La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 20 giugno 2016

L'eticità di reduce, reuse, recycle

di Adriano Paolella
Il mondo è un sistema chiuso, con risorse limitate. La pratica del riuso può scongiurarne l'esaurimento. Alla fine negli ultimi decenni dell'ottocento Victor Horta, architetto belga, ipotizzò che le forme dei manufatti dovessero essere coordinate e che ciò si potesse ottenere attraverso il lavoro di un architetto che disegnasse intorno all'utilizzatore tutto quanto ad esso servisse. Con lui, negli anni seguenti molti altri applicarono la creatività dal progetto di piccoli oggetti fino alle abitazioni e agli insediamenti, “dalla forchetta alla città“, come se fosse possibile ottenere un piacevole risultato da un onnipresente “coordinato“. Il punto di partenza dell'azione di “Victor et al“ è l'intuizione che la società stesse cambiando più velocemente degli oggetti da essa utilizzati e che quindi fosse necessario progettare questi ultimi con criteri e forme nuovi.
L'inganno della strega cattiva
Oggi non è una questione formale come fu per Victor e per molti di coloro che lo hanno seguito nel tempo.
Le merci proposte sono belle, spesso bellissime e non si può dire che non rispondano alle nostre necessità, anzi sono così astute, le merci, che sono esse a definire le modalità della nostra esistenza piuttosto che servirla.
Il problema è che nonostante siano belle e coerenti con i nostri bisogni, spesso indotti, sono profondamente nocive per il nostro ambiente e per noi che ne siamo parte.
La bellezza del rifiuto
Il punto di partenza della riflessione potrebbe essere la constatazione che, proprio per l'enorme quantità di merci e manufatti esistenti non ne siano necessari altri, o, in una visione più morbida, che le nuovi merci dovrebbero considerare quante altre già siano presenti nel pianeta.
Le case sono tanto piene di oggetti che non è materialmente possibile farne di tutti un uso continuativo. Anche gli strumenti più utili ed usati sono in eccesso: quanti coltelli abbiamo in cucina e quanti di essi utilizziamo raramente e tra questi quanti non abbiamo mai utilizzato? Quante apparecchiature elettriche ed elettroniche sono state sottoutilizzate e poi dismesse: il televisore catodico cambiato anche se ottimo e funzionante a favore di uno schermo piatto e quanti cellulari sostituiti da smartphone? E quanti oggetti sono stati acquisiti e poi molto raramente utilizzati? Dalle attrezzature per sport, ai portachiave, ai capi di abbigliamento e ai mobili in un continuo entusiasmante un po' allucinato acquisire sono passati dalle nostre mani come lampi e poi rapidamente allontanati.
Oggetti splendidi di cui non riusciamo a capirne esattamente il valore: una scatoletta in lamiera per contenere 30 caramelline: perfetta, meravigliosa al tatto, colorata, resistente che dopo poche ore viene buttata. Così le bellissime penne non ricaricabili, capolavori di tecnologia, che nel giro di qualche settimana sono consumate o peggio perse, dimenticate, abbandonate.
E così per tutto.
Nessun piacere dal conservare gli oggetti, anzi essi perdono valore con il trascorrere del tempo, anche se sono efficienti, anche se ancora potrebbero servire.
Così facendo la società dei consumi, sorretta da norme e regolamenti che obbligando i più restii li accomunano a coloro i quali sono già, affascinati, in balia dalle merci, non consuma e non permette di consumare ma butta oggetti e materiali nuovi, servibili, utili, non consumati; meraviglie, cose utili, manufatti di valore inestimabile.
Buttotutto
L'abuso di merci conduce allo spreco delle stesse.
