di Stefano Rodotà
Da tempo democrazia e diritti si allontanano, e gli effetti del fallito golpe in Turchia confermano in modo eloquente questa tendenza. I governi hanno dato la loro solidarietà ad Erdogan con l’argomento che istituzioni democraticamente votate non possono essere cancellate con un colpo di forza. Ma poi non reagiscono adeguatamente di fronte alla cancellazione di diritti fondamentali – libertà personale, informazione, manifestazione del pensiero -, delle garanzie giurisdizionali, e alla quotidiana mortificazione delle persone, accompagnate addirittura dalla sospensione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Torna così la concezione della democrazia come semplice procedura, di cui si ignorano le necessarie precondizioni. Si perde la trasformazione che ha potuto far parlare di una “età dei diritti”, proprio perché l’istituzione di uno “spazio dei diritti” aveva individuato un connotato essenziale dello Stato costituzionale.
L’Unione europea aveva colto questo passaggio. Nel 1999 aveva istituito una convenzione incaricata di scrivere una sua carta dei diritti fondamentali, motivando questa sua scelta con parole particolarmente impegnative: «La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità».
Veniva così riconosciuta l’inadeguatezza di un sistema istituzionale nel quale l’integrazione dei mercati ed una moneta unica non erano per sé soli considerati capaci di conferire tale legittimità. All’integrazione economica e monetaria si affiancava, come passaggio ineludibile, l’integrazione attraverso i diritti. Fino a che questa non fosse stata realizzata al già mille volte rilevato deficit di democrazia dell’Unione europea si accompagnava addirittura un deficit di legittimità, che esigeva una ridefinizione complessiva del rapporto delle istituzioni europee con i cittadini, avviando una vera e propria fase costituente.
Impostazione presto abbandonata, anche se il trattato di Lisbona aveva formalmente attribuito alla Carta dei diritti fondamentali lo stesso valore giuridico dei trattati. E questo è avvenuto attraverso una vera e propria “decostituzionalizzazione”, con un ritorno al primato della dimensione economica, e quindi con un riconoscimento dei diritti solo quando essi si presentavano e si presentano come manifestazione della legge di mercato.
In questo modo il riferimento alla democrazia assume un significato di ritorno al passato, diviene una mossa conservatrice. Disconnessa dai diritti, offre come in passato la sua legittimazione ad un potere personale o accentrato che abbia avuto la possibilità o l’accortezza di fondarsi su una procedura formale.
Diversi paesi europei rivolgono ad Erdogan parole sdegnate, intimandogli di non ricattarli. Ma è proprio l’Unione europea ad aver creato questa situazione con il suo abbandono della dimensione dei diritti, accettando che alcuni suoi Stati, a cominciare dall’Ungheria, realizzassero limitazioni gravi della libertà di manifestazione del pensiero e dell’indipendenza della magistratura, di quella costituzionale in specie. Le reazioni dell’ultimo periodo sono tardive e vengono dopo una lunga fase in cui l’Unione ha esercitato un potere autoritario e solo formalmente democratico, con pesanti cancellazioni dei diritti come ormai è generalmente riconosciuto per la vicenda della Grecia.
Questo conflitto, o comunque contraddizione, è reso ancor più evidente dall’ipocrisia dei governi che oppongono all’Is una dichiarata volontà di non accettare un mutamento di valori e diritti, ma che poi, nei fatti, lo praticano con l’argomento della lotta al terrorismo. Di nuovo un distacco tra una democrazia tutta formale e una sorta di impotenza dei diritti.
Ma proprio sui diritti si sta determinando una confusione anche nella discussione pubblica. Si sostiene che non si può parlare di diritti se non accompagnandoli con una sottolineatura dei doveri. Che cosa vuol dire? Spesso parlar di doveri è un modo neppure tanto indiretto di avanzare proposte limitative dei diritti sociali. In generale, però, la tesi è anche insostenibile perché la Costituzione italiana e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea attribuiscono al dovere della solidarietà un valore fondativo.
