di Andrea Colombo
Nel giugno 1979 arrivò nelle edicole e vendette subito uno sproposito il primo e molto atteso numero di una nuova rivista. Si chiamava Metropoli ed era redatta, come spiegava il primo editoriale, «da un collettivo di compagni che, nel suo insieme, ha attraversato il ’68, l’autunno caldo delle lotte di fabbrica; poi ancora l’esperienza breve e felice di Potere operaio, l’area dell’autonomia e dintorni; successivamente il movimento del ’77 ed in particolare la sua ala beffarda e creativa». Quando la rivista, in gestazione già da un paio d’anni, vide finalmente la luce molti dei suoi redattori erano in galera oppure inseguiti da mandati di cattura per una quantità di reati sufficienti a riempire mezzo codice penale.
Erano stati spiccati il 7 aprile e pochi mesi dopo, il 21 dicembre, una nuova raffica avrebbe colpito quasi tutti i redattori scampati alla prima falcidie. Il secondo numero del giornale sarebbe in effetti uscito quasi un anno più tardi, nell’aprile 1980, pensato e spesso anche scritto nelle patrie galere. Altri 5 fascicoli sarebbero seguito nel 1981, mentre il «caso 7 aprile» continuava a tenere banco sulle prime pagine.
Erano stati spiccati il 7 aprile e pochi mesi dopo, il 21 dicembre, una nuova raffica avrebbe colpito quasi tutti i redattori scampati alla prima falcidie. Il secondo numero del giornale sarebbe in effetti uscito quasi un anno più tardi, nell’aprile 1980, pensato e spesso anche scritto nelle patrie galere. Altri 5 fascicoli sarebbero seguito nel 1981, mentre il «caso 7 aprile» continuava a tenere banco sulle prime pagine.
CON UNA BIOGRAFIA del genere era inevitabile che la rivista restasse indebitamente incisa nella memoria come un giornale dal piglio quasi militare, scritto sotto il fischio delle pallottole. Nulla di più distante dalla verità. Metropoli era sì una rivista di battaglia, ma con obiettivi infinitamente più ambiziosi di un intervento a raggio corto nel «dibattito» tra movimento e organizzazioni combattenti. C’era anche questo, né poteva essere diversamente nell’Italia del 1979, ma non si trattava certo dell’elemento centrale.
Metropoli si misurava con una trasformazione complessiva dell’assetto sociale, delle dinamiche del comando e delle forze produttive allora solo agli albori ma di cui già coglieva la portate e le dimensioni, e che intuiva essere destinata a stravolgere l’intero catalogo del discorso politico e rivoluzionario che si era snodato nel decennio precedente. Veniva rimesso in discussione proprio tutto: dalla concezione della rivoluzione come presa del potere alla mitologia dell’eguaglianza intesa come elemento che accomuna capitalismo e socialismo, sino alla possibilità del superamento rivoluzionario e non vuotamente umanistico della logica schmittiana amico/nemico.
A RIGORE e nonostante il senso comune immagini il contrario, Metropoli non è una rivista degli anni ’70, se non per la composizione della redazione nella quale figurano alcuni dei principali dirigenti operaisti del decennio rosso, come Bifo, Lucio Castellano, Franco Piperno, Oreste Scalzone, Paolo Virno, Lauso Zagato. È invece un giornale che da quel decennio mira a prendere consapevolmente commiato per attrezzarsi e affrontare una fase che intravede radicalmente diversa. Tra i tanti contenuti ancora oggi preziosi, la sezione sulla Frontiera che occupa una postazione centrale nel numero 6 della rivista fissa punti cardinali a tutt’oggi validi e indica un orizzonte che a 35 anni di distanza è ancora lo stesso.
La frattura col passato è evidente già nei linguaggi scelti, a partire dalla decisione di raccontare il sequestro Moro con un fumetto: neppure i più sprezzanti avrebbero potuto immaginare che ci fossero in giro togati tanto decerebrati da spulciare quelle vignette per trovare indicazioni precise sulla realtà del sequestro. Invece andò proprio così. La rottura linguistica e la scelta di procedere per via di inchiesta sociale concreta sarebbero state anche più marcate se la rivista avesse potuto uscire sempre e non solo nel suo primo numero per come era stata pensata: obiettivo reso proibitivo dal soggiorno carcerario di quasi tutta la redazione. Metropoli mantenne sempre, però, un’attenzione giornalistica e non solo riflessiva forte sull’universo delle periferie urbane e sugli scenari internazionali. New York, che non era ancora un ghetto dorato aperto solo ai benestanti, campeggia praticamente in tutti i fascicoli, ma altrettanto viva era l’attenzione profetica per i paesi dell’Est. Nel primo numero figura un ampio «Dossier Polonia» curato da Piperno che anticipava di un anno gli scioperi di Danzica a la nascita di Solidarnosc.
A RILEGGERLI OGGI, nel bellissimo reprint in due volumi in anastatica edito da PGreco (euro 38), i numeri di Metropoli sono anche una testimonianza storica affascinante: registrano infatti, come in un’istantanea nitida, la breve fase in cui si delineava la rivoluzione produttiva e sociale in procinto di sconvolgere tutti gli assetti precedenti, incluso quello sovversivo, lasciando però ancora aperta l’opzione di una sua possibile evoluzione verso la liberazione dal lavoro invece che in direzione di un rinsaldamento del dominio reso possibile proprio dalla minore necessità del lavoro.
C’è un elemento in più che rende questa raccolta preziosa: compaiono qui, nella rivista o nei più densi e teorici materiali di riflessione contenuti nella collana acclusa «Pre-Print», i pezzi migliori nella produzione di Lucio Castellano, scomparso nel 1995. Per chi lo ha conosciuto e ancor più per chi non ha avuto questa fortuna è l’occasione giusta per scoprire o riscoprire l’audacia della sua intelligenza, la lucidità delle sue analisi dissacranti quanto taglienti, l’anticipo con cui sapeva cogliere dinamiche e domande che oggi sembrano quasi ovvie ma che allora erano invece difficilmente prevedibili.
Fonte: Il manifesto
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