L'organizzazione produttiva e distributiva non si pone il problema del recupero dei surplus preferendo che divengano rifiuti piuttosto che accollarsi gli oneri del loro recupero e trasformazione. E quando qualcuno tende a usare l'eccedenza (facendola permanere nell'ambito delle merci utilizzabili) deve, tra le tante difficoltà, individuare ambiti distribuitivi non concorrenziali con il mercato. Una cospicua normativa sostiene il monouso, gli imballaggi scriteriati, le scadenze, i prodotti difficili da riparare o riusare (si vedano i piccoli elettrodomestici) e di fatto si oppone al riuso.
Questo non è il mondo dei ricchi (che possono sbarazzarsi dei loro soldi con modalità simili applicate però ad oggetti di lusso) questo è il mondo degli impiegati, degli artigiani, degli operai, degli insegnanti, degli agricoltori, dei professionisti che ciascuno nella misura consentita dal proprio reddito è “strizzato“ dall'abuso di merci in maniera eccedente a quanto gli sarebbe consentito dalle proprie risorse economiche.
Gli unici che sono fuori da questo meccanismo sono i poveri che non avendo alcuna possibilità economica non sono un “target“ del mercato. Sono loro che recuperano i materiali d'avanzo sono loro a cui vengono destinati parte dei rifiuti. Poveri, lontani dai mercati forti o marginali nelle società opulente.
Polli e frigoriferi
Queste modalità applicate in passato solo in alcuni paesi per specifici prodotti (si pensi al pollo a basso prezzo negli Stati Uniti post “grande crisi“) ora riguarda tutti i settori produttivi e la quasi interezza del Pianeta.
Così i criteri dell'usa e getta, della “obsolescenza programmata“ che prima attenevano un numero di merci ridotte e di limitate dimensioni oggi sono in uso per un ampio spettro di manufatti, con effetti, come facilmente immaginabile, disastrosi.
Una lavatrice comprata negli anni cinquanta o sessanta poteva durare venticinque trenta anni, oggi a parte qualche azienda di nicchia, la vita media è programmata per un numero di anni molto più ridotto; si pensi alle auto ed a come con i successivi livelli di miglioramento delle emissioni (euro 1, 2, 3, 4, 5, 6, etc.) i produttori sono riusciti a fare cambiare intere generazioni di auto praticamente nuove.
Le logiche che le sostengono sono la sicurezza (da quella alimentare a quella strutturale) il continuo aumento dell'efficienza energetica (deming cycle e successive elaborazioni), il miglioramento prestazionale (in realtà spesso l'accumulo prestazionale), la connessione con altri sistemi (in un orgia di relazioni spesso insignificanti).
Tutte le merci sono oggetto di questi criteri e la nuova frontiera sono gli edifici.
Nuovo nuovissimo, riusato
A ben guardare il progetto del “mondo nuovo“ desiderato, perseguito, progettato dai moderni e dai contemporanei potrebbe proprio essere il riuso del “mondo esistente“.
La cultura del nuovo e della novità è promossa da una economia malamente industrializzata che per stare in forma ha necessità di produrre sempre di più a costi sempre minori. La prima condizione è quella che ci sommerge di merci (perché dobbiamo acquisire per mantenere il modello produttivo), la seconda quella che mantiene le povertà (perché i prezzi delle risorse e della manodopera per garantire un costo di produzione basso debbono essere fortemente contenuti) e tutte e due sono condizioni nocive per il pianeta (perché si preleva e si emette molto più di quanto serva e in modo molto peggiore di quanto si potrebbe).
La terribile condizione di spreco imposta da regole settoriali (quale quelle del mercato), discutibili (il modello adottato non sembra abbia portato un benessere diffuso agli abitanti del pianeta né, tantomeno, al loro ambiente), miopi (non riescono a modificarsi nonostante gli evidenti limiti) è anche quella che genera i cambiamenti climatici.
È infatti l'ambito dello spreco è, tra quelli dove si generano le emissioni, quello che più facilmente potrebbe essere evitato.
