di Luca Tancredi Barone
Si chiude oggi il quinto giro di consultazioni di Felipe VI in dieci mesi. Suo padre Juan Carlos ne aveva fatti 10 in 36 anni. Stavolta però la crisi politica spagnola si sta per chiudere. Gli ultimi a parlare con il monarca oggi, per ordine inverso di grandezza, saranno i quattro leader dei partiti principali. Dopodiché, entro domenica, Mariano Rajoy si dovrà presentare in parlamento due volte: alla prima verrà di nuovo bocciato, ma in seconda votazione, probabilmente fra sabato e domenica, a poche ore dal termine ultimo prima del secondo scioglimento anticipato, acquisirà i pieni poteri di capo del governo. La Spagna è senza governo dal dicembre scorso.
La situazione è cambiata grazie al terremoto socialista che ha spazzato via il segretario del «No è no», Pedro Sànchez, e ha consegnato transitoriamente il potere ai rappresentati dell’ala più legata al «sistema».
Domenica scorsa, in un Comitato federale storico, il Partito socialista operaio spagnolo ha deciso per la prima volta di consegnare il potere al Partito Popolare. Senza chiedere nulla in cambio. La posizione, approvata da meno del 60% del partito e senza consultare le basi, sarà quella di votare No in prima votazione e di astenersi nella seconda, quella che con la maggioranza semplice dei voti darà a Mariano Rajoy le chiavi dell’esecutivo. Ma la spaccatura del partito socialista rimane: c’è chi si arrampica sugli specchi per spiegare che è la migliore soluzione per la Spagna – nuove elezioni restituirebbero la maggioranza assoluta al Pp, spiegano – e chi invece, nonostante le velate minacce, ha già detto che in nessun caso voterà l’astensione a Rajoy. Tra cui i socialisti catalani e quelli delle Baleari, nonché altri parlamentari di spicco. La commissione di gestione del partito, che non ha ancora fissato un congresso, non si è ancora sbilanciata sulle conseguenze per chi «disubbidirà» agli ordini di scuderia, ma i dissidenti già chiedono «generosità» e «comprensione».
Comunque, al Pp bastano solo 11 astensioni. Rajoy, che vede la sua strategia attendista e passiva premiata dai fatti, definisce quella socialista una «decisione ragionevole», mentre Unidos Podemos si considera la «vera opposizione» al Pp. Il leader di Izquerda Unida e portavoce aggiunto di Unidos Podemos, Alberto Garzón, che ha visto il re ieri, ha definito l’astensione come «tradimento storico» e, in riferimento al dibattito che sta dividendo Podemos, ha assicurato che l’opposizione sarà sia nelle piazze che nelle istituzioni. Infatti, ha spiegato Garzón, è ovvio che l’appoggio del Psoe al Pp comporterà anche altri «accordi programmatici», come il sostegno alla legge di bilancio lacrime e sangue fra pochi giorni. Nel frattempo la direzione di Podemos ha fatto sapere che, benché le federazioni locali siano sovrane, sosterrà l’eventuale loro decisione di ritirare l’appoggio ai presidenti regionali socialisti.
Inizia una legislatura che sarà certamente movimentata. Ma il Pp, nonostante la perdita di più di 4 milioni di voti e della maggioranza assoluta, tornerà a occupare la stanza dei bottoni. Vedremo se e come Rajoy saprà navigare in questo nuovo panorama politico.
Fonte: Il manifesto
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