di Duccio Facchini
Sulla scheda referendaria del 4 dicembre la modifiche del rapporto tra Stato e Regioni saranno indicate all’elettore come una “revisione” -perché così le definisce il titolo della legge approvata dal Parlamento-. In realtà, si tratta di una rivoluzione del “Titolo V” che assegna al raccordo Governo-Parlamento un potere tecnicamente “supremo”. A meno di quindici anni dalla sua entrata in vigore, la cosiddetta “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni viene cancellata. In teoria. Il “come” è sintetizzato da una tabella messa a punto dal Servizio Studi della Camera dei deputati, all’interno delle schede di lettura dedicate al nuovo articolo 117. In una colonna sono indicate le “nuove” “materie di competenza esclusiva dello Stato” (ventuno) e nell’altra quelle di “competenza delle Regioni” (otto).
Secondo il Governo, la nuova suddivisione dovrebbe porre un freno a quella che la Corte costituzionale ha definito l’“esplosione della conflittualità tra Stato, Regioni e Province autonome all’indomani della riforma del Titolo V” del 2001. Un fatto che per la Consulta è “innegabile”. Tra le ventuno materie “esclusive” dello Stato ci sono la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, le “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto”, i “porti e aeroporti civili”, la “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici”, l’“ambiente ed eco-sistema” (e non più la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”). “Vi sono indubbiamente degli aspetti positivi nel riordino delle competenze legislative -premette il professor Marco Giampieretti, del Dipartimento di Diritto pubblico dell’Università di Padova-. Materie che erano state attribuite alla competenza concorrente -come l’energia, le infrastrutture e le grandi reti-, o erano state addirittura rimesse alla competenza residuale delle Regioni -come il turismo-, tornano allo Stato. Tuttavia, bisogna tenere presente che ogni volta che si tocca la ripartizione delle competenze legislative tra enti, è inevitabile un periodo, più o meno lungo, di assestamento interpretativo. Quindi sarebbe buona regola fare interventi il più possibile mirati e non rivoluzionari”.
Secondo il Governo, la nuova suddivisione dovrebbe porre un freno a quella che la Corte costituzionale ha definito l’“esplosione della conflittualità tra Stato, Regioni e Province autonome all’indomani della riforma del Titolo V” del 2001. Un fatto che per la Consulta è “innegabile”. Tra le ventuno materie “esclusive” dello Stato ci sono la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”, le “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto”, i “porti e aeroporti civili”, la “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici”, l’“ambiente ed eco-sistema” (e non più la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”). “Vi sono indubbiamente degli aspetti positivi nel riordino delle competenze legislative -premette il professor Marco Giampieretti, del Dipartimento di Diritto pubblico dell’Università di Padova-. Materie che erano state attribuite alla competenza concorrente -come l’energia, le infrastrutture e le grandi reti-, o erano state addirittura rimesse alla competenza residuale delle Regioni -come il turismo-, tornano allo Stato. Tuttavia, bisogna tenere presente che ogni volta che si tocca la ripartizione delle competenze legislative tra enti, è inevitabile un periodo, più o meno lungo, di assestamento interpretativo. Quindi sarebbe buona regola fare interventi il più possibile mirati e non rivoluzionari”.
Al “fisiologico periodo di ridefinizione per via interpretativa degli equilibri tra Stato e Regioni” (Giampieretti) si affiancano due problemi: il coinvolgimento dei territori e l’effettivo superamento della legislazione “concorrente”. “È assai dubbio che venga cancellata del tutto la competenza concorrente -ragiona Enzo Di Salvatore, professore di Diritto costituzionale italiano e comparato presso l’Università degli Studi di Teramo e cofondatore del Coordinamento Nazionale No Triv-. La formulazione del nuovo testo è ambigua. In diversi punti si afferma infatti che lo Stato ha competenza esclusiva su ‘disposizioni generali e comuni’ in materia ad esempio di tutela della salute, di istruzione, turismo, governo del territorio. Con quell’espressione s’intende che tutto ciò che resta escluso spetterà comunque alle Regioni, per via della clausola residuale. E questa richiederà continui interventi da parte della Corte costituzionale, volti a definire gli ambiti delle materie”. Sul coinvolgimento dei territori, inoltre, Di Salvatore evidenzia un punto. “L’energia è una di quelle materie per le quali la Corte ha riconosciuto da subito la possibilità che lo Stato disciplinasse per intero la materia; tuttavia, in ragione del fatto che la riforma costituzionale del 2001 l’abbia ricondotta formalmente alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, essa ha affermato che le Regioni abbiano diritto di partecipare alle decisioni dello Stato. Rendendola ‘esclusiva’, invece, lo Stato farà quello che fa oggi, ma senza l’obbligo di dover garantire la partecipazione degli enti territoriali. Non discuto che l’energia possa tornare nelle mani dello Stato, quanto che in questo modo si butti all’aria il principio di collaborazione tra lo Stato e gli enti territoriali”.