Se infatti è lodabile l'attenzione posta alla produzione di energie da fonti rinnovabili essa potrebbe essere molto più efficace se l'energia, seppure rinnovabile, non fosse utilizzata per costruire merci e manufatti che già in partenza è noto saranno sprecati.
Lo spreco è parte integrante e funzionale del modello economico dei consumi nonostante ciò è anche molto chiaro come la prima azione da compiere sia quella di eliminare gli sprechi.
L'eticità di reduce, reuse, recycle
I termini reduce, reuse, recycle hanno origine fuori dal contesto industriale, non ne rispettano completamente le logiche, hanno il fine di ridurre gli effetti negativi connessi agli sprechi e ai consumi indotti proprio della produzione quantitativa.
Le tre azioni, che afferendo al medesimo comportamento risultano quasi inscindibili, sono collegate da una consequenzialità temporale (riduzione delle quantità, uso e riuso, e riciclo di quanto non è stato possibile non produrre ed è stato usato e riusato fin quanto possibile) e necessitano, come intuibile, di un diverso impegno energetico.
Praticare queste azioni è una dimostrazione di consapevolezza da parte del progettista che applica la sua creatività, al di là dell'atto autoreferenziato, alla riduzione del “peso“ della trasformazione (se fosse solo un atto creativo saremmo nel campo della produzione artistica ad esempio “ready made“); è un atto etico in quanto finalizzato alla riduzione degli sprechi e dei consumi contribuendo così al benessere comune; facilita il mantenimento della memoria fisica quanto la distruzione né è irrimediabile perdita; conferisce ai manufatti esistenti (adattandoli e trasformandoli) ulteriore valore funzionale, compositivo, sociale, ambientale; riduce la differenza tra vecchio e nuovo in una continuità che pone l'attenzione principalmente sul presente, i suoi limiti, le sue necessità, i suoi desideri.
Recupero, riuso, riciclo sono alternative al modello economico vigente in quanto producono meno profitto individuale ma più vantaggi economici energetici e sociali diffusi. Essi hanno la capacità culturale di affrancarci da un opprimente sistema; il potere dell'economia dei consumi si allenta e gli interessi e i beni comuni prendono il sopravvento.
Nel film “Cast away“ l'attore Tom Hank interpreta un personaggio che si trova su di un'isola deserta dopo essere miracolosamente sopravvissuto ad un incidente aereo; solo, senza nessuno strumento, con scarse capacità tecniche.
Nei primi giorni di permanenza il mare restituisce alcune scatole trasportate dall'aereo. Aprendole trova oggetti che nulla hanno a che vedere con le sue condizioni e necessità: un paio di pattini da ghiaccio, cassette vhs, un vestito femminile.
Dopo un primo momento guarda questi oggetti, apparentemente inutili, con un altro occhio e da essi ricava cinghie, lame, asce, corde tutti strumenti che serviranno molto alla sua esistenza; e impara ad usarli.
Questa è la condizione del sistema a risorse limitate dove si opera sull'esistente, sul disponibile. È la condizione dell'isola.
Scoprire il valore degli oggetti, valutarli non solo per la funzione determinata dalla produzione, meravigliarsi della loro esistenza, sorprendersi per le loro potenzialità. Un pezzo di plastica, una bottiglia di vetro, una scatola di cartone hanno un valore assoluto al di là della loro utilizzazione; solo assaporando tale valore, solo recuperando lo spazio mentale, creativo, consapevole, si potranno diradare le nebbie dell'obnubilamento prodotte dal mercato.
Con uno sguardo più attento si può riparare, riusare, riciclare attraverso una tecnica diffusa che concretizzi la creatività; ed è tutta una tecnica da definire e sperimentare. In un mondo in cui i rifiuti superano di gran lunga le merci, e le abitazioni, gli uffici, i luoghi di produzione sono riempiti di prodotti sotto e inutilizzati e il territorio è pieno di edifici abbandonati, l'attenzione di tutti non può esimersi dal riusare quanto esiste.

Fonte: A Rivista 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.