di Guglielmo Ragozzino
Nel vecchio secolo la Fiat era considerata il peggio del peggio. Cattiva, ignorante, prepotente, paurosa. Tutti volevano trasformarla, molti abbatterla. Non che non sia cambiata abbastanza da allora, sotto l’urto dei tempi; ma negli anni è rimasta sempre la peggiore di tutte. I quotidiani della nuova sinistra che erano allora tre, si prodigavano offrendo soluzioni, talvolta impraticabili, spesso molto generose. Ho in mente un’immagine che mostrava una gigantesca Fiat, una imprendibile fortezza di cemento e mattoni che però aveva sopra al tetto un certo numero di minuscoli operai dotati di picconi che dall’alto e di lato, cercando di distruggerla cominciavano a farla a piccoli pezzi.
Come sia andata a finire, qualcuno lo sa. Zamarin, il vignettista che disegnava per “Lotta Continua” e quando aveva finito in redazione, a notte, partiva in macchina per distribuire il giornale, morì nella notte in un incidente stradale. Quanto alla Fiat, bastava aspettare e – come si è visto – si sarebbe cancellata da sé.
Come sia andata a finire, qualcuno lo sa. Zamarin, il vignettista che disegnava per “Lotta Continua” e quando aveva finito in redazione, a notte, partiva in macchina per distribuire il giornale, morì nella notte in un incidente stradale. Quanto alla Fiat, bastava aspettare e – come si è visto – si sarebbe cancellata da sé.
Gli ometti di Zamarin che assaltavano con metodo, tranquillamente, la Fiat mi sono tornati in mente leggendo il libro elettronico Crisi ambientali e migrazioni forzate (L’ondata silenziosa oltre la Fortezza Europa), una raccolta di saggi e articoli pubblicata da A Sud. Si corre troppo sovrapponendo la vecchia Fiat alla Fortezza Europa? Anche quest’ultima appare a certi ricercatori cattiva, ignorante, prepotente, paurosa. I ricercatori, con i loro piccoli, acuti picconi si danno da fare, cercano di fare chiarezza, di smuovere qualcosa, forse soltanto le coscienze. Cercano di convincere chi li ascolta che se si accetta che ogni strada sia sbarrata, la battaglia ambientale perduta. Comunque, se vincere non si può, si può continuare nella ricerca di altre vie per capire meglio, studiando per conto di tutti, il nostro pianeta e il suo domani, lasciando finalmente da parte i pregiudizi sullo Sviluppo, questo fratello gemello del Profitto.
Nelle quattro parti del testo (discussione delle teorie affermate, posizioni delle riforme suggerite dai tempi nuovi, esame di quello che avviene, resoconto di qualche caso speciale) sono molti gli argomenti in discussione. Ne trattano, in vario modo, decine di giovani specialisti per lo più poco conosciuti. La caratteristica generale è un’estrema lealtà scientifica. Si direbbe che nessuno evita di scrivere quello che pensa solo per dare ragione a qualche docente superiore e favorire così la propria carriera. Da profano, vorrei suggerire di leggere tutto (trecento pagine) a partire da due aspetti generali. Uno di essi è la quantità di suggerimenti. Nel testo internet sono i riferimenti per raggiungere decine o centinaia di testi e di studi che si possono quasi sempre consultare e scaricare. La scienza ambientale diventa un po’ più aperta a tutti, discutibile in ogni campo. Molte persone possono così studiare e capire il mondo in cui vivono e darsi da fare per cercare di migliorarlo. Dentro e fuori quel movimento, qualcuno si ricorderà mai che la prima delle Cinque Stelle è l’acqua? L’acqua di tutti, l’acqua a tutti nota. L’acqua di cui molti studi danno finalmente una misura attuale. Un secondo aspetto è costituito da proposte e suggerimenti, a volte inaspettati, che sono frequenti nei testi e che servono a volte come punto di partenza di passi avanti inaspettati e altre volte a spiazzare il ragionamento consueto. Ma entriamo nel vivo del discorso.
Per meglio dire entriamo per un momento nella pentola della Rana Bollita. (Le migrazioni ambientali dell’antropocene e la sindrome della rana bollita, di Salvatore Altiero e Maria Marano che sono anche i curatori dell’opera è il testo di avvio di tutto il libro). La sindrome della rana nella pentola è un ragionamento crudele che serve per fare giustizia tra i sostenitori dell’adattamento e quelli della mitigazione. Non c’è storia: una rana in pentola – rappresenta una popolazione messa in condizioni critiche da una modifica ambientale, quale che ne sia l’origine – può un po’ adattarsi al nuovo clima, anche accettare il proprio benessere provvisorio, ma in breve tempo si troverà in una condizione diversa e dolorosa; spostandosi ai bordi della pentola, saltando nell’acqua, non potrà che brevemente mitigare il calore insopportabile. Non c’è scampo per la rana nella pentola. Si può solo scappare prima, prima che sia troppo tardi. Altrimenti si può solo spegnere il fuoco, sempre che non sia comunque tardi.
