di Umberto Mazzantini
Domenica la Francia ha annunciato di aver effettuato i primi attacchi aerei contro un campo di addestramento dello Stato Islamico/Daesh in Siria, un’operazione che si va ad aggiungere ai raid che la coalizione occidentale-araba a guida statunitense sta portando avanti da un anno contro le milizie islamiste nere in Siria ed Iraq. Ma è chiaro che il sanguinoso conflitto siriano – che ha già fatto più di 250.000 vittime e prodotto 11 milioni tra sfollati interni e profughi esterni – ha riconquistato le prime pagine dei distratti giornali occidentali solo a causa del flusso di profughi che si è diretto verso l’Europa e, più recentemente, per la conferma dell’intervento armato russo in Siria.
Secondo quanto scrive Charles Lister, del Brookings Doha Center, su Bbc News, «in mezzo a questo caos, la Russia sta intraprendendo la sua seconda operazione militare offensiva all’estero in 18 mesi. Nel giro di tre settimane, Mosca ha schierato almeno 28 aerei da combattimento, 14 elicotteri, decine di carri armati, sistemi missilistici antiaerei e 2.000 soldati nel nord-ovest della Siria».
La Russia non nasconde il duplice obiettivo del suo intervento militare: fermare l’avanzata dello Stato Islamico e salvare il regime di Bashir al Assad, anche dalle milizie islamiste o “laiche” finanziate e armate dalle monarchie sunnite del Golfo e da Usa ed europei.
Milizie che si sono troppo spesso distinte per la contiguità con il Daesh e, come nell’ultimo clamoroso caso delle “forze speciali” addestrate dagli Usa, per aver ceduto armi a gruppi jihadisti affiliati al Al Qaeda come Al Nusra e, come dice sempre Lister (che non ha nessuna simpatia per i russi e per Assad), «etichettare la missione [della Coalizione a guida Usa] come un catastrofico fallimento sarebbe una valutazione generosa. Nel frattempo, gli Usa e i loro partner europei restano pericolosamente scollegati dalla realtà della Siria. La minaccia posta dallo Stato Islamico è diventata una comoda ossessione, mentre le più complesse dinamiche nel resto del Paese appaiono del tutto ignorate e incomprese». Lister è soprattutto preoccupato che gli occidentali ormai si siano convinti che la dittatura di Bashir al Assad, che volevano abbattere, sia diventata il male minore, mentre, secondo lui, l’immediata partenza del dittatore è «parte integrante di una soluzione alla crisi siriana» e sarà difficile convincere del contrario i 100.000 combattenti anti-Assad che gli occidentali hanno armato.
Milizie che si sono troppo spesso distinte per la contiguità con il Daesh e, come nell’ultimo clamoroso caso delle “forze speciali” addestrate dagli Usa, per aver ceduto armi a gruppi jihadisti affiliati al Al Qaeda come Al Nusra e, come dice sempre Lister (che non ha nessuna simpatia per i russi e per Assad), «etichettare la missione [della Coalizione a guida Usa] come un catastrofico fallimento sarebbe una valutazione generosa. Nel frattempo, gli Usa e i loro partner europei restano pericolosamente scollegati dalla realtà della Siria. La minaccia posta dallo Stato Islamico è diventata una comoda ossessione, mentre le più complesse dinamiche nel resto del Paese appaiono del tutto ignorate e incomprese». Lister è soprattutto preoccupato che gli occidentali ormai si siano convinti che la dittatura di Bashir al Assad, che volevano abbattere, sia diventata il male minore, mentre, secondo lui, l’immediata partenza del dittatore è «parte integrante di una soluzione alla crisi siriana» e sarà difficile convincere del contrario i 100.000 combattenti anti-Assad che gli occidentali hanno armato.
Ma il presidente russo Vladimir Putin, dopo aver ribadito il suo sostegno al presidente siriano, ha chiesto una “struttura di coordinamento” regionale contro lo Stato islamico che è stata subito accolta con favore dall’Iraq e dall’Iran. Ieri il Comando delle operazioni congiunte irakene ha annunciato che è praticamente fatto un accordo tra i servizi segreti di Russia, Siria, Iraq ed Iran per scambiarsi informazioni sul Daesh e le altre milzie islamiste. Gli irakeni confermano anche che la Russia è molto preoccupata per la presenza nelle fila dello Stato Islamico di miliziani ceceni e di altre repubbliche russe del Caucaso.