La solidarietà tra gli Stati è stata cancellata: basta considerare la gestione dei migranti. Per le persone dovrebbe valere quanto è scritto nell’articolo 2 della Costituzione, ove al riconoscimento dei diritti si accompagna «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale». Qualcuno legge ancora questa norma, o pur’essa è stata travolta dalla regressione culturale che stiamo vivendo?
Il tema dei diritti si è anch’esso globalizzato, è divenuto cosmopolitico, nessuno può sottrarsi alla sua considerazione. E si possono così registrare tentativi di trovare nuove connessioni tra democrazia e diritti, per evitare l’impotenza della prima e la mortificazione dei secondi. Se si guarda al costituzionalismo del Sud del mondo – alla linea che ancora congiunge Brasile, Sudafrica, India – si coglie nelle leggi e nelle decisioni dei giudici una attenzione concreta per i nuovi diritti fondamentali: cibo, salute istruzione. Due costituzionalismi si confrontano e la costruzione della democrazia viene appunto fatta dipendere dal grado di tutela effettiva dei diritti, che assume un carattere prioritario. I diritti si congiungono alla vita materiale, e così progressivamente reinventano la nozione di cittadinanza, vista come l’insieme dei diritti che spettano a ciascuno quale che sia il luogo del mondo in cui si trova.
Questa era la promessa dell’Unione europea, che dichiara di mettere «la persona al centro della sua azione». Promessa presto tradita, anche se ha comunque consentito alla magistratura di costruire un nuovo e impegnativo diritto fondamentale – “il diritto all’esistenza”. Dobbiamo concludere che, nel silenzio o nell’ostilità delle istituzioni europee, sono i giudici a costruire l’Europa possibile, realizzando una nuova connessione tra diritti e democrazia fondata sui bisogni effettivi delle persone? Per giungere a questo risultato, bisogna liberarsi dall’ipoteca rappresentata dalla considerazione della legge di mercato come nuova legge naturale. La connessione così cercata esige invenzioni istituzionali che restituiscano ai diritti una legittimità non dipendente dalla relazione obbligata con la logica proprietaria. Questo accade grazie all’attenzione per i beni comuni, per la conoscenza come bene pubblico globale, per un reddito di dignità. Deperisce la legittimazione assoluta della proprietà come unico fondamento legittimo dell’azione pubblica.
Ma la ricerca di una connessione nuova si coglie anche in mosse concrete della politica. Nel programma di Hillary Clinton compaiono la garanzia del salario minimo, il diritto universale di mandare i figli all’asilo, una ridefinizione delle imposte, la presa di distanza dai trattati con l’area del Pacifico e con quella europea, finora negoziati senza trasparenza e volti a trasferire al sistema delle imprese poteri di governo del mondo che darebbero scacco ai poteri democratici.
La considerazione della vita materiale delle persone si presenta così come il punto d’avvio di una rinnovata consapevolezza della necessità di muovere dai loro diritti, come via per lo stesso successo elettorale.
Forse, però, le parole più limpide sono venute da Angela Merkel, quando ha dichiarato di fondare i suoi valori sulla premessa che «la dignità delle persone è intoccabile ». Non solo viene così stabilito il nesso più forte possibile tra azione di governo e riconoscimento integrale dei diritti grazie ad una parola forte come “dignità”. Si ribadisce in un momento difficile che vi è una sola, vera legittimazione della stessa azione di governo. L’orizzonte torna ad essere occupato dai diritti, che in tal modo non solo si ricongiungono con la democrazia, ma ne ridefiniscono continuamente il significato.
L’invenzione dei diritti si presenta così come un processo con una altissima capacità di trasformare il mondo e di dare risposte alle novità proposte da scienza e tecnologia. Risposte che si sottraggono alla pura logica di mercato, perché trovano la loro legittimazione proprio nel permanente rilievo della loro connessione con la logica della democrazia.
Fonte: La Repubblica
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