloccare" la situazione di stallo politico e, implicitamente, piegare, rompere e isolare Podemos.
Occorre evitare di smarrirsi nelle congiure di Palazzo o nei giochetti floreali delle strategie di comunicazione. Ciò che è in gioco non è la stabilità o la governabilità di questo Paese. Questo è il discorso apparente, il dichiarato, il comunicabile. Il problema di fondo reale, che divide le forze politiche, è il modo per superare la crisi del regime, vale a dire come porre fine alla contestazione politica, il ritorno, in un modo o nell'altro, al bipartitismo, ponendo fine all'anomalia di Podemos. Se fosse solo una questione di governo, essa sarebbe stata risolta in 24 ore. Il vero protagonista è quello che ora non appare a prima vista: Unidos Podemos e, soprattutto, la gente, le persone in carne e ossa che hanno bisogno e sognano un altro Paese.
Ho difeso, con forza ma senza molto successo, che un aspetto fondamentale della crisi del regime aveva a che fare con una contraddizione fondamentale tra il blocco di potere economico e la classe politica bipartitica [Pp Psoe, NdT]; sono ancora della stessa opinione. Tuttavia, queste elezioni hanno risolto un problema che segnerà tutta la situazione: Mariano Rajoy, non senza difficoltà e rischiando molto, ha vinto la battaglia e sarà intorno a lui che prenderà corpo ricomposizione politica che le classi economicamente dominanti chiedono e di cui hanno bisogno.
Ciò richiede una ristrutturazione della mappa politica che interessa direttamente i Ciudadanos ed il PSOE e, di conseguenza, i partiti che rappresentano le borghesie basca e catalana. Non avremo nuove elezioni e chi guiderà la politica del Paese nei prossimi due anni sarà Mariano Rajoy.
Ciò è problematico per le altre forze politiche. Parlo dei partiti sistemici, strettamente legati a quelli che comandano e non si presentano alle elezioni. Ciudadanos, con destrezza e capacità —non gli si chiede altro—, si adatterà alla nuova situazione, diventando un partner strategico Partito Popolare che, più prima che poi, inizierà il suo rinnovamento interno. Ciudadanos è "organico" al potere economico e seguendo Rivera si può facilmente capire ciò che vogliono e pensano quelli che comandano.
Per il PSOE le cose sono più difficili. Pedro Sanchez [segretario del PSO, Ndt], lo ripeto ancora una volta, date le condizioni, se l’è cavata abbastanza bene. Si potrebbe dire che il PSOE è il partito “organico” del regime. Fino ad ora è quello che meglio ha saputo rappresentare, quello che ha meglio difeso gli interessi del capitale nel suo complesso e che meglio ha difeso la monarchia parlamentare. La sua capacità di ottenere il consenso tra gli operai e le classi lavoratrici è stata molto alta e, a volte, altissima. Ciò è stato vero con Gonzalez e Zapatero. Solo le crisi ricorrenti del capitalismo europeo e spagnolo poterono rompere le basi sociali e legittimità politica del PSOE.
Sanchez sta cercando la centralità, che vuol dire, ancora una volta, essere il partito del regime in questa fase segnata dalla crisi. La chiave: sconfiggere Unidos Podemos; opporsi al governo del PP facendo leva sull’asse della differenziazione destra/sinistra come parte di una strategia che ha ottenuto, nonostante tutto, risultati positivi. In politica non sempre si vince sommando, a volte è meglio neutralizzare, dividere, isolare, dividere. Questo discorso potrebbe venire meno se la destra —compreso Ciudadanos— andasse al governo con l'astensione del PSOE. Insisto, il vero problema di Sanchez si chiama Unidos Podemos. Le pressioni sono ancora forti e lo saranno ancora. C'è la possibilità, lo dico come ipotesi, di barattare la riforma della Costituzione, che prima o poi sarà fatta, con l’astensione. Staremo a vedere.