Il presidente iraniano Hassan Rohani, parlando a margine dell’assemblea generale dell’Onu, ha avvertito americani, britannici e francesi che, se vogliono davvero sconfiggere il Daesh insieme all’Iran e alla Russia, il regime di Assad «non può essere indebolito» e Putin, intervistato dalla Cbs, ha ricordato che quello di Assad è «l’unico esercito convenzionale legittimo» della Siria e che sta combattendo contro le organizzazioni terroristiche, quindi, la Russia «sarebbe lieta di trovare un terreno per un’azione comune contro i terroristi».
Rohani, intervistato dalla Cnn, ha detto: «Ritengo che oggi tutti abbiano accettato che il presidente Assad debba restare in modo che possiamo combattere il terrorismo» e in un’altra intervista alla radio nazionale Usa Npr si è detto disponibile a discutere «un piano d’azione per la Siria una volta che sarà finita la guerra e che i terroristi dell’Isis saranno stati espulsi dalla Siria». Poi ha assicurato che «non ci sono i colloqui diretti, vis-à-vis, con gli Stati Uniti sulla Siria».
Parole che, come fa notare la radio internazionale iraniana Irib, «stridono con quanto affermato dal presidente francese, Francois Hollande, nel corso di un colloquio con lo stesso Rohani a New York, a margine del summit Onu». Infatti Hollande ha detto che «l’Iran è un attore della regione ma anche un facilitatore. La questione di Assad non può essere presentata come una risposta». Ma è proprio quello che stanno facendo russi e iraniani, e persino i kurdi pensano che una caduta del regime di Assad sarebbe catastrofica per la Siria e per la loro autonomia conquistata sconfiggendo il Daesh a Kobane e in tutto il Rojava.
Gli Usa pare non sappiano bene che pesci pigliare, se lo stesso segretario di Stato John Kerry ha ammesso che ci sono «preoccupazioni su come ci accingiamo ad andare avanti». Kerry ha anche detto che gli sforzi per sconfiggere lo Stato Islamico dovrebbero essere comuni, ma che non è quello che sta facendo la Russia.
Kerry ha incontrato all’Onu il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha messo i puntini sulle i: «Noi aiutiamo il governo siriano così come quello irakeno fornendo armi moderne ai nostri partner e non presentando delle rivendicazioni politiche, contrariamente a quel che fanno altri fornitori di armi». Forse non ci poteva essere risposta più chiara e cinicamente brutale all’appello di Papa Francesco a smetterla con il commercio di morte.
Tanto per far capire che aria tira, dopo l’incontro con Kerry, Lavrov ha evidenziato che «gli Usa pensano che le azioni della Coalizione contro lo Stato Islamico non abbiano bisogno dell’accordo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (dove la Russia ha diritto di veto, ndr), ma la Russia considera questo come una violazione del diritto internazionale». Va da sé che, invece, l’intervento russo in Siria sarebbe del tutto legittimo perché avviene a favore di un Paese alleato (che lo ha espressamente richiesto), minacciato da forze interne ed esterne.
Le parole di Lavrov dimostrano tutto il fallimento delle guerre statunitensi e della Coalizione dei volenterosi (della quale faceva parte anche l’Italia) in Iraq e il disastroso tentativo di rovesciare Assad in Siria: ci si voleva impadronire del petrolio mediorientale e controllare le sue rotte, escludendo Russia e Iran dalla regione, e ci si trova con Mosca e Teheran che dettano le condizioni per un nuovo equilibrio nell’area e per fermare il flusso di profughi di guerra verso l’Europa e con tre Paesi che erano nemici prima delle guerre americane – Siria, Iraq ed Iran – che sono diventati alleati nel nome della lotta alla Stato Islamico/Daesh, che, non dimentichiamolo, ha come principale obiettivo quello del predominio dei sunniti sugli sciiti, che sono maggioranza in Iran ed Iraq, e che sono il nerbo della dittatura siriana.
Fonte: Green Report
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