La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 11 aprile 2017

L'agenda dell'indignazione di Washington e le contraddizioni della sinistra

di Emiliano Alessandroni
Un paradosso inquietante attraversa oggi, in maniera crescente, l’identità della sinistra occidentale. Non soltanto l’anti-imperialismo e l’anticolonialismo non rientrano più tra le sue corde, ormai tutte confinate, queste, nello stretto bacino euro-atlantico dei diritti civili. Ma la sua attenzione verso il mondo che sta al di là degli Stati Uniti e dell’Europa, si risveglia soltanto quando questo diventa un bersaglio critico contro cui scagliarsi, consentendo di riproporre la nota contrapposizione “Noi” – “Loro”: “Noi” governi democratici, rispettosi dei valori e dei diritti, “Loro”, crudeli tirannie da poter rovesciare in ogni momento e con ogni mezzo.
Sappiamo che la demonizzazione del nemico costituisce una pratica ricorrente nella storia del colonialismo: l’insistenza martellante dei giornali e dell’intellighenzia europea sui “barbari” da redimere, sui “cannibali” da civilizzare, il richiamo morale del white man’s burden; tutta la retorica dei valori e dei diritti è stata da sempre messa in campo per creare e consolidare il consenso verso le più sanguinarie operazioni coloniali. Per non parlare, naturalmente, di quando i “barbari” e i “cannibali” sono riusciti a mettere in piedi dei governi: come avvenuto a Santo Domingo dopo la rivolta degli schiavi neri guidata da Toussaint Louverture. Non di governi allora poteva trattarsi, secondo i reportage della nostra informazione, ma di macabri dispotismi.
La sinistra occidentale (fatto salvo per le correnti più radicali: quella giacobina dopo la Rivoluzione Francese e quella figlia della Rivoluzione d’Ottobre), ha sempre subito il fascino delle mitologie bianche, assorbendo e riproponendo inconsciamente, nelle più svariate configurazioni, la logica manichea “Noi” – “Loro”, “sano” – “malato”, “razionalità” – “follia”.
Così avviene ai giorni nostri: oggi che nessun radicalismo, nessuna visione universalistica ispirata alla tradizione rivoluzionaria domina l’orizzonte culturale, ma il “moderatismo” euro-atlantico, cristallizzatosi in ideologia (e in sistema di valori), costituisce l’asse di orientamento dei modi di pensare collettivi.
Dovrebbe essere ben noto che la Siria era stata indicata tra gli obbiettivi di Washington fin dal “Project for the new american century” alla fine degli anni ’90, poi inserita nella lista dei cosiddetti stati canaglia. E che da allora le mire sono aumentate con tanto di sostegno dell’Occidente all’Isis e al terrorismo di matrice islamica. Ma la Siria, si sa, non è in Europa, e pertanto non può che essere, per la sinistra occidentale, una tirannia, una espressione governativa del “cannibalismo”, specie se non ubbidisce, se non accetta di sottomettersi alle direttive dell’Occidente.
Così avviene il paradosso: non appena gli USA accrescono la loro vocazione imperialista, la sinistra euro-atlantica si mostra pronta a riconciliarsi anche con Trump: criticato giustamente per le posizioni retrograde assunte in materia di diritti civili (per quanto concerne, cioè, i diritti degli omosessuali, degli immigrati e il diritto all’interruzione di gravidanza), l’atteggiamento diventa improvvisamente conciliatorio non appena questi sfoggia la propria aggressività contro paesi o regioni come l’Iran, la Cina, la Corea del Nord, il Donbass, e da ultimo la Siria.
Fiumi di lacrime, per i 50-70 morti a Khan Sheikhun, nella guerra combattuta dal governo siriano contro i terroristi, ma un silenzio assordante sui 180 morti compiuti da questi ultimi a Homs e Damasco o sulle oltre 300 persone carbonizzate, pochi giorni fa, dai bombardamenti americani effettuati sulla città di Mosul [1]. Così come un silenzio assordante rispetto agli attentati di Parigi e di Londra ha ricevuto, in Occidente, quello di San Pietroburgo. 
