di Carlo Clericetti
Come in Grecia, in Portogallo, in Irlanda, in Spagna, sta arrivando anche per Renzi il momento della resa dei conti, ossia il momento in cui gli elettori scontenti della situazione diventano più numerosi di quelli ancora disposti ad accordare fiducia ai governi in carica. Siccome la politica è la stessa in tutta Europa anche il copione è simile nei diversi paesi. Dapprima c'è un governo guidato da un partito di maggioranza relativa, che in qualche paese si definisce "centrista" e in qualcun altro "socialdemocratico" o "socialista", ma dietro queste diverse etichette segue le politiche imposte da Berlino e dalla tecnocrazia europea. Poi arriva una tornata elettorale dopo la quale il partito ex maggioritario non è più in grado di governare da solo, e allora forma una coalizione più o meno "Grande" insieme al suo ex concorrente, per continuare la stessa politica.
Intanto cresce la disaffezione degli elettori (l'astensionismo è aumentato dappertutto) e nascono nuove formazioni, più di destra o più di sinistra o comunque alternative. Infine arriva una nuova tornata elettorale dopo cui nemmeno la "Grande" coalizione ha più i numeri per governare (di solito principalmente a causa del tracollo del partito che si definiva "di sinistra" senza più esserlo), oppure che conferisce la maggioranza a una delle formazioni alternative.
Intanto cresce la disaffezione degli elettori (l'astensionismo è aumentato dappertutto) e nascono nuove formazioni, più di destra o più di sinistra o comunque alternative. Infine arriva una nuova tornata elettorale dopo cui nemmeno la "Grande" coalizione ha più i numeri per governare (di solito principalmente a causa del tracollo del partito che si definiva "di sinistra" senza più esserlo), oppure che conferisce la maggioranza a una delle formazioni alternative.
Il Regno Unito ha evitato di poco questo destino, grazie a un sistema elettorale che fa strame della rappresentanza in favore della governabilità. E obiettivi simili si propongono l'Italicum e le riforme costituzionali che dovranno essere confermate o meno con il referendum del prossimo ottobre. Riforme che sono state pensate come mai si dovrebbero impostare leggi di importanza fondamentale del genere, ossia sulla base di una lettura della situazione politica contingente: una delle cose da cui i "professoroni" avevano messo in guardia. Dopo il trionfo alle elezioni europee Renzi ha pensato che, con una legge elettorale "adatta", il "suo" Pd, diventato Partito della Nazione che pesca i voti a destra senza perderli a sinistra, poteva diventare la Dc degli anni 2000, me senza la necessità di cercare alleanze con altri partiti: niente "inciuci" (nel senso che gli inciuci si fanno prima delle elezioni, vedi il tentativo - miseramente fallito - con Verdini). Ma Renzi e i suoi improvvidi consiglieri pensavano a un eventuale ballottaggio (che, accecati da quell'effimero successo, probabilmente ritenevano evitabile, pensando di poter superare al primo turno la soglia per il premio di maggioranza) con la destra guidata da Forza Italia in declino, il "nuovo" contro il "vecchio". Avevano sottovalutato l'ancor più "nuovo" M5S.
Ora la lezione di Torino suona un brusco risveglio. Il contendente all'eventuale ballottaggio delle prossime politiche è più probabile che sia il M5S. L'Italicum considera i partiti, non le coalizioni. E a destra, nella situazione attuale, non è alle viste una riunificazione in un solo partito. Così, se lo scontro è Pd-M5S, significa uno scontro fra chi approva la politica pan-europea e chi invece - pur da prospettive e con motivi e obiettivi diversi - si oppone ad essa, e i secondi sono probabilmente più numerosi. Risultato, non è il Pd che prende tutto, ma il M5S.
Ma a questo punto è anche possibile che a quel ballottaggio non si arrivi mai. Perché prima c'è il referendum costituzionale, che Renzi ha trasformato in un referendum su lui stesso, proclamando che, se non dovesse passare, si dimetterebbe. Ciò che è accaduto a Torino, dove tutti gli elettori non "governativi" si sono coalizzati contro il candidato Pd - quel Piero Fassino che non era certo un candidato debole - mostra che al referendum può accadere esattamente la stessa cosa. Renzi ha scommesso sulla polarizzazione e sul suo carisma, e la vicenda di Torino testimonia che la polarizzazione - io contro tutti - può farlo perdere. Anche perché ha sottovalutato un altro fenomeno, quello della crescente astensione, che probabilmente coinvolge soprattutto elettori di impostazione moderata, dando più peso a quelli decisamente "contro".
Se il referendum non passasse, provocando le dimissioni di Renzi - a meno di un clamoroso voltafaccia che a questo punto appare difficile e che comunque gliela farebbe perdere, la faccia - le carte si rimescolerebbero completamente. Le prossime elezioni si farebbero con il "Consultellum", ossia il sistema derivante dalle sentenze della Corte Costituzionale. Il Pd del dopo-Renzi sarebbe un assoluto punto interrogativo. Un'evoluzione possibile su cui si può scatenare la fantasia, ma di cui oggi è davvero impossibile ipotizzare gli sviluppi. Di certo c'è che, se andrà così, Renzi sarà stato vittima della trappola che si è costruito da solo.
Fonte: La Repubblica - blog Soldi e Potere
Originale: http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/06/20/la-trappola-che-renzi-si-e-costruito/
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