di Bruno Martirani
Sono passati ormai undici mesi – settembre 2015 – da quando tante/i attiviste/i di Napoli hanno deciso di incontrarsi per fare e divenire “massa critica”, ovvero per mettere in campo un processo in cui si individuassero nuovi luoghi e nuove forme della decisione e sfidare coloro che si erano proposti al governo della città nell’elezione amministrativa di giugno 2016. “Decide la città”, “Decide Napoli”: sono state le claims più utilizzate per costruire il discorso politico.
Fin da subito, abbiamo escluso dall’interlocuzione con questa esperienza coloro che si configuravano come i portatori di interessi dei partiti dell’austerity (il Pd con la candidata Valente e il centro/destra con l’omologo, Lettieri), e che non sono sicuramente i protagonisti dell’anomalia cittadina cui guardiamo e che, con ambivalenza, si va elaborando nello spazio metropolitano.
Fin da subito, abbiamo escluso dall’interlocuzione con questa esperienza coloro che si configuravano come i portatori di interessi dei partiti dell’austerity (il Pd con la candidata Valente e il centro/destra con l’omologo, Lettieri), e che non sono sicuramente i protagonisti dell’anomalia cittadina cui guardiamo e che, con ambivalenza, si va elaborando nello spazio metropolitano.
Abbiamo dunque aperto il confronto con il sindaco uscente, De Magistris, che già nel corso del precedente quinquennio si era posto come interlocutore su più temi riguardanti il governo della città; e con il M5S che, in evocazioni e in stralci programmatici, allude al tema della democrazia diretta e, anzitutto, non rileva provvedimenti in linea con le politiche di austerità nazionali ed europee. In una delle tappe intermedie del percorso abbiamo però compreso che l’unico che si fosse mostrato disposto ad accettare la sfida sulla partecipazione e sul tema delle politiche economiche e sociali, cercando anche una via di uscita dai rigidi schemi imposti dal neoliberalismo, era proprio il sindaco uscente, il quale a elezioni ottenute ha accettato tutto il piano della nostra sfida – su cui più avanti torneremo.
In sentieri non privi di ostacoli abbiamo proseguito la ricerca del metodo migliore per ampliare la base di partecipazione alle iniziative cittadine e, allo stesso tempo, preoccupandoci di voler far effettivamente decidere la città. Una ricerca che, costitutivamente, ancora continua. Pratiche nuove, linguaggi sperimentali, tecno-politica sono alcuni attrezzi della nostra cassetta, tanto che lo stile stesso con cui tante e tanti a Napoli hanno praticato la militanza sia soggetto a modificazioni – impensabili già qualche anno fa – il che è per noi uno dei dati più importanti.
Nuove connessioni tra strutture organizzate e abitanti della città, con la modellazione di un nuovo stile della militanza che andasse oltre l’antagonismo classico, sono stati fattori di garanzia per la costruzione di un percorso netto e radicale, effettuando scelte politiche che sono andate ben oltre strategie e tatticismi delle specifiche soggettività, e cittadine e nazionali. Con una battuta: ci siamo resi conto che era venuta l’ora di essere “figli del nostro tempo”, e l’abbiamo fatto con tanta spregiudicatezza quanta linearità.
Biografie politiche diverse, eppur affini nelle pratiche, si sono messe in rete per sfidare De Magistris su quattro temi: 1. la rottura del vincolo che lega il Comune al patto di stabilità; 2. la formalizzazione di nuove istituzioni, ossia “le assemblee degli abitante”; 3. la possibilità di determinare priorità e temi dell’agenda politica cittadina in stretta connessione con l’operato degli assessorati competenti (politiche sociali, patrimonio e bilancio); 4. la creazione di un tavolo di garanzia che segua con attenzione il tema della cessione di sovranità dal Comune alle nuove istituzioni territoriali. Questi elementi ora sono gli obiettivi politici da mettere a verifica nei prossimi mesi.
L’amministrazione ha accettato la sfida, a noi il compito, non facile, di passare dall’enunciazione alla costruzione, dalle dichiarazioni ai fatti concreti. Tutto ciò è anche il risultato ottenuto attraverso un rapporto dialettico, se non inedito, tra realtà dei movimenti sociali, abitanti di alcuni quartieri e amministrazione comunale. Un rapporto dialettico che, per la prima volta, non è stato condotto al chiuso, nelle “stanze dei bottoni”; ma, al contrario, è stata una relazione che si è preparata e sviluppata pubblicamente soprattutto intorno ai nodi della decisione, quelli insomma più ostici.
L’“Anomalia Napoli”, a oggi, continua il suo tortuoso percorso per divenire “laboratorio Napoli”, esportabile e allo stesso tempo adattabile, a geometria variabile, ai contesti territoriali in cui vorrà e potrà essere applicato: vale a dire, a seconda dei rapporti di forza politica, della composizione sociale del mercato lavorativo e delle economie territoriali. In ogni caso ci rendiamo conto che Napoli non è sufficiente a sé stessa e allo spazio nazionale, molti sono i suoi limiti come altrettanti i suoi pregi, ma la presunzione di poter divenire “laboratorio politico” da soli è molto lontana dalle nostre prospettive.
Ci rendiamo conto che in Italia tante sono le esperienze ribelli e anche le città in cui si sperimentano processi di partecipazione diretta, di rottura della gabbia neoliberista e di organizzazione del comune, con esse proveremo a metterci in connessione il 3 e 4 settembre a Napoli, provando in maniera condivisa e chiara a costruire “L’Autunno delle città e delle esperienze ribelli”. Dalla Val Susa, passando per Torino, a Palermo, da Roma a Taranto, da Padova a Pisa, da Cosenza e da tante altre parti d’Italia tante e tanti sono coloro che si pongono il problema di come ricostruire una stagione conflittuale, tenendo conto soprattutto del test referendario di novembre, grazie al quale mandare a casa il governo dell’austerity.
Con l’auspicio di condividere insieme, il 3 e 4 settembre, quanto prodotto in ambito metropolitano e cittadino, tanto a livello nazionale quanto europeo, trovando tanti punti di connessione, e di trasmettere ricchezze e limiti del “laboratorio Napoli”, pensiamo sia quanto mai opportuno oggi porsi il nodo di “come si decide insieme” sui nostri territori. Dacché in passato altri l’hanno fatto per noi e oggi ci ritroviamo a condurre una vita precaria, infelice e nociva, è giunto il momento di costruire l’amministrazione e il comune delle nostre città; e a seguire: costruire una rete di città e di esperienze ribelli che abbia un respiro nazionale e soprattutto europeo.
Fonte: Euronomade.info
Originale: http://www.euronomade.info/?p=7702
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