di Valentino Parlato
Vorrei raccomandare ai compagni lettori di questo testardo quotidiano di leggere quanto ha scritto Alberto Burgio in una recente riflessione sulla situazione presente (il manifesto del 4 agosto). In quell’articolo Burgio pone con forza il problema, grave e attuale, della crisi della politica, attraverso la quale, bene o male, agiscono i nostri cittadini. L’autore è molto secco: «E’ sempre più insistente – scrive – la sensazione che la politica sia morta, ridotta a (mala) amministrazione dell’esistente». D’accordo.
E’ la realtà di questi tempi, confermata ovviamente dalla clamorosa crisi dei partiti, che non è solo italiana, ma investe gli Stati uniti, dove i cittadini voteranno per una rappresentante della finanza o per il grottesco miliardario Trump e anche l’Inghilterra, come si è potuto constatare con la Brexit, la Francia dove cresce la leader del Front National, Marine Le Pen, la Spagna, e anche l’Italia come hanno confermato le ultime elezioni amministrative, e dove crescono l’astensionismo e l’antipartito dei 5 Stelle. Il confronto con i tempi nei quali c’erano il Pci di Togliatti, il Psi di Nenni, il Pri di La Malfa e anche la Dc di De Gasperi deprime assai. Aggiungo che l’attuale crisi investe anche Tv, stampa quotidiana e pure l’editoria che in passato non poco hanno contribuito alla vitalità della politica.
Bisognerebbe concentrarsi sulle cause e la dinamica di questa “morte della politica”: chiedersi, per esempio, come è cambiato in questi ultimi tre decenni il rapporto – anche il rapporto di forze – tra politica (istituzioni, rappresentanza, democrazia) ed economia (produzione, finanza, proprietà). Dovremmo di conseguenza chiederci anche dove risiede la sovranità in un paese come l’Italia e chi effettivamente la eserciti. Se le leggi vigenti (a cominciare dalla Costituzione, che l’attuale governo intende stravolgere) garantiscono ancora che siano i cittadini ad assumere le scelte fondamentali.
Se non ci rassegniamo a subire la “morte della politica”, studiare la situazione, individuare le cause. Il comune buon senso ci dice che senza una seria diagnosi non si cura nessuna malattia. Parliamo tanto di sinistra – della sinistra che non c’è, della sinistra che vorremmo – ma poi non ci impegniamo a mettere in cantiere riflessioni collettive che per la sinistra sarebbero davvero indispensabili.
Noi del manifesto avevamo pubblicato, insieme a Massimo Loche, nel novembre del 2014, un librino dal titolo Una crisi mai vista. Suggerimenti per una sinistra cieca con interventi di Burgio, Ciocca, Ferrajoli, Indovina, Katrougalos, Lunghini, Mazzetti, Pugliese, Ridao. Quello scritto si occupava di economia. Ma ora è evidente che il cattivo andamento della produzione e dell’occupazione (e forse un’insufficiente volontà di conflitto del sindacato) hanno fortemente indebolito i lavoratori e i sindacati e, soprattutto, tolto dalla scena quel fattore che si chiama speranza che è stato sempre decisivo per i movimenti e le lotte sociali e politiche: «Il sole dell’avvenire» appartiene al futuro, ma agisce sul presente.
E’ in corso – come titola il libro di Erik Brynjofasson e Andrei McAfee La nuova rivoluzione delle macchine che si differenzia dalla nostra era industriale, come quest’ultima si differenziava dall’agricoltura e che secondo il Nobel Leontief dovrebbe ridurre il ruolo delle persone come era stato per i cavalli in agricoltura, quando entrò in campo il trattore. Forse un eccesso di pessimismo contro il quale altri accademici hanno sostenuto che nel prossimo futuro la sicura perdita di peso del lavoro vivo per unità di prodotto sarà compensata dalla crescita della produzione globale. Insomma, grandi cambiamenti in arrivo e di incerto esito, ma dei quali la nostra attuale politica non si occupa affatto.
E ancora, c’è e incombe una storica crisi economica come è largamente sostenuto e come ben ci spiega Pierluigi Ciocca (il manifesto 10 agosto) e come scrivono giornali e riviste, che dovremmo leggere con più attenzione. Aggiungo che l’attuale crisi, a differenza di quella storica del 1929, non scuote la cultura: stagnazione dell’economia e stagnazione della cultura. Un circolo vizioso. Nel nostro passato non sono mancate crisi economiche, ma contemporaneamente quella crisi provocava una straordinaria vivacità culturale che nasceva dalla crisi e ne approfondiva le cause: impegnati saggi di analisi economica e sociale e anche quei romanzi (basta pensare a Furore di Steinbeck) e quei film che fino a dopo la seconda guerra mondiale hanno animato la nostra giovinezza e la lotta politica. Dobbiamo renderci conto, ed è sotto i nostri occhi, che senza cultura la politica – come scrive Alberto Burgio – muore. Il manifesto può offrire gli strumenti per uscire dalla attuale passività sollecitando una discussione che mobiliti e apra una battaglia culturale e politica. Proviamoci.
Fonte: il manifesto
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