di Ivan Grozny Compasso
Volontari e rifiuti: nei Giochi dei grandi numeri rappresentano l’altra faccia della medaglia. Indispensabili, ma fuori dai riflettori. Preziosi, eppure considerati poco. A modo loro “campioni” in queste storiche Olimpiadi brasiliane. Sono sempre grandi i numeri, quando si parla di Rio 2106. Cifre in migliaia che si tratti di giornalisti, atleti, militari a servizio della sicurezza o impiegati e volontari. Questi ultimi meritano attenzione perché ogni giorno fanno sì che tutto funzioni al meglio. Sono, coloro che garantiscono un servizio essenziale, senza il quale la “macchina olimpica” non funzionerebbe mai.
I volontari arrivano alle 6 e si dispongono per file. Bisogna dire che i brasiliani sono abituati: sono molto pazienti e sanno aspettare il proprio turno. Lo fanno alla fermata del bus, in posta o per pagare le bollette. La mattina a quell’ora può anche esserci parecchio freddo, soprattutto per via del vento. Non deve essere piacevole aspettare anche mezz’ora. L’iter prevede i suoi tempi. Quando si arriva finalmente all’entrata, si deve esibire il pass, si transita attraverso un metal detector e poi si viene perquisiti. È così tutti i giorni, sia ad entrare che ad uscire. Solo alcuni responsabili, con pass di un colore particolare, possono muoversi liberamente. Per tutti gli altri il percorso quotidiano di accesso ai Giochi è questo.
Molti dei lavoratori sono retribuiti. Quelli che occupano, seppure temporaneamente, ruoli manageriali, di tipo amministrativo, informatico, logistico o organizzativo, ricevono fino al termine dei Giochi Paraolimpici, una paga considerevole. Molti sono brasiliani che sono rimasti a vivere nei luoghi dove hanno studiato, come il Canada, gli Usa o l’Europa. Le altre categorie di lavoratori meno specializzati ricevono compensi che sono mediamente alti rispetto alla media degli stipendi brsiliani. Tuttavia, ai Giochi c’è un universo di volontari non retribuiti: come è successo con Expo a Milano, confidano che quest’esperienza possa aprire loro delle porte.
A selezionare tutte queste figure professionali, specializzate o meno, è Gmr Marketing. Un’azienda nata per grandi manifestazioni come le Olimpiadi. Si occupa di tutto e il Cio ha appaltato la grande commessa. Tant’è che apre proprio in questi giorni una sede in Korea del Sud, dove nel 2018 si terranno i Giochi invernali. Dopo la selezione, il personale, al momento di firmare il contratto, tra le varie clausole accetta l’obbligo di non svelare di chi sono dipendenti. È in realtà il segreto di Pulcinella e qualcuno comincia a chiedersi cos’hanno da nascondere.
Che il Cio da tempo passi soltanto per quest’azienda lascia qualche dubbio visto i precedenti in casi analoghi. Il gruppo si dichiara primo partner di Humana, la multinazionale del lavoro in affitto, ma è chiaro che c’è più di una semplice partnership. Gmr Marketing si occupa anche di organizzare eventi speciali, i ricevimenti, la logistica, la mobilità, eccetera. Offre servizi di ogni tipo in occasione di grandi eventi. Il Cio, di fatto, le delega e appalta tutto. I criteri però non sempre sono trasparenti. Fino ad ora, a parte qualche mugugno da parte degli osservatori più smaliziati, nulla di più.
Ma sembra inevitabile che il “caso” possa presto esplodere, perché in questi Giochi di Rio 2016 è davvero un’impresa trovare un addetto o una persona coinvolta che non dimostri professionalità, disponibilità e cortesia; ma nello stesso tempo è chiaro che la “macchina organizzativa” per permettersi stipendi medio alti per alcuni lavoratori, deve pagare poco molti altri e contare molto sui volontari.
Comunque, i ritmi di lavoro sono altissimi. Gli eventi sportivi si susseguono uno dietro l’altro e solo la non eccezionale affluenza di pubblico non ha reso ancora più stressante il lavoro. In queste occasioni non ci sono orari e i ritmi non possono che essere alti.
Mentre si osserva la scena dei volontari che attendono il proprio turno per entrare, sullo sfondo si scorgono le tute arancioni di alcuni Garì, i netturbini di Rio de Janeiro. Alcuni stanno distribuendo il giornale del sindacato autonomo. Lo fanno circospetti perché più di una volta la polizia ha impedito questo tipo di attività fuori dai luoghi dove i lavoratori terminano o cominciano il turno.
In questi giorni di Olimpiadi molti di coloro che hanno mobilitato la categoria di lavoratori negli ultimi due anni si possono incontrare nelle varie sedi sparse per la città mentre rilanciano la campagna sindacale. Chiedono garanzie per il lavoro, che migliorino le condizioni degli operatori e che sia finalmente messo in atto un progetto serio sul trattamento dei rifiuti in città. Non solo in Zona Sul, ma anche nelle altre aree di Rio.
Hanno idee chiarissime sul punto: la necessità di differenziare i rifiuti, l’urgenza di organizzare in maniera più efficiente la raccolta e soprattutto mettere nelle condizioni, tutti i cittadini, di vivere lontano dall’immondizia.
I Garì sono tra i pochi gruppi organizzati, forse l’unico, che non sposa la campagna Fora Temer. E hanno posizioni sorprendenti. In politica, ma anche nello sguardo che coltivano su Rio. Sostengono che «non c’è stato nessun golpe, perchè qui c’è una classe politica spaventata: sa perfettamente che possono finire davvero tutti in galera». Gli spazzini sindacalizzati di Rio insistono: «Vedi, noi non stiamo aspettando di vedere dove porta l’operazione Lava Jato, o di vedere se Lula riesce a farsi rieleggere e cambiare la legge sulla giustizia che eviterebbe guai a lui, ai parlamentari e agli esponenti di qualsiasi partito. Noi non vogliamo troppo occuparci di questo, perché ci impedirebbe di vedere il percorso che dobbiamo portare avanti. Siamo più di 25 mila, viviamo nelle zone più periferiche della città, eppure offriamo un servizio di cui Rio de Janeiro non può fare a meno».
È la sociologia dei rifiuti metropolitani sul campo. In tutti i sensi: «Calpestiamo ogni angolo, sentiamo la voce delle persone, comprendiamo le loro esigenze che sono le nostre. E quindi non possiamo aspettare che torni un uomo a promettere di salvarci e migliorare la nostra condizione. È ora, che il popolo brasiliano prenda in mano il suo destino».
Fonte: il manifesto
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