La rabbia e l’indignazione, in sostanza, si risvegliano nella sinistra postmoderna dei nostri paesi benestanti, soltanto quando i morti vengono causati da forze contrapposte al “Project for the new american century”. 
Credendo, o volendo far credere, di occuparsi unicamente di morale e non di politica, la sinistra occidentale non fa altro che seguire, per quanto concerne gli eventi su scala planetaria, l’agenda dell’indignazione stabilita da Washington. Una indignazione imperialista potremmo definirla, dalla quale gronda un torrente di lacrime, destinato a scorrere, rispetto a quelle dei giornalisti al servizio di Trump, della CIA e di Israele, nella stessa direzione.
Gli effetti di tutto ciò? Più che nefasti. Giacché anche le emozioni assolvono un forte ruolo politico nella lotta per il consenso che si gioca su scala planetaria, questa indignazione filoamericana, incentrata sull’inverosimile racconto dell’attacco con armi chimiche ordinato da Bashar al-Assad, ha invero preparato il terreno consensuale per l’intervento armato degli Stati Uniti. 
Anziché puntare il dito contro il carattere fazioso, menzognero e strumentale dei nostri apparati di informazione, l’opinione pubblica d’Occidente ha accreditato la tesi secondo cui non l’Isis, ma il presidente eletto, costituirebbe in Siria il principale nemico da abbattere, il responsabile dell’orrore. 
Forte di questo terreno consensuale costruito ad arte, Donald Trump può così assicurare l’integrità morale del mondo euroatlantico: “nessun bambino soffrirà più così!”, grida con foga. E lo fa senza sentir di dover fornire alcuna spiegazione delle centinaia di madri e figli trucidati pochi giorni prima a Mosul: non esistendo l’accusa dell’opinione pubblica, non v’è bisogno neppure di una difesa. 
Così, sempre forte dell’approvazione dei nostri governi e della morale d’Occidente, ordina, senza l’autorizzazione del Congresso e del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il lancio di 59 missili Tomahawk contro la Siria centrale che uccidono 9 civili, di cui 4 bambini. Israele e Arabia Saudita si congratulano. Il ministro degli esteri britannico, Boris Johnson, esulta, e afferma che si dovrebbe colpire ancora. Naturalmente, questi e quelli di Mosul (come tutti i casi dei civili uccisi dalle bombe con marchio a stelle e strisce) per la grande stampa euroatlantica, non sono omicidi, ma “bambini collaterali”. 
Salme, dunque, non piante da nessuno, tantomeno dall’Isis, che, in simultanea con l’attacco americano, lancia un’offensiva conto l’esercito governativo ad Homs [2]. 
Più credibile della versione di Trump, che afferma di agire per conto della salvezza dei bambini, risulta allora il resoconto dell'ayatollah iraniano Mohammad Emami Kashani, sostituto della Guida suprema Sayyed Ali Khamenei nella preghiera del venerdì a Teheran, il quale, senza mezzi termini, ha descritto il bombardamento degli Stati Uniti sulla Siria come “una copertura per salvare i terroristi” [3]. 
La sinistra occidentale, anziché denunciare la cooperazione ormai conclamata tra Stati Uniti e terrorismo islamico, la vischiosa faziosità della nostra informazione e i progetti dell’asse Usa-Israele di controllo del Medio Oriente, occulta le incongruenze logiche della propaganda con dosi massicce di emotività e così facendo offre il palmo ad uno strano sodalizio: a conti fatti, era sufficiente, da parte della Casa Bianca, un po' di carica espansionistica in più perché le posizioni della suddetta sinistra si conciliassero con quelle di Donald Trump. Forse allora a contraddistinguere la sua natura politica, più che il decentramento dei diritti economico-sociali in luogo dei diritti civili, è la pesante attrattiva nutrita, pur nell’alternanza dei presidenti americani, verso l’orizzonte morale e le structures of feeling dell’imperialismo.

NOTE

1. Cfr. corriere.it
3. Cfr. ansa.it

Fonte: marx21.it 

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