di Clash City Workers
In seguito alle critiche sollevate dal progetto di riforma del mercato del lavoro, ma soprattutto dopo che ben cinque manifestazioni di massa e due scioperi generali hanno bloccato il paese, il Capo del Governo francese Manuel Valls ha dichiarato che “questa riforma, non è quella di un campo contro l'altro. […] Essa vuole oltrepassare gli interessi particolari“.1 Quale sia “l'interesse generale“ difeso dal governo lo ha specificato benissimo il Ministro del Lavoro Myriam El Khomri, in un'intervista rilasciata poco prima che la mobilitazione di salariati e studenti invadesse lo spazio pubblico: “l'obiettivo […] è quello di adattarsi ai bisogni delle imprese“.2 Punto.
Affinità e divergenze tra la
riforma francese e quella italiana
La riforma del code du travail è dunque uno specchio fedele delle riforme che, in tutti i paesi europei – e in particolare nel nostro – hanno indebolito e spazzato via le residue difese dei lavoratori di fronte all'arbitrio dei capi d'azienda. Eccone gli aspetti principali:
1) La riforma consente di stipulare accordi aziendali in deroga ai contratti nazionali e allo stesso codice del lavoro. In questo modo essa dispone la fine del principio di favore, ossia la regola secondo la quale qualsiasi accordo sindacale può discostarsi dai contratti nazionali e dalle leggi solo nel caso in cui esso sia favorevole al lavoratore. La riforma conferma che in caso di accordo aziendale, siglato dai sindacati in possesso della maggiore rappresentatività, esso potrà andare in deroga alle fonti gerarchicamente superiori pur essendo favorevole all'impresa!3
2) Alla singola filiale basterebbe dichiarare un abbassamento del giro d'affari lungo sei mesi per giustificare dei licenziamenti economici. Come se non bastasse, la riforma fissa un'indennità massima che le imprese sarebbero costrette a pagare nel caso in cui i giudici del lavoro dichiarassero un licenziamento illegittimo. In questo modo le imprese sarebbero in grado di calcolare il costo massimo di un licenziamento politico, un po' quanto consentono le “tutele crescenti“ di Renzi;
3) L'impresa potrebbe estendere la giornata lavorativa ben oltre l'orario normale delle 35 ore (che in molte realtà già oggi costituisce un limite fittizio). La nuova legge abbatte i costi del lavoro straordinario, consente il frazionamento delle 11 ore di riposo obbligatorio tra un turno di lavoro e l'altro e permette l'estensione straordinaria delle settimane lavorative fino ad un massimo di 60 (!) ore.
Le affinità tra la loi El-Khomri e il Jobs Act vanno ben oltre il piano puramente giuridico. L'obiettivo raggiunto dal Governo Renzi non è stato solo l'aver eliminato l'art.18, ma anche e soprattutto l'indebolimento, ottenuto attraverso l'incitamento del terrore nelle aziende, delle possibilità di organizzazione dei lavoratori. Questo segnale, indirizzato ai famosi “investitori“, è stato ben recepito all'estero. Non è un caso che il Ministro dell'Economia francese, Emmanuel Macron, si sia riferito al Jobs Act come ad un modello “virtuoso“ da imitare.
Che sia venuto il momento per noi lavoratori italiani, di ribaltare questo ragionamento, prendendo cioè spunto dai lavoratori francesi e riportando in Italia la lotta contro la loi El-Khomri?
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=408&pag=11.htm#1
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