di Ennio Remondino
Il senato brasiliano indifferente al medagliere olimpico, e forse grato per la distrazione planetaria di massa, ha votato a favore del procedimento di impeachment contro la presidente Dilma Rousseff, sospesa dalle funzioni dal 12 maggio scorso. Rousseff è ora considerata responsabile di pratiche contabili illegali -l’aver occultato dati negativi di bilancio per vantaggi elettorali- che le vengono rivolte e sarà sottoposta al voto finale del Parlamento, che dovrebbe avvenire il prossimo 25 o 26 agosto. Processo platealmente politico, con molte perplessità internazionali.
Soltanto dopo il voto finale con una maggioranza dei due terzi dell’assemblea, tuttavia, potrà essere avviato il processo contro la presidente «sospesa». Dilma Rousseff accusa gli avversari di aver costruito un «caso sul nulla», e di essere stata rimossa con «colpo di Stato» mascherato, considerato che le pratiche «illegali» delle quali è accusata sarebbero state «pratica comune» durante le precedenti amministrazioni. In effetti, la ‘lettura’ ottimistica o pessimistica dei bilanci statali risulta pratica diffusa oggettivamente diffusa e materia elastica della politica.
Non è la prima volta che un capo di Stato brasiliano viene messo sotto processo. Accadde a Collor de Mello nel 1992, ma allora l’imputato si dimise risparmiando al Paese un conflitto lacerante. Dilma, ha invece deciso di resistere fino in fondo a quello che chiama un golpe bianco. Per quanto un certo numero di giuristi ritenga che i capi di imputazione formulati in base a una legge del 1950 siano insufficienti per una destituzione, le sue possibilità di spuntarla sono tuttavia molto ridotte. Risultato dello scontro, aggravare una crisi economica, politica e sociale grave.
Il voto di impeachment indica che nell’assemblea giudicante c’è già la maggioranza di due terzi necessaria per la definitiva cacciata della presidente. In realtà la sua popolarità era già precipitata. La coalizione tra ex-guerriglieri, sindacalisti, intellettuali di sinistra, contadini senza terra e leader indigeni che 13 anni fa portò per la prima volta al potere il Partito dei lavoratori si è praticamente dissolta. Intanto, la fine del boom economico che aveva donato un po’ di benessere a 40 milioni di cittadini li sta spingendo di nuovo sotto il livello di povertà. La rabbia per gli scandali, la corruzione.
Una serie di interrogativi non solo sul Brasile ma sull’intero continente. I conti in casa a fine olimpiade, con un nuovo governo nato con alcuni personaggi molto discussi. Capire e verificare il modo e i tempi della svolta a destra che dovrebbe seguire alla cacciata della Rousseff sugli altri Paesi latini, in particolare sul Venezuela che sotto il presidente Maduro, erede inadeguato di Chavez, sta sprofondando nel caos. Infine il dubbio anche formale sul BRICS, ricordate? Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, nuove potenze economiche emergenti. Un tempo.
Un dopo Olimpiade decisamente tetro per il Brasile e non soltanto. Scenario molto simile a quanto già visto, per gestione dei conti pubblici e spese olimpioniche, nella sfortunata Grecia pre Tsipras.
Fonte: popoffquotidiano.it
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