C’è un’altra osservazione di cui fare tesoro: in un testo di carattere giuridico, scritto da Antonello Ciervo I rifugiati invisibili. Brevi note sul riconoscimento giuridico di una nuova categoria di richiedenti asilo in cui si discutono gli atteggiamenti del diritto comunitario nei confronti degli immigrati, vi è il ricordo di quando il pericolo ambientale che sovrastava il nostro futuro era il grande freddo, il global cooling che faceva appunto parte della Guerra fredda, in voga a quei tempi. Il pensiero degli studiosi era che nel 2015 si sarebbe arrivati a un temperatura media globale di 0 gradi centigradi. Solo pochi anni dopo il pensiero degli studiosi si è capovolto in un global warming in cui tutt’ora viviamo. Questo suggerisce molta cautela, sempre. Sempre lo studioso Ciervo che si occupa dell’assetto giuridico dei rapporti tra migranti e istituzioni, si lancia in un altro fuori tema quando ci consiglia di fare attenzione alla storia. Ricorda l’avvenimento dell’eruzione del vulcano islandese Laki che avvenne nel 1783, ricoperse le pianura dell’Europa continentale di polveri sottili, causò piogge acide in Francia con la conseguenza della assai ridotta produzione di derrate e il loro potente aumento di prezzo negli anni seguenti del decennio, ivi compreso il fatidico 1789. La scarsità di grano e gli insopportabili prezzi agricoli, assicurano gli storici accreditati (Lefebvre), furono tra le cause non ultime della rivoluzione francese, come più di recente sembra sia avvenuto per le primavere arabe.
Se la prima parte discute dei temi generali – di rane in pentola, come si è detto cioè di Crisi climatica e conflitti ambientali – spetta alla seconda che titola sul Cambiamento del clima e conflitti ambientali: emigrazioni forzate – il compito di parlare della rana che fugge, in qualche modo, come può, dalla pentola bollente.
I temi generali sono superati; la discussione tra i famosi professori Norman Myers e Richard Black, con il primo che prevede 200 milioni di rifugiati ambientali per il 2050 e il secondo che scrive, per confutarne le cifre, un saggio dal titolo Environamental Refugees: Mith or Reality non è più indispensabile; per capire le cose, più che classificare casi e sottocasi, conta conoscere i fatti (e gli antefatti). A furia di fatti, i diversi casi emergono con grande evidenza. Fondamentale nell’economia del lavoro collettivo è la Siria ed è l’acqua.
Acqua crisi climatica e migrazioni di Anna Brusarosco con il contributo di Salvatore Altiero propone molte riflessioni sui rapporti tra calamità naturali e vere e proprie guerre per l’acqua, tra comunità sotto stress o paesi rivali. Un lungo elenco di casi recenti, tutti conosciuti e spesso trascurati da chi legge lasciano intendere la vera natura dell’acqua e dell’obbligo di partire dal luogo in cui una comunità ha potuto trascorrere secoli della vita precedente. La crisi idrica, attuale o temuta, non si può affrontare altrimenti. Si è costretti a partire, o rimanendo all’interno della regione, dei confini nazionali, oppure cercando di saltarli via, alla ricerca di un nuovo mondo, almeno di un po’ di acqua da bere. Non si vive senza bere e senza lavare i panni, la casa arida si trasforma in una sala di tortura; una famiglia contadina non ce la fa se non ha acqua per coltivare gli ortaggi, per allevare gli animali.
Sopra tutto questo, l’acqua e la scarsità di cibo si presenta in assoluta drammaticità il caso siriano, studiato attentamente da Desirée A. Quagliarotti Siria: cambiamento climatico, migrazioni e conflitti. Qui è difficile stabilire in modo autoritario un prima e un dopo, le cause e le conseguenze. Certo l’occupazione delle alture del Golan avvenuta nella guerra del 1973 costituisce un antefatto idrico ai danni della popolazione e dello stato siriano. In seguito, più di trent’anni dopo, la gestione dell’acqua dal lato dei turchi, l’erezione di altre dighe a monte del territorio siriano, la terribile siccità durata oltre due anni, i dissidi crescenti tra il bath siriano guidato da alauiti, in urto religioso con i numerosi sunniti delle regioni e stati dei confini, l’instancabile lotta dei curdi, tutto questo insieme e altri disturbi ancora hanno provocato la fame, la moria degli animali, la necessità dei contadini abitanti vaste zone della Siria di cambiare territorio per tentare di sopravvivere. Gli spazi vuoti sono stati facilmente occupati da altri siriani, altri disperati venuti dall’estero con l’aiuto economico, politico, logistico e militare di forti gruppi religiosi o politici contrari agli Assad al potere a Damasco. Le popolazioni fuggite per l’acqua e la terra si sono riversate in città siriane, le storiche capitali, come Damasco o Aleppo che non erano in grado e non volevano accoglierle. Non è troppo difficile immaginare lo sconquasso, gli scontri armati e la guerra aperta che i siriani di governo, gli oppositori, i predoni sempre presenti, benvisti dallo Stato Islamico, forze, partiti o gruppi organizzati e paesi interi dell’area mediorientale non hanno perso l’occasione di gettarsi nella mischia, subito imitati dalle grandi potenze che hanno armato, bombardato, avvelenato, tradito tutti, da un lato e dall’altro lato; tutti e tutti gli altri, da par loro. Come resistere, come cercare di non morire, se non buttandosi oltre i confini?
Fonte: sbilanciamoci.info
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.