La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 18 ottobre 2016

Le bombe made in Italy in Yemen e la difesa di Pinotti-Pinocchio

di Giorgio Frasca Polara 
Una foto inequivocabile apparsa su un autorevole settimanale (su riproposta) e le gravi dichiarazioni che in seguito alla sua pubblicazione ha fatto in Parlamento la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, hanno riacceso nelle ultime ore i fari sulle pesanti responsabilità che l’Italia si assume con la fornitura di armi (non solo bombe, ma almeno anche cacciabombardieri) all’Arabia Saudita che le usa per colpire, nello Yemen, aree civili, ospedali, strutture sanitarie, scuole, e persino, secondo la non smentita denuncia di un deputato, una fabbrica italiana in funzione nei pressi di Riyadh.
È stata Famiglia Cristiana a a dare improvvisamente impulso alla lunga campagna delle organizzazioni pacifiste pubblicando qualche giorno fa la foto di un ordigno MK82 rinvenuto nello Yemen (dove l’aggressione si sta proprio ora drammaticamente inasprendo), e con tutta evidenza sganciato in seguito di uno dei tanti bombardamenti della Royal Saudi Air Force. Bene anzi malissimo: la bomba (inerte, e poi diamo la spiegazione) recava alcuni codici chiarissimi agli esperti, tra cui quello delle due fabbriche italiane che l’hanno prodotta: la Imz SpA di Vicenza (che ha fabbricato l’involucro) e la Rwm SpA di Domusnovas, in Sardegna, che normalmente fornisce l’esplosivo; e quello del passaggio attraverso la Difesa-Direzione generale degli armamenti. Com’è finita, questa bomba (e tante altre, come vedremo), in Arabia Saudita?
La questione è stata posta da alcuni deputati del Movimento 5 Stelle alla ministra della Difesa, Roberta Pinotti, nel corso del settimanale question-time alla Camera. E la replica ha aspetti di notevole gravità:
– intanto c’è la conferma che, in piena libertà, “la ditta Rwm ha esportato [bombe] in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente”, come ha detto testualmente Pinotti spiegando che “le richieste [di esportazione] delle imprese italiane sono gestite dall’Unità per le autorizzazioni di materiale di armamento (Uama)”, organo interministeriale Difesa-Esteri. Ma non ci sono le disposizioni della legge 185 che vietano di destinare armi in aree “sensibili”? Non ci sono le solenni raccomandazioni dell’Onu e dell’Unione europea di non fornire armamenti di alcun genere alle parti in conflitto nello Yemen? La ministra non ha fatto alcun riferimento a queste circostanze;
– la ministra Pinotti avrebbe comunque potuto smentire la pericolosità almeno di quel particolare ordigno su cui è precisato (sotto la “carta d’identità numerica”) che si tratta di “inert bomb”. Non lo ha fatto a ragion veduta. Gli esperti militari sanno che non si tratta di bombe meno pericolose: di norma sono caricare con materiale inerte (cemento, ferro, acciaio) per colpire bunker o abitazioni senza produrre esplosioni collaterali. Lo fa anche Israele;
– poi, il notorio, pessimo dato-alibi che, comunque, “l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale (Onu, Unione europea) nel settore delle vendite di materiale di armamento”, e men che mai – sottinteso – da parte italiana, che insiste nell’ignorare le raccomandazioni Onu-Ue. C’è anzi da aggiungere che recentemente il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza un emendamento (di socialisti, sinistra verdi liberali) ad una risoluzione che sottolinea la necessità e l’urgenza di por fine alla guerra nello Yemen. Questo emendamento impegna l’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, a lanciare una iniziativa volta a imporre a tutti i paesi comunitari un “severissimo” embargo di armi nei confronti dell’Arabia Saudita. Forse Pinotti non è informata;
– comunque la ministra della Difesa è di certo informata che l’Italia contribuisce a rifornire l’Arabia Saudita (contro la legge 185) anche di potenti cacciabombardieri Eurofighters, prodotti da un consorzio internazionale (Italia, Gran Bretagna Germania e Spagna), con i quali probabilmente vengono sganciate nello Yemen proprio le bombe MK82 prodotte in Italia. Di questi caccia la Finmeccanica produce parti a Torino e a Foggia che vengono poi assemblate a Whorton dalla Bca System. Nell’ultimo anno, di questi caccia, sono transitati per l’area militare dello scalo aereo di Bologna sei coppie dirette a Riyad;
– certo, bombe italiane e caccia consortili bombardano lo Yemen, ma (manco a dirlo) “questo certamente non vuol dire che il governo italiano non sia preoccupato per quel che sta avvenendo nello Yemen”, ha cercato di concludere la ministra.
Ma questo punto (nel corso dello stesso botta-e-risposta) è stato inevitabile il collegamento tra le bombe impunemente esportate in Arabia Saudita e la recentissima visita di Stato che la stessa ministra Pinotti ha fatto in quel paese. Per caso si è discusso di ulteriori forniture di armamenti? Risposta testuale:
Si è discusso della lotta al terrorismo internazionale perché l’Arabia Saudita fa parte della coalizione anti-Isis. Si è discusso anche dei conflitti in atto, ed è stato espresso il punto di vista italiano che certamente ha punti di differenza anche notevoli con quelli del governo saudita.
Come dire che nulla osta alla fornitura di bombe, salvo poi a salvarsi l’anima esprimendo qualche punto di vista “differente”, forse proprio sul caso-Yemen. Chissà se durante la visita di Stato, la ministra ha appreso che, “nell’ultimo bombardamento, con quelle bombe italiane – ha sostenuto il deputato Luca Frusone nel concludere il minidibattito con Pinotti – è stata colpita una fabbrica italiana. Stanno utilizzando bombe italiane per bombardare italiani”…

P.S. La Rete italiana per il disarmo riferisce di aver presentato esposti-denuncia in diverse Procure della repubblica per segnalare, sulla base di precisi elementi, che solo negli ultimi mesi, sono state effettuate almeno sei spedizioni dall’Italia verso l’Arabia Saudita di tonnellate di bombe. Ben sei motivi per sollecitare misure conseguenti ad una triplice violazione: del Trattato internazionale sugli armamenti (Att); della Posizione comune Ue del 2008 sull’export militare; della legge italiana 185 del 1990 e successive modifiche che impone all’Italia “sistematiche e ponderate valutazioni caso per caso e ogni volta che le esportazioni di materiale di armamento riguardino destinazioni sensibili”.

Fonte: ytali.com 

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