In Unidos Podemos, nella sua pluralità ideologica e territoriale, si discute molto circa il milione di voti persi e alla fine si è fatta strada un'idea che sembra plausibile. Voglio dire che una parte significativa di questi voti sono stati persi durante la negoziazione con il PSOE e Ciudadanos. Se questo fosse vero, Unidos Podemos dovrebbe aprire una discussione di merito sulla strategia perseguita e che segue. Per dirla in altro modo, Unidos Podemos si arena, non avanza, quando ci si avvicina al "Palazzo" o è percepito come parte di esso da un segmento significativo della popolazione. Partire dalla opposizione "palazzo/ piazza", come fece Pier Paolo Pasolini, è decisivo perché nei giochetti di Palazzo, nel via vai dei negoziati opachi, alle prese con le pressioni di coloro che comandano e non si presentano, e le direttive emanate dai media, si tende a dimenticare che il principio di tutto è stata la denuncia di una classe politica corrotta, lontana dagli interessi popolari e cooptata dai gruppi di potere economico. Senza questo principio (fondatore) non esisterebbe Unidos Podemos e, naturalmente, non ci sarebbero problemi di governabilità e stabilità politica.
Non si possono banalizzare le contraddizioni reali per manovre di "Palazzo". Una forza che supera il 20% dei voti deve intervenire ed agire nelle istituzioni. Quello che viene chiamato oggi "postureo" [“posizionismo”, Ndt] non è altro che la volgarizzazione rozza dei "giochi di strategia". Si fa politica in un "teatro di operazioni" dove c'è molto in gioco, non solo la governabilità. L'ho detto prima e lo ripeto: un giocatore chiave, che apparentemente non è della partita, è proprio Podemos, ovvero il simbolo, il segno di una crisi di regime che non è ancora stata risolta. Ad essere più precisi si potrebbe dire che si tratta di una crisi che non è stata ancora risolta, ma si è sulla buona strada. Scommettere [da parte di Unidos Podemos, NdT] su un accordo con il PSOE significa implicitamente volere un compromesso con un partito che finora è stato il partito organico del regime e rimettere l'asse sinistra/destra al centro della vita politica collettiva. Non sto dicendo che ciò che è stato fatto è sbagliato o che non rimane altro da fare; quello che dico è che quello che facciamo ha delle conseguenze. L'asse sinistra/destra esiste nella realtà come un dispositivo ideologico, si è affermato e continua ad affermarsi ma sappiamo che non rappresenta più la centralità della vita pubblica. Quando Sanchez lo rilancia di nuovo e lo colloca al centro del suo discorso, non solo si oppone alla destra, ma pretende di dirigere anche a Unidos Podemos. Le narrazioni danno forma alle ideologie e strutturano la vita politica.
In Spagna, nella UE, l'asse destra/sinistra funziona ancora, ma significa sempre meno. C’è la destra, e senza dubbio sempre più dura ed estrema. Quando si parla di sinistra facendo riferimento alla socialdemocrazia, non si fa nient’altro altro che propaganda e falsa coscienza. E’ sufficiente guardare quello che fanno Renzi, Hollande, la socialdemocrazia tedesca o il partito laburista britannico. La socialdemocrazia sembra di sinistra solo quando è all’opposizione. Posizionare l'asse "sopra/sotto" non voleva dire che l'asse di sinistra/destra non ha più nessuna sostanza sociale, significa la necessità di fare politica da un altro punto di vista, da quello delle maggioranze sociali che si oppongono a una oligarchia politica, economica e mediatica cosmopolita guidata dal capitalismo monopolistico finanziario. Polarizzarsi rispetto alla "casta" significava organizzare un ampio blocco sociale per intervenire nella crisi di regime con l'obiettivo implicito di transitare verso uno nuovo.
Sapevamo tutti che le sfide erano enormi, ma eravamo anche convinti che una forza politica si costruisce sulla base delle contraddizioni reali e andando oltre la politica normalizzata del potere. Questa è la tensione che si viviamo: si deve intervenire giorno dopo giorno in situazioni che non dirigiamo ne strutturiamo, ma sulle quali siamo obbligati a posizionarci sapendo —-non sempre lo sappiamo— che siamo il nemico da battere, siamo una "anomalia " che deve essere neutralizzata, integrata, divisa. Trascurare questo è perdersi e non trovarsi.

Articolo pubblicato su Cuarto Poder
Traduzione a cura della Redazione di SOLLEVAZIONE
Fonte: Sollevazione

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