A tutto questo si aggiunge un fatto: la revisione del Titolo V della Costituzione non si applica alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome fino a quando non sarà perfezionata la “revisione” dei rispettivi statuti. Cinque Regioni del Paese, dunque, continueranno a funzionare con regole diverse. E non solo rispetto alle competenze legislative. Non varrà nemmeno il presunto “tetto” agli stipendi dei consiglieri regionali e, come spiega il Servizio Studi di Montecitorio, “la definizione dei principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”. “Questa è una clamorosa contraddizione della legge costituzionale –ci ha spiegato l’ex presidente della Corte, Valerio Onida– dovuta forse al fatto che, procedendosi a deliberare con maggioranze ristrette -il che già contraddice il principio per cui in materia costituzionale si dovrebbe procedere sempre il più possibile con ampie convergenze-, il voto dei deputati e dei senatori provenienti dalle Regioni speciali era ritenuto essenziale”.
Accanto a questa disparità s’inserisce la cosiddetta “clausola di supremazia”, la novità più rilevante del “nuovo” articolo 117. “Su proposta del Governo -si legge nel Ddl sottoposto a referendum-, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Per il professor Giampieretti, “messa in questi termini e posta dopo l’elenco delle materie di competenza dello Stato e delle Regioni, di fatto si pone come possibilità per lo Stato di derogare alla ripartizione di competenze appena riformata”. L’esercizio del “potere sostitutivo” da parte del Governo è già previsto dalla Costituzione con riferimento alle competenze amministrative (articolo 120). Ma lo è per due delle tre “ragioni” citate dalla clausola di supremazia: “unità giuridica” e “unità economica”. L’“interesse nazionale”, invece, presente nel vecchio articolo 117 come limite alla potestà legislativa regionale, aveva dato luogo a gravi incertezze interpretative e applicative ed era stato quindi cancellato con la riforma del 2001. In questi anni, come spiega il Servizio Studi della Camera, la Corte costituzionale ha stabilito dei precisi “limiti che circoscrivono l’intervento statale”. La “deroga” deve infatti tener conto del “principio di leale collaborazione” tra gli enti, e allo Stato spetta l’onere di “assicurare un adeguato coinvolgimento delle Regioni”, raggiungendo delle intese. Richiami che il “nuovo” testo, invece, non riprende. Dunque, se la revisione costituzionale venisse approvata, lo “sconfinamento della legge statale in ambiti di pertinenza regionale”, prosegue il Servizio Studi, avrebbe di fatto carta bianca. Basterebbe l’“interesse nazionale”. “Fino a che punto la Corte costituzionale potrebbe spingersi nella valutazione della sussistenza e della consistenza dell’interesse nazionale? È una valutazione squisitamente politica -osserva Giampieretti-. Se il Governo e il Parlamento decidono che in una certa materia c’è l’interesse nazionale, la Corte dovrebbe limitarsi a verificare la ragionevolezza della loro decisione, non potendo sostituire la propria valutazione a quella del legislatore. Il rischio è dunque che con questa clausola lo Stato possa intervenire in qualunque materia con un alto grado di discrezionalità e di pervasività”.
Inoltre, stando all’interpretazione del Servizio Studi della Camera, “per le leggi di attivazione della ‘clausola di supremazia’ sono infine ammessi sia il ricorso alla decretazione di urgenza […] sia l’applicazione della procedura del cosiddetto ‘voto a data certa’”.
Alcuni comitati impegnati in tema di ambiente, energia o tutto quel che potrebbe ricadere sotto la “supremazia” incontrollata dello Stato, sono preoccupati. Le “Mamme no inceneritore” di Firenze (http://www.mammenoinceneritore.org) hanno preparato un appello rivolto anche alle associazioni ambientaliste, chiedendo loro una presa di posizione.
A salvaguardare gli interessi dei territori dovrebbe essere il “nuovo” Senato. La “riforma”, infatti, prevede che le “leggi di attuazione” della “clausola di supremazia” debbano seguire un “procedimento rafforzato”. In realtà, si tratta di una garanzia debole. La Camera dei deputati potrà superare le eventuali proposte di modifica del Senato con la semplice maggioranza assoluta. Una soglia che l’attuale legge elettorale assicura a un solo partito. Quello di governo.
Fonte: Altreconomia.it
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