di Alberto Negri
È meglio continuare a farsi ricattare da Erdogan o avere un piano alternativo? Questa è in sostanza la questione se salta l’accordo sui migranti tra Turchia e Unione Europea, un’eventualità non così remota con conseguenze dirette per la Grecia e per l’Italia, esposta ai flussi sulla rotta adriatica anche se in misura assai inferiore rispetto a quella nordafricana e libica. Sia il leader turco, reduce dall’incontro con Putin, che il suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, sono stati chiari: «se entro ottobre» i cittadini turchi non saranno esentati dal visto per entrare nell’Unione, la Turchia non riconoscerà più la convenzione firmata il 18 marzo.
Un accordo che l’Europa considera decisivo per contenere il flusso di tre milioni di profughi da Iraq e Siria.
Per la verità a fermare le ondate dei siriani non è stato tanto l’accordo con Ankara quanto il blocco della rotta balcanica verso il Nord Europa, trasferendo la pressione sulle vie di fuga più occidentali del Mediterraneo. Ottenuto questo risultato la Germania, il vero pivot della politica europea, non mostra grande preoccupazione, almeno a leggere quanto scrive lo «Spiegel», autorevole testata che però ammette: «se salta l’intesa con la Turchia, la Grecia e anche l’Italia dovranno forse aprire campi profughi con il sostegno dell’Unione».
Ma ci sarà davvero la grande fuga dalla Turchia? Dipende in gran parte proprio da Erdogan e dall’Unione europea: se il primo troverà conveniente usare l’arma dei profughi lo farà senza esitazione soprattutto se Bruxelles, come appare probabile, troverà ogni appiglio per non concedere la libera circolazione ai cittadini turchi. Il leader turco ha bisogno di portare a casa qualche successo perché prima o poi si affievolirà l’ondata anti-gulenista seguita al fallito golpe del 15 luglio. Può mettere mano alla cassa e aumentare i sussidi alla popolazione che costituisce la base dell’Akp, oppure cedere alle richieste europee e ottenere la cancellazione di visti. Appare più probabile che Erdogan farà in modo di incassare almeno in parte i tre miliardi di euro promessi per tenersi qualche milione di rifugiati ma difficilmente, in uno stato d’emergenza, potrà essere flessibile sulle leggi anti-terrorismo o la reintroduzione della pena capitale, se venisse approvata in Parlamento sull’onda dei sentimenti popolari sollevati dal colpo di stato: davanti a un milione di sostenitori sulla spianata di Yenikapi a Istanbul ha promesso che farà la “volontà popolare”.
Ma la questione dei profughi è assai più complessa di quanto appare. Tra il Medio Oriente e il Mediterraneo è in atto la maggiore transizione dai tempi dell’intesa franco-britannica di Sykes-Picot (1916) e del crollo dell’impero ottomano: con le guerre e la disgregazione di stati come Siria e Iraq, accompagnati da crisi economiche e sociali epocali, è in atto una trasformazione politica e demografica la cui portata sta già cambiando la mappa della regione.
Vediamo cosa potrebbe accadere nel grande e deprimente gioco sulla pelle dei profughi: non è detto che Erdogan si voglia davvero liberare dei “suoi” rifugiati e usarli per ricattare gli europei. La Turchia finora ha garantito ai profughi siriani solo lo status di “ospiti” ma proprio il presidente ha annunciato che potrebbe concedere loro il diritto di cittadinanza. Una mossa che può avere conseguenze imprevedibili. In primo luogo la naturalizzazione dei siriani sta già mutando la faccia dell’Anatolia. L’arrivo dei profughi sta diluendo il peso della componente curda sia a livello nazionale che in Kurdistan a vantaggio di una popolazione araba con tassi di natalità superiori: dal 2011, l’inizio della guerra, sono nati in Turchia 150mila bambini siriani e un quarto dei rifugiati ha meno di dieci anni. Non solo. Nel 2019, anno elettorale con presidenziali e parlamentari, centinaia di migliaia di siriani potrebbero avere ottenuto la cittadinanza e un diritto di voto che probabilmente sposterà a favore dell’Akp i risultati proprio nelle zone curde dell’Anatolia. Erdogan, costretto a venire a patti con Putin per la sconfitta in Siria, può uscire dall’impasse utilizzando i rifugiati come arma per restare al potere. Ma se tre milioni di siriani diventano cittadini turchi crolla anche l’accordo con l’Unione: è evidente che per Erdogan la questione dei visti diventa relativa. Il problema è capire cosa vuole davvero Erdogan oltre alla sopravvivenza politica: la svolta con Mosca indica che tutto è ancora possibile.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.