Intervista a Stefano Rodotà di Daniela Preziosi
«Per un paese la Costituzione è il riferimento comune, una carta di identità di principi e valori in cui tutti si riconoscono. È il terreno comune su cui si può e si deve svolgere il dialogo. Una cosa è la discussione sulle leggi ordinarie, un’altra, tutt’altra, è la discussione sulle leggi costituzionali. Ma Renzi non tiene in conto questa fondamentale differenza». È una forte preoccupazione quella che esprime il giurista Stefano Rodotà – già parlamentare, accademico, garante della privacy, teorico dei beni comuni, candidato alla presidenza della Repubblica, insomma ottant’anni intensi di passione politica a sinistra.
In omaggio alla sensibilità del tema di cui ragiona, «il paese che rischia di essere lacerato da un governo divisivo», misura le parole con attenzione. Stava dicendo della Costituzione come terreno comune. «Ecco, invece oggi la Carta non è più guardata come tale. È come se oggi, nel pieno conflitto sulla modifica Renzi-Boschi, ciascuna delle parti finisca per identificarsi con una sua propria Costituzione».
In omaggio alla sensibilità del tema di cui ragiona, «il paese che rischia di essere lacerato da un governo divisivo», misura le parole con attenzione. Stava dicendo della Costituzione come terreno comune. «Ecco, invece oggi la Carta non è più guardata come tale. È come se oggi, nel pieno conflitto sulla modifica Renzi-Boschi, ciascuna delle parti finisca per identificarsi con una sua propria Costituzione».
Una modalità di conflitto, quello di questi mesi, che sembra l’esatto contrario di ciò che viene comunemente definito ’spirito costituente’?
"La grande preoccupazione dei costituenti, anche negli anni successivi al 1948, è stata quella di non far diventare la Carta un tema di divisione. Tant’è che quando durante i lavori dell’Assemblea ci fu l’espulsione dal governo dei comunisti e dei socialisti, il lavoro comune sulla Carta non si interruppe."
Ma a dicembre ci sarà un referendum per approvare o bocciare la riforma. I conflitti di questi mesi non sono fisiologici di una logica binaria, giocata fra sì e no?
"Solo in parte. A differenza di tutta la nostra storia precedente, oggi succede che il presidente del consiglio tende fortemente a identificarsi con la ’sua’ riforma e a sovrapporre le scelte che riguardano la stretta attività di governo con la ’sua’ riforma. Ma non può usare sulla Costituzione la stessa logica che userebbe per una legge ordinaria."
Quest’atteggiamento può avere conseguenze dal 5 dicembre in avanti, e cioè dal giorno dopo l’esito del referendum?
"Naturalmente dipende da chi vince, è banale dirlo. Non demonizzo la lunga campagna referendaria da maggio a dicembre: la discussione è aperta e continua. Ma è il tipo di confronto ingaggiato dal governo che preoccupa: non dovrebbe mai scivolare nella delegittimazione dell’avversario, non deve perdere di vista appunto il ’terreno comune’, non dovrebbe promuovere una logica divisiva, che esclude chi non è d’accordo."
Sta dicendo che se vincesse il Sì potrebbe esserci una parte di questo paese che non si riconosce nella ’nuova’ Costituzione?
"Sto dicendo che questo è il problema. Le Costituzioni hanno bisogno di legittimazione, i cittadini vi si devono riconoscere. Non sto dicendo ovviamente che tutti debbano condividerne ogni passaggio, ma tutti debbono sentirsi inclusi in quei principi e in quei valori. E questo processo non può essere ridotto una pura questione di maggioranza dei votanti. È un terreno delicato per un presidente del consiglio che ha deciso di fare in prima persona la battaglia per il Sì. Il rischio è che il 5 dicembre ciascuna parte dica ’io ho la mia Costituzione’. E la Carta anziché unire il nostro paese finirà per dividerlo."
Nel 2006, ai tempi del referendum confermativo della riforma di Berlusconi, il paese non appariva così diviso. Eppure quella riforma poneva il tema del federalismo spinto voluto dalla Lega. O è un’impressione dovuta al senno di poi?
"No, è vero che all’epoca la lotta politica c’era ma la divisione non era così profonda. Le condizioni erano tutte diverse, la ’devolution’ chiesta dalla Lega in effetti appariva molto più preoccupante di quello che poi si è rivelata. Ma soprattutto Berlusconi e i suoi fecero una campagna imparagonabile a quella di Renzi per intensità, tensione e anche presenza pubblica. E poi c’è una differenza politica di fondo fra il Renzi di oggi e il Berlusconi di ieri. Oggi Renzi punta sulla vittoria per rafforzare, anzi persino costruire la sua identità. Legittimo, certo, ma questo lo porta a esasperare tutti i toni."
Molti contestano allo schieramento del No di essere composto per lo più di elettori di Grillo e di destra che voteranno contro Renzi ’con la pancia’, con buona pace delle approfondite ma elitarie analisi dei giuristi e dei costituzionalisti.
"Qui c’è un altro punto della delegittimazione dell’avversario. Che significa ’votare con la pancia’? Renzi sta facendo una battaglia con toni più che arroganti e quindi è del tutto comprensibile che si diffonda una reazione individuale forte, diretta, emotiva. Che a qualcuno non appare mediata da sufficiente riflessione. Liquidare la ’pancia’ come un elemento non all’altezza del dibattito è una sottolineatura delegittimante. Schematizzo: il tema è se ti riconosco o no come interlocutore. Ed è la regola della democrazia."
Rovescio la domanda. Nel fronte del No, che spesso parla di un parlamento in parte o in tutto delegittimato dalla Corte costituzionale che ha cancellato la legge con cui è stato eletto e nominato, non c’è proprio la tendenza speculare, o la tentazione, di non riconoscere Renzi come interlocutore?
"Direi che questo pericolo non c’è, sarebbe una forzatura. Renzi esagera nei toni, è arrogante, ma resta il presidente del Consiglio. Certo, il suo stile e il suo linguaggio, oltreché la sua proposta di modifica costituzionale, sta cambiando di fatto il suo ruolo rispetto ai predecessori. Ma nessuno trascura che è il presidente del consiglio e che, comunque composta, ha una maggioranza."
L’esito del referendum cambierà in qualche misura la vita politica italiana. I comitati del No sono impegnati non solo per la difesa dell’attuale Costituzione ma per la sua attuazione concreta. Che farete dopo il 5 dicembre, andrete avanti?
"È un proposito che abbiamo pronunciato molte volte, e che ora potrebbe aver cambiato significato. Dipende dalle volontà, dalle persone che vorranno fare questa battaglia. Ma resta un fatto: il tema dell’attuazione della Costituzione ormai è stato posto, è emerso chiaramente, e in molti oggi sono consapevoli. Non potrà essere eluso."
Fonte: Il manifesto
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