La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 11 agosto 2016

Di fola in fola Renzi cambia strategia referendaria

di Alfonso Gianni
Nei pressi di Modena, Renzi ha confessato di avere fin qui fallito le scelte della campagna referendaria. "Ho sbagliato a personalizzare troppo il referendum". Così si è espresso, aggiungendo che se la riforma ha un padre, questi è Giorgio Napolitano. Non ne avevamo dubbi: dare a Cesare quel che è di Cesare. NSolo qualche settimana fa un esperto di sondaggi e comunicazione mi confidò che per Renzi vincere il referendum costituzionale era come tirare un calcio di rigore. Solo che il Presidente del Consiglio ha preso una rincorsa alla Simone Zaza, il nostro pseudo rigorista messo in campo a questo scopo da Antonio Conte nei quarti di finale degli ultimi europei di calcio.
Alla fine, anche Renzi se ne è accorto. Oppure è stato Jim Messina, il guru della comunicazione ingaggiato da palazzo Chigi, ad avvertirlo, ma cambierebbe poco. Sta di fatto che la strategia cambia. Ma se possibile in peggio. Renzi si affida alla peggiore demagogia e promette che i 500 milioni di euro che la sua riforma farebbe risparmiare per la diminuzione dei costi della politica andrebbero ad alimentare il Fondo di contrasto alla povertà. Secondo lui, quindi, i poveri d'Italia, e sono purtroppo milioni secondo le serie statistiche dell'Istat, dovrebbero accorrere alle urne a votare Sì.
Ma le cose non stanno così e la demagogia, per di più viziata da falsità, può rivelarsi un pericoloso boomerang. Infatti Renzi fa riferimento a 500 milioni di euro risparmiati senza fornirne alcuna dimostrazione. Ma anche questa non è una novità. Alo stesso argomento ricorre spesso Maria Elena Boschi durante le sue frequenti comparse televisive e de visu. I sostenitori del Sì lo possono fare spesso data la disparità di accesso ai mass media che li avvantaggia enormemente e su cui chi è preposto a vigilare dovrebbe intervenire e invece non lo fa. Tuttavia la quantità dei pronunciamenti e delle comparizioni non garantisce affatto la loro qualità.
Sia Renzi che la Boschi fanno riferimento, quando parlano di 500 milioni di euro risparmiati, essenzialmente alla presunta abolizione del senato. Ma la loro "deforma" non lo abolisce affatto. Semplicemente lo rende una camera non più elettiva, sottratta alla libera scelta dei cittadini, ma non per questo priva di poteri legislativi e costi di funzionamento. Si dirà che i "senatori", provenendo dai consigli regionali e dal ruolo di sindaci non godono di ulteriori indennità. Il loro stipendio resterebbe a carico delle istituzioni di provenienza. E già questo è solo parzialmente vero, perché comunque graverebbero sulle pubbliche finanze per spese di viaggio e altro connesso all'esercizio della loro duplice funzione. Che appunto essendo tale è da dubitare che venga svolta efficacemente in entrambi i ruoli.
Ma soprattutto, restando il senato in piedi, continuerebbe a costituire un costo vivo in termini di personale, di servizi, di spese per la manutenzione e l'affitto dei locali e altro ancora. Queste sono le voci di bilancio che non possono essere eliminate e neppure compresse. Per questo fonti autorevoli nel conteggio dei costi delle istituzioni statuali, quando parlano di risparmi, non vanno al di là di 47/48 milioni di euro. Ma anche quest'ultima potrebbe rivelarsi una stima tutto sommato ottimistica. Dal momento che se passasse la revisione costituzionale avremmo un iter legislativo ancora più confuso e farraginoso dell'attuale "navetta" fra camera e senato (basta leggersi l'incredibile pasticcio lessicale-contenutistico rappresentato dall'articolo 70 della legge Renzi-Boschi), è da attendersi che quella tipologia di spese sia destinata a levitare anziché a sparire.
Sostituire un bicameralismo "perfetto", come venne definito l'attuale, con uno imperfetto e confuso può addirittura aumentare i costi della politica. E di questa prevedibile eterogenesi dei fini i primi a pagarne lo scotto, in termini di una nuova beffa, sarebbero i sempre più numerosi poveri di questo paese. I quali, per vedere mutare la loro condizione, avrebbero bisogno di politiche economiche completamente diverse da quelle attuali, espansive e non ispirate a una cieca austerità, e non di cambiare 47 articoli della seconda parte della Costituzione che finiscono per impedire che i principi che sono contenuti nella prima parte vengano effettivamente attuati. Tra questi vi è il celebre articolo 3 che al secondo comma recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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