di Antonello Catacchio
«Bastardi». Così si conclude il documentario Versus: The Life and Films of Ken Loach di Louise Osmond. È lo stesso Ken a dire quella parola che inquadra perfettamente il suo pensiero anche se, essendo una persona perbene, la dice sorridendo. Parola che appare anche in precedenza nel documentario quando Loach spiega che aveva deciso di smettere con il cinema perché ormai si sentiva vecchio, poi i Conservatori («bastardi») hanno vinto di nuovo le elezioni e allora lui decide che bisogna fare qualcosa. Il risultato è uno dei film più intensi e commoventi degli ultimi anni: I, Daniel Blake, già Palma d’oro a Cannes (la seconda per Loach dopo Il vento che accarezza l’erba) presentato trionfalmente a Locarno in piazza Grande.
«Credo che la nostra società sia più che ferita – dice Loach – sta collassando. Credo che il sistema economico stia distruggendo la gente e le loro vite. E penso che nel giro di due o tre generazioni il mondo non potrà sopravvivere.
«Credo che la nostra società sia più che ferita – dice Loach – sta collassando. Credo che il sistema economico stia distruggendo la gente e le loro vite. E penso che nel giro di due o tre generazioni il mondo non potrà sopravvivere.
Bisogna sfuggire alla tirannia delle multinazionali che sfruttano il mercato». E nel documentario emerge anche il lato «oscuro» del regista quando, ma di questo in famiglia non si può neppure parlare, realizzò una pubblicità per quelle multinazionali che detesta. Questioni alimentari perché per molti anni Loach venne praticamente messo al bando per la sua visione ritenuta eccessivamente politica. Del resto dietro l’apparenza mite Ken è irremovibile nelle sue convinzioni. Lo prova la sua carriera fatta di grandi successi (all’estero) e di grandi boicottaggi (in patria). Eppure aveva saputo sconvolgere con The Wednesday Play negli anni ’60 perché portava in tv i drammi della gente comune, grazie al fatto che la Bbc apriva un secondo canale, un successo, ma la cosa fu piuttosto controversa. Channel 4 fece di peggio commissionò a Loach una serie di documentari sul rapporto tra l’allora primo ministro Thatcher e i sindacati. Mai andati in onda (se non anni dopo devitalizzati) perché i papaveri delle Unions ne uscivano come traditori della classe operaia. E Loach non ha dubbi sul fatto che solo la lotta di classe possa portare a un cambiamento, lo dice e lo ripete.
Nel documentario scorrono immagini d’epoca, quando a Oxford il cineasta avrebbe dovuto diventare avvocato (sogno del babbo, classe operaia, ma conservatore) lui invece recitava nella compagnia universitaria con risultati spesso esilaranti, occasione per una figlia di parlare della passione del padre per il musical e per i lustrini, anche se si guarda bene dal ballare. Raccontano i fedeli sceneggiatori, lo scomparso Jim Allen (Riff Raff, Piovono pietre) e Paul Laverty (tutti i film di Loach dalla fine degli anni ’90 a oggi), alcuni attori, molti figli (emerge anche una tragedia privata con un figlio di cinque anni perso in un incidente d’auto).
Fanno capolino anche i documentari che Ken ha realizzato, non citato ma imperdibile The Spirit of ’45, che sembra essere la risposta allo smarrimento kafkiano di I, Daniel Blake. Infatti Loach insiste sul fatto che si può cambiare direzione solo con la solidarietà di classe che la Gran Bretagna del secondo dopoguerra aveva conosciuto e praticato avendo il coraggio di silurare alle elezioni il conservatore Churchill (che pure l’aveva portata alla vittoria) per premiare i laburisti. Non come il «laburista» Blair che con Bush ha scatenato una guerra pretestuosa e inutile che ha provocato centinaia di migliaia di morti le cui conseguenze sono ancora devastanti. «Andrebbero processati». Perché Ken, a ragione, li considera qualcosa di peggio che «bastardi».
Fonte: il manifesto
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