di Edoardo Boncinelli
Se una teoria non riesce a spiegare tutto, allora non spiega nulla. Sulla base di tale assunto, l’ultimo libro di Thomas Nagel, uno dei maggiori filosofi viventi, che nel 2008 ha anche ricevuto il prestigioso Premio Balzan per la filosofia, distrugge tutto quello che crediamo di sapere e sulla base del quale abbiamo vissuto questi ultimi quattro secoli: fisica, chimica, biologia, neuroscienze — tutto falso, tutto senza fondamento. Ma almeno contropropone qualcosa? A parte una sorta di rievocazione nostalgica di un’impostazione teleologica del sapere, propria dei popoli primitivi — dobbiamo pensare, sostiene, a un «universo fondamentalmente incline a generare la vita e la mente» — non contropropone niente.
La giustificazione? Eccola: «La filosofia deve procedere in modo comparativo. Il meglio che possiamo fare è sviluppare concezioni alternative e antagoniste in ogni campo rilevante quanto più pienamente e attentamente possibile, seguendo le nostre antecedenti simpatie, e vedere quanto queste concezioni siano all’altezza. Questa è una forma di progresso più credibile rispetto alla prova o alla confutazione decisive».
Dotato di scrittura limpida e di un argomentare brillante, Thomas Nagel è un filosofo che ho sempre apprezzato. Qualche anno fa scrisse un articolo (poi un libro) che fece colpo, intitolato Che cosa si prova a essere un pipistrello?. A parte la simpatia del titolo, la tesi era che, per quanto ci si sforzi, nessuno di noi può nemmeno lontanamente immaginare che cosa percepisce e prova in cuor suo un pipistrello che notoriamente «vede» con le orecchie, che per lui raccolgono ed elaborano l’eco degli ultrasuoni che emette.
Per questi motivi, appena lo vidi mi attrasse, ancora nella versione originale inglese, il suo ultimo libro dal titolo Mente e cosmo e sottotitolo chilometrico:Perché la concezione (materialista) neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa, che ora esce nella versione italiana da Raffaello Cortina. L’aggettivo «materialista» che ho messo tra parentesi è presente nella versione inglese e assente in quella italiana. In effetti il vero obiettivo del nostro autore è la visione materialista, o meccanicista, e essenzialmente riduzionista della scienza d’oggi, un pallino fisso dei critici della stessa, che non vogliono riconoscerne i grandi meriti, anche nella cosmologia e nelle neuroscienze. Da notare che il sottotitolo definisce, con encomiabile chiarezza e decisione, «quasi certamente falsa» tale concezione, e non solamente «incompleta» o «parziale», come fanno altri.
Lo lessi in inglese e l’ho riletto in italiano. Che dire di questo libro? Un certo numero di cose contrastanti: è relativamente breve e denso, è chiaro e parla di cose importantissime, per tutti e in particolare per me, che mi occupo da una vita di scienza, con particolare riguardo alla biologia. Deve perciò essere letto con la massima serietà e attenzione, anche se la tesi sostenuta, si sarà capito, non è proprio di quelle che incontrano la mia immediata simpatia.
L’introduzione presenta subito un’affermazione che io considero uno scivolone, un vero infortunio, il punto più debole del libro, che comunque non ne risente poi troppo. Il nostro autore liquida in poche parole la visione neodarwinista della vita, affermando di essere dell’opinione che i sostenitori del cosiddetto Disegno intelligente, che pure afferma di non condividere, non meritano il disprezzo di cui molti evoluzionisti li gratificano. Strana argomentazione in verità, se non la vogliamo prendere come un segno premonitore della marcata inclinazione dell’autore per una visione teleologica del mondo.
D’altra parte, basterebbe una dichiarazione esplicita di questa inclinazione per far fuori tutti i darwinismi del mondo: Nagel contro Darwin, insomma, come a suo tempo il vescovo Wilberforce & C.. Il libro riserva poi i suoi quattro quinti all’esame della concezione che vuole smontare, con un’incisività e una decisione esemplari, anche se con argomenti non molto diversi da quelli che tutti i giorni ci vengono ammanniti dalle nostre autorità ecclesiastiche. Dovrei perciò entrare qui nello specifico, ma ci vorrebbe un altro libro. D’altra parte, chi mi conosce sa che su questo argomento ho scritto anche troppo. Mi limiterò quindi a un brevissimo sunto. Per prima cosa si affronta il tema della coscienza, e qui, in parte, convengo con l’autore, a patto che per coscienza intenda il contenuto del mio vissuto — ma solo il mio, si badi bene! Anche secondo me questo non può essere ridotto a un fenomeno fisico-chimico. Attenzione però, la mia coscienza privata, non la tua o quella di un altro.
Secondo me il dominio di ciò che è riducibile e comprensibile coincide con l’intero universo, a meno di un forellino, una singolarità, ovvero un microscopico insieme di misura nulla, come dicono i matematici, rappresentato dal mio vissuto personale di questo istante. Sempre i matematici affermano che in tal caso si dice che una proposizione è valida «quasi ovunque». È la portata di questo «quasi» che i filosofi — dai presocratici a Habermas — non riescono a cogliere. Dubito molto, d’altra parte, che Nagel intenda per coscienza quello che intendo io.
Infine, dall’irriducibilità della coscienza, il nostro autore passa a quella di tutto ciò che noi chiamiamo attività mentale, dalla cognizione alla fondazione del mondo dei valori. I telefonini o i jet non scompariranno a seguito di questa presa di posizione, ma un po’ dispiace. Non fosse altro che per la mancanza di riconoscenza. Qualcuno ha detto a tale proposito che spesso un aereo trasporta qualche filosofo bugiardo (incoerente, direi io).
da La Lettura - Corriere della Sera, 27 settembre 2015
Fonte: MicroMega online
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