La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 29 settembre 2015

Che cosa ci fa Putin in Siria? Scommetto che cerca qualcosa di grosso: riprendere Palmira

di Robert Fisk
Valadimir Putin non ha mandato i suoi soldati in Siria soltanto per dimostrare solidarietà con Bashar al-Assad. E non li ha trasportati in aereo nelle basi russe intorno a Tartous per mantenere Assad al potere. E’ ovvio. E Putin non è preoccupato di perdere l’unico porto sull’acqua calda del Mediterraneo ancora nelle mani di Mosca.
Vuole una vittoria. L’esercito della Siria, l’unica istituzione da cui dipende il regime – di fatto l’intero apparato statale – ora viene armato di nuovo e addestrato per una seria offensiva militare contro l’Isis, destinata ad avere un enorme valore simbolico sia in Medio Oriente che nel mondo. I piani militari vengono sempre rimandati, e nel momento in cui il primo pezzo di artiglieria lancia un proiettile, i piani vanno sempre di traverso. In Siria, i dettagli operativi cambiano ogni giorno e ogni notte. Ma proprio adesso faccio una scommessa basata su informazioni – e continueremo a chiamarla scommessa – anche se soltanto per amore della forma – che l’esercito siriano ora viene preparato per ricatturare l’antica città romana di Palmira dalle mani degli islamisti.
Si stanno preparando nuovi cacciabombardieri, nuovi missili anticarro, forse perfino i nuovi carri armati russi T-90, per il terreno del deserto. Una delle più moderne basi dell’aeronautica militare in Siria si trova ad appena 80 km da Palmira – sulla strada principale a est verso Homs – e l’esercito siriano ha programmato da mesi un attacco attorno alla città. Soltanto poche settimane fa, hanno rinviato un’offensiva per paura che l’Isis avrebbe distrutto il resto della città romana. Ma queste preoccupazioni ora sono diminuite. L’Isis si è dimostrata molto favorevole a distruggere i templi romani senza un assalto militare alle sue forze.
Ora una cosa da ricordare. In questo momento mi sto attenendo alla “scommessa basata su informazioni” che ho ricordato prima. Il regime deve tenersi stretta Aleppo, affinché non cada nelle mani dell’Isis e non venga dichiarata capitale del Califfato della Siria. L’esercito siriano deve tenere aperta la strada per il Libano e per le alture di Qalamoun lungo il confine libanese. Non può rischiare che nessuna altra città cada nelle mani dell’Isis, ma Palmira è in cima alla lista per il dubbio privilegio della “liberazione” dall’Isis.
La data sarebbe entro le prossime tre settimane, ma, dato che tutte le battaglie in Medio Oriente scivolano via dalla tabella temporale, potremmo probabilmente arrivare fino a novembre, prima che le piogge in arrivo dal’Iraq comincino a spazzare via le sabbie. Palmira è la perla che deve essere catturata di nuovo perché il mondo – con totale insensibilità, di gran lunga più preoccupato del destino delle rovine imperiali romane del sito che della sua gente- ha registrato la perdita della città come un importante successo per il “Califfato.”
Per Putin, però, un’offensiva sarebbe – o sarà – un simbolo epico della nuova proiezione della Russia in Medio oriente. Per Obama e per Cameron e per il resto dei nostri leader occidentali, che hanno annaspato per quattro anni in Siria, né detronizzando Assad né sconfiggendo l’ISIS, catturare di nuovo Palmira sarebbe una lezione umiliante. Fidarsi di Mosca – ricordate che soltanto pochi mesi fa il presidente egiziano stava accompagnando Putin al Teatro dell’Opera del Cairo – può sembrare una scommessa migliore per qualsiasi leader medio-orientale che contare sull’appoggio occidentale. Dal punto di vista politico, naturalmente, una Palmira dopo la vittoria lascerà Assad molto più sicuro nella sua metà della Siria. Già gli americani e i britannici sono indecisi sul ruolo “di transizione” del presidente in un futuro governo siriano – una “transizione” che sappiamo tutti potrebbe durare per anni. Putin non sta riversando il tesoro russo nella fossa della morte siriana per permettere al suo uomo a Damasco di essere destituito. Il suo presidente ucraino è scappato, ma Assad non se l’è svignata in Russia negli scorsi quattro anni. E non è neanche rimasto a Damasco per essere mandato in pensione come un presidente di “transizione”.
Ma che cosa verrà dopo Palmira? La riconquista di gran parte di Aleppo – un progetto di gran lunga più rischioso – o un ritorno alla città di Idlib o anche un tentativo di prendere la “capitale” dell’Isis, Raqqa? Sollievo, certamente, per la guarnigione circondata dal regime nella città nel deserto: Deir Ezzour. Però un genio oscuro si aggira nel deserto siriano, non assegnando alcun premio ai coraggiosi o agli spericolati. Se la Russia e la Siria hanno fatto i loro piani, state sicuri che l’Isis ha altre operazioni segrete in serbo; un attacco al centro di Damasco, per esempio, come tentarono i ribelli tre anni fa.
Adesso la Russia sarà in grado di scuotersi di dosso i fantasmi dell’Afghanistan in Siria. Non si possono “catturare” i deserti. E una nuova flotta aerea può sconfiggere l’Isis da sola. Quantomeno, non può invischiarsi con i vicini della Siria, il che è quasi certamente il motivo per cui Benjamin Netanyahu ha appena incontrato Putin: assicurarsi che Israele non fraintenda il significato degli aerei russi che volano ad alta quota a nord-est delle alture del Golan. E ripristinare il controllo del regime – anche su Palmira – non porterà ad ampi altopiani assolati. Putin e Assad non stanno pianificando nessuna democrazia parlamentare lungo la strada per Damasco. Ma se l’Isis, insieme ai combattenti Ceceni che odiano Putin – verrà frenata, allora gli Stati Uniti e la NATO dovranno negoziare con Mosca riguardo al futuro della Siria.
E tutto questo, sarà interpretato, naturalmente, come una maledizione dalle centinaia di migliaia di profughi siriani che sanguinano, lontani dal loro paese lungo il loro grande viaggio a piedi attraverso i Balcani.

Originale : The Independent
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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