di Pierfranco Pellizzetti
Le immagini giunte da oltre oceano, relative alla gita aziendale della ditta Renzi in quel di Washington, suscitano qualche turbamento al modesto palombaro in esplorazione delle viscere di questa strana Italia, a una quarantina di giorni dalla show-down referendario. E alquanto fastidio: non solo per l’ennesima, scontata, intromissione dei reggitori dell’ordine mondiale nella nostra scassatissima sovranità nazionale; bensì per l’effetto “cacicco del Bananas” prodotto dal nostro premier (“facciamoci riconoscere”) in visita premio; mentre gli è concesso per una volta di calcare la pelouse della magione padronale.
Con quell’espressione beata, tipo signor Porcone imbucato nel gran ballo della Croce Rossa di Montecarlo; mentre danza inopinatamente con un’esterrefatta Grace Kelly.
Con quell’espressione beata, tipo signor Porcone imbucato nel gran ballo della Croce Rossa di Montecarlo; mentre danza inopinatamente con un’esterrefatta Grace Kelly.
Sotto questo aspetto, gusti e disgusti personali di chi ha sempre trovato insopportabile la galleria di personaggi interpretati da Alberto Sordi, che riproponevano all’infinito il tema dell’italiano inadeguato e sopra le righe. Dunque notazioni insignificanti.
Più importanti le apprensioni, determinate dalla sensazione – confermata dalla marchetta Obama – che la potenza di fuoco guittesco-comunicativa messa in campo dal Renzi rischia davvero di ribaltare le previsioni sull’esito referendario. Ergo, l’impressione che lo svelto giovanotto stia riuscendo ad aggregare quel blocco sociale, costituito da abbienti e impauriti, su cui Berlusconi ha basato la propria ventennale avventura in politica; coronata (aihnoi) da non pochi successi.
Ribadisco lo schema che ho già proposto in questa sede: visto che quasi nessuno è realmente interessato alla materia referendaria, la scelta tra No e Sì diventa quella tra “vaffa” e “horror vacui”; tra chi non vede l’ora di mandare a quel paese l’ingombrante giovanotto che, con la sua petulanza pari solo all’inadeguatezza, ormai ha stufato e – di converso - quanti paventano comunque il vuoto che potrebbe determinarsi rottamando il rottamatore, nella logica del meglio Renzi che niente. Alternativa davvero non entusiasmante. Che in un Paese sfiduciato e sfinito quale il nostro potrebbe spostare le prevalenze nella pubblica opinione verso un continuista horror vacui; con relativo Sì.
Difatti, partita calcando il tasto dell’eccezionalità superomistica renziana, presto la propaganda del premier è virata di 180 gradi, attestandosi sul ricattatorio ma più efficace “dopo di me il diluvio”. Insomma, quella Casta che il referendum intende blindare, sta giocando a mezzo del suo proconsole venuto da Rignano la carta della paura che l’alternativa sarebbe un salto nel buio. E in questo si vede la mano degli spin-doctor USA ingaggiati per vincere il referendum e assicurarsi qualche decennio di inamovibilità. La straordinaria abilità della propaganda americana di ribaltare a vantaggio del committente i termini della questione; giocando sul mimetismo, l’infantilizzazione e riflessi condizionati americanisti diffusi.
Per cui ci si chiede: siamo in tempo per correre ai ripari? Certo, la partita ancora non è persa, anche se si continua a sbagliare repertorio argomentativo. A partire dalla retorica della “Carta più bella del mondo” che all’articolo 7 recepisce l’obbrobrio dei Patti Lateranensi. E pure ci mette del suo l’adozione di toni terroristici alla Grillo formato europee, che confortano i già convinti mettendo in fuga i dubbiosi.
Che fare? A parere dello scrivente, una volta aggiustato tiro e toni, magari con un minimo di coordinamento tra le varie voci del No, intraprendere un rush finale evitando l’ennesima tagliola che i renziani hanno piazzato sul terreno (in cui è incappato il povero Zagrebelsky): quel pretendere che la discussione si riduca a tecnicismi da legulei. Il referendum è la tappa di un processo articolato, preceduto da momenti in cui si è cancellato il soggetto lavoro abrogandone i diritti e seguito da graduali contrazioni della democrazia elettorale (spostamento della titolarità del voto dal corpo elettorale al ceto politico: dalle assemblee delle città metropolitane all’ipotesi di senato in ballo). Un disegno che va smascherato evidenziando le vere poste in palio, controbattendo con la realtà le astuzie e gli imbrogli di questi neo-democristiani post-democratici.
Fonte: Micromega online
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