di Alfredo Luis Somoza
Uno dei grandi filoni del dibattito politico in Europa riguarda la cosiddetta "austerity", e cioè l'approccio alla gestione dei bilanci pubblici degli Stati membri che, quando c'è da operare un salvataggio economico, caratterizza le raccomandazioni e soprattutto l'agire delle "troike" europee. Che sono formate dalla Commissione, dalla Banca Centrale e dal FMI. I difensori dell'austerità, soprattutto nei Paesi del Nord, sostengono che per rimettere in carreggiata uno Stato non esistono altre strade all'infuori del taglio alle spese che generano deficit: dalle pensioni alla sanità fino alle privatizzazioni dei beni pubblici. Il rigore di bilancio, secondo i suoi cultori, sarebbe in grado di risanare e rilanciare un Paese.
Contro questa tesi si schiera un fronte eterogeneo, che va dalle forze anti-sistema ai vari populismi, dalle sinistre tradizionali fino agli insospettabili, cioè capi di Stato o primi ministri come François Hollande o Matteo Renzi, che chiedono costantemente all'Unione Europea di allentare, appunto, l'austerità. Nelle ultime ore la voce autorevole di Barack Obama si è aggiunta al coro dei critici dell'austerity che, a breve, non avrà più "padri nobili".
Contro questa tesi si schiera un fronte eterogeneo, che va dalle forze anti-sistema ai vari populismi, dalle sinistre tradizionali fino agli insospettabili, cioè capi di Stato o primi ministri come François Hollande o Matteo Renzi, che chiedono costantemente all'Unione Europea di allentare, appunto, l'austerità. Nelle ultime ore la voce autorevole di Barack Obama si è aggiunta al coro dei critici dell'austerity che, a breve, non avrà più "padri nobili".
La tesi dei critici "istituzionali" è che una serie di spese, soprattutto quelle che si configurano come investimenti, andrebbero tolte dal conteggio degli indicatori macroeconomici sottoscritti dai membri dell'Unione Economica e Monetaria europea. Indicatori stabiliti nel Trattato di Maastricht del 1992: erano i tempi in cui iniziava il decennio dorato della globalizzazione dei mercati, con tassi di crescita che galoppavano non solo in Cina. Parametri giusti per un ciclo economico positivo.
Il punto è che quei parametri sono stati scolpiti nella roccia, sono considerati cioè intoccabili nonostante non si addicano a un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo dal 2008. E così i "paletti" che erano buoni per le vacche grasse sono diventati un problema in tempi di vacche magre.
Perché, senza fare ricorso alle teorie di Keynes usate così a sproposito in tempi recenti, è evidente che in un momento come questo gli investimenti, pubblici o privati, e di conseguenza l'indebitamento, possono incidere nel tentativo di riattivare l'economia. È quello che ha fatto abbondantemente Barack Obama, con buon successo.
I critici di questo approccio dicono che interventi pubblici in tempo di crisi hanno il difetto di aumentare il debito. Vediamo però come sono andate le cose nei Paesi europei salvati da Bruxelles e che hanno dovuto accettare i dettami dell'austerity.
Dopo i piani di salvataggio, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda hanno tutti aumentato la loro esposizione sul piano del debito pubblico. Dai 7 punti in più rispetto al PIL dell'Irlanda, ai 30 della Grecia, ai 32 del Portogallo fino ai 39 della Spagna. Primo dato interessante, dunque: senza crescita economica non c'è austerity che tenga rispetto alla crescita del debito. Sulla disoccupazione, altra mela avvelenata della crisi, le cose sono andate in modo leggermente positivo per l'Irlanda, sono rimaste stabili per il Portogallo e sono precipitate per Grecia e Spagna, dove il numero dei disoccupati è raddoppiato tra il 2010 e il 2015.
Una categoria particolarmente colpita è stata quella dei giovani, con punte del 50% di disoccupati in Grecia e Spagna. Seconda lezione: l'austerity da sola, senza crescita economica, non genera posti di lavoro. Altri dati negativi riguardano l'aumento della povertà e il crollo degli investimenti diretti e della fiducia dei consumatori.
In conclusione, senza entrare nel merito della malattia che ha generato la crisi degli Stati "salvati", si può dire che l'unica ricetta disponibile a Bruxelles funziona palesemente solo per garantire stabilità, ma non riesce ad aggredire i problemi più drammatici generati dalla crisi economica né a rilanciare i Paesi.
Numeri alla mano, a distanza di quasi 25 anni i contraenti di Maastricht dovrebbero ritrovarsi per rivedere i parametri, magari inserendo clausole di aggiornamento in caso di cambiamento del ciclo economico. E soprattutto dovrebbero riflettere sul fatto che oggi l'unico obiettivo macroeconomico per l'Europa pare essere la mediocre gestione dei bilanci.
Fonte: Huffington Post - Blog dell'Autore
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.