di Gwynne Dyer
“Colpiscono qualsiasi cosa, ospedali, orfanotrofi, scuole”, raccontava sei mesi fa al Guardian Hisham al Omeisy. “Vivi con la paura costante che la scuola dei tuoi figli possa essere il prossimo bersaglio”. Non sta parlando dei russi che bombardano l’area orientale di Aleppo in Siria, un fatto che sta provocando tanta indignazione posticcia a Washington e a Londra. Parlava dell’aviazione dell’Arabia Saudita, grande alleata dell’occidente, che bombarda i suoi amici e vicini a Sanaa, la capitale dello Yemen.
La campagna saudita di bombardamenti sullo Yemen va avanti ormai da diciotto mesi ed è responsabile della maggioranza delle cinquemila vittime civili stimate fino a oggi. Ogni volta che il numero dei morti è particolarmente alto, le autorità saudite giurano che non è colpa loro. “Le nostre forze aeree hanno l’ordine esplicito di non colpire aree abitate e di evitare i civili” è il ritornello; non fosse che i sauditi sono i soli a disporre di forze aeree.
Un assegno in bianco con l’Arabia Saudita
Un esempio è quello del 9 ottobre, quando è stato colpito il Great Hall a Sanaa, un edificio molto grande e riconoscibile, privo di qualsiasi importanza militare. Dentro c’erano centinaia di persone arrivate per i funerali di Ali al Rawishan, padre dell’attuale ministro dell’interno Galal al Rawishan.
Il più giovane degli Al Rawishan è ministro dell’interno del governo in carica nella capitale, sostenuto dai membri delle tribù “ribelli” houthi provenienti dal nord dello Yemen e da una parte dell’esercito che appoggia ancora l’ex presidente Ali Abdullah Saleh. Al funerale di suo padre c’erano perciò molti anziani ufficiali houthi e sostenitori dell’ex presidente, oltre a numerose altre persone.
Per pura coincidenza, dobbiamo credere, un bombardamento aereo ha colpito per errore la Great Hall all’ora giusta nel giorno giusto per uccidere 150 persone e ferirne 525, tra cui è probabile che ci fossero una decina di funzionari governativi “ribelli”.
Perfino la Casa Bianca, che ha sostenuto con lealtà la guerra dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, ha dichiarato di voler avviare un’immediata revisione della sua politica. È la conseguenza di uno schema “problematico” di attacchi aerei sauditi ai danni di civili, ha dichiarato il portavoce del consiglio nazionale di sicurezza americano Ned Simon, che ha aggiunto: “La cooperazione degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita sulla sicurezza non è un assegno in bianco”. Ma lo è, in realtà.
Questa guerra ruota attorno alla capacità di Riyadh di controllare il governo yemenita. I due vicini hanno più o meno la stessa popolazione, ma l’Arabia Saudita è trenta volte più ricca, perciò non dovrebbe essere difficile.
Il dittatore Ali Abdullah Saleh, a lungo leader dello Yemen, era ostile all’Arabia Saudita, che ha approfittato delle proteste popolari contro di lui nel 2011-2012 (nel contesto delle primavera arabe) per progettare la sua sostituzione con un fantoccio saudita, Abd Rabbo Mansur Hadi.
A quel punto Saleh si è alleato con i suoi nemici di un tempo, le tribù houthi del nord dello Yemen, e ha reagito. Quando alla fine del 2014 le forze ribelli hanno occupato Sanaa e hanno costretto Hadi a lasciare il paese, Riyadh ha messo insieme una “coalizione” di stati arabi conservatori e ha lanciato l’intervento militare ancora in corso per riportare Hadi al potere.
Tuttavia, nessuno, nella “coalizione”, vuole rischiare di avere vittime e la conseguente impopolarità che ne deriverebbe. Perciò l’intervento consiste soprattutto in bombardamenti aerei, che provocano molte vittime civili in modo più o meno deliberato.
L’altra ragione alla base di questa folle guerra è la convinzione (o quanto meno la pretesa) dell’Arabia Saudita che la potenza segreta dietro le forze ribelli nello Yemen sia l’Iran, il grande rivale nel Golfo. Di sicuro Teheran simpatizza con i ribelli yemeniti, per la maggior parte sciiti, ma non ci sono prove della sua “alleanza con gli houthi”, né di una fornitura di aiuti militari o finanziari.
E giungiamo così a tre conclusioni. Prima di tutto, la coalizione guidata dai sauditi non avrà la meglio nello Yemen a meno che non sia disposta a inviare sul campo tanti soldati, e pure questo rischiando di non vincere. In secondo luogo, il continuo bombardamento di civili è dovuto in larga misura alla frustrazione della coalizione per il fallimento della sua strategia politica (in cui ha giocato un ruolo anche l’assoluta mancanza di obiettivi militari utili).
Terzo, questa è la più stupida delle guerre attualmente in corso in tutto il Medio Oriente. Chi governa lo Yemen non rappresenta una questione di vitale importanza strategica per l’Arabia Saudita, e l’ossessione saudita per la “minaccia” iraniana è assurda.
A giorni alterni
Lo Yemen non ha alcun valore strategico per l’Iran, né gli iraniani potrebbero aiutare in modo concreto il governo ribelle anche se lo volessero. E se è vero che negli ultimi dieci anni l’influenza iraniana è cresciuta nella regione del Golfo, questa è in larga misura una conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq del 2003, non di un qualche nefasto complotto iraniano.
L’establishment che governa la politica estera di Washington ha finalmente capito tutto questo? Solo a giorni alterni. Le vecchie abitudini sono dure a morire ed è fin troppo facile condannare gli attacchi aerei russi in Siria, tollerando al tempo stesso simili attacchi aerei condotti dai sauditi nello Yemen.
Traduzione di Giusy Muzzopappa
Fonte: Internazionale
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