di Giuseppe Allegri
In questi giorni presso la Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato della Repubblica verranno presentati gli emendamenti al Disegno di Legge (DdL) di iniziativa governativa collegato alla Legge di Stabilità e intitolato Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (A.S. 2233) di cui ha già parlato sul Menabò Stefano Giubboni. Il Relatore è il Senatore Maurizio Sacconi, che si è fatto promotore di un altro DdL, esaminato congiuntamente al precedente, Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile nella quarta rivoluzione industriale (A.S. 2229), tramite il quale si aspira a dare una «adeguata cornice legale entro cui ricondurre una nuova idea di lavoro e impresa che via via emerge con la diffusione della fabbrica digitale, della economia della condivisione e di quei “sistemi intelligenti” tra di loro connessi» (Relazione di accompagnamento all’articolato del DdL).
È evidente che il Governo e la maggioranza parlamentare provino a tenere insieme due profili, tra loro effettivamente connessi nelle trasformazioni del lavoro e dei sistemi di produzione.
Lavoro autonomo di seconda e terza generazione. Da un lato emerge il tentativo di introdurre per la prima volta nel Belpaese una normativa garantistica sul lavoro autonomo, visto che «in questi anni le forme autonome di lavoro hanno fortemente subìto le conseguenze della crisi economica, costituendo il corpo sociale che più consistentemente è scivolato verso il rischio della povertà e dell’esclusione sociale» (come riporta l’analisi tecnico-normativa che accompagna il DdL AS 2233), Secondo le statistiche, l’impoverimento investe gran parte del lavoro indipendente e autonomo, incluse le tradizionali professioni liberali (a partire dalle nuove generazioni di avvocati, architetti, ingegneri, medici, etc., un tempo ritenute, invece, in grado di “comprare” i propri diritti nel mercato) e le nuove professioni di lavoratori e lavoratrici autonomi di seconda generazione e terza generazione nel post-fordismo all’italiana (S. Bologna, A. Fumagalli, a cura di, Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, 1997; A. Fumagalli, Le trasformazioni del lavoro autonomo tra crisi e precarietà: il lavoro autonomo di III generazione, in “Quaderni di ricerca sull’artigianato”, 2015).
Rivoluzione digitale nella on-demand economy. C’è poi la consapevolezza che la “quarta rivoluzione industriale”, delle piattaforme tecnologiche e digitali, impone un ripensamento delle forme del lavoro e del fare impresa, dinanzi ai «signori del silicio» della Silicon Valley (E. Morozov, Codice edizioni, 2016). E questo ripensamento va dal cosiddetto lavoro agile (Smart Working) su quelle stesse piattaforme digitali (che succede al “telelavoro”) a quel vasto ambito comunemente definito della “on-demand economy” nell’economia digitale delle App tecnologiche e del lavoro a chiamata (platform-based on-call work), rispetto al quale si interrogano anche i sindacati europei (cfr. G. Valenduc, P. Vendramin, Work in the digital economy: sorting the old from the new, Working Paper Etui, 2016). E questo ripensamento appare necessario perché diviene sempre più difficile comprendere come le persone alternino “lavoretti”, prestazioni occasionali e altre attività più o meno informali in quel gigantesco centro per l’impiego globale che sta diventando il Web. Ed è altrettanto difficile per le politiche pubbliche inquadrare giuridicamente queste forme del lavoro, ma anche di piccola intrapresa personale, e trovare un modo univoco per bilanciare libertà e sicurezza, autodeterminazione individuale e tutele sociali, autonomia e garanzie, impresa e lavori, accesso ai diritti sociali e doveri solidaristici, secondo una lettura integrata degli articoli 2 e 3 della Costituzione repubblicana, nel bilanciamento tra personalismo, pluralismo, diritti, doveri ed eguaglianza.
Quali protezioni sociali oltre la società salariale? La doppia iniziativa governativa sembra rendersi conto di queste trasformazioni, qui solo sinteticamente enunciate, e potrebbe diventare un’occasione per ripensare le garanzie sociali dinanzi al mutamento della società salariale tipica del secondo Novecento. È questo forse il principale interrogativo che aleggia dietro le iniziative legislative: quali tutele, garanzie e promozioni sociali per i soggetti che già da decenni vivono al di fuori delle protezioni lavoristiche del tradizionaleWelfare occupazionale italiano (C. Saraceno, Il lavoro non basta, Feltrinelli, 2015), in quella condizione di esclusione da una concreta cittadinanza sociale che è tipica del “quinto stato” (G. Allegri, R. Ciccarelli, Ponte alle Grazie, 2013)?
Qui di seguito allora solo l’enunciazione di alcuni punti che si presume dovranno essere sciolti nel proseguimento del dibattito parlamentare, in particolar modo quello sul lavoro autonomo non imprenditoriale che procederà più speditamente, essendo collegato alla Legge di Stabilità.
Quale platea tra i lavoratori autonomi? Quale sarà l’effettiva platea dei soggetti destinatari di questo intervento normativo, soprattutto riguardo alle tutele sociali? La misura riguarderà solamente i liberi professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS, che, secondo i calcoli della Cgia di Mestre, sembrerebbero essere poco più di 220mila? D’altra parte è lo stesso Governo, nell’analisi tecnico-normativa che accompagna il DdL, a ricordare che l’ISTAT nel “Rapporto 2015 sulla situazione del Paese” quantifica i lavoratori autonomi in circa 5,5 milioni. Negli intenti del Governo sembra trasparire una comprensibile necessità di tutela del lavoro autonomo generalmente inteso, ben conoscendo la frammentazione e differenziazione di questo ampio segmento di lavori e attività, che vanno dalla maggiore dipendenza economica e minore autonomia delle collaborazioni coordinate e continuative (dopo l’abrogazione di quelle “a progetto” per opera dell’art. 52, secondo comma, del D. Lgs. 81/2015, sul quale sia concesso rinviare a G. Allegri, G. Bronzini, Libertà e lavoro dopo il Jobs Act, DeriveApprodi, 2015), al freelance di più o meno nuova generazione, alle prestazioni intellettuali di professionisti iscritti ad albi e ordini professionali, fino ai piccolissimi imprenditori del “capitalismo personale” di nuova generazione (nelle comunicazioni e nuove tecnologie, ad esempio) e vecchia generazione (il tradizionale commerciante). In questo spettro di riferimento c’è tutto il mondo che va dal lavoro intermittente e precario, alle nuove professioni digitali.
Questo è il fronte di una possibile ampia innovazione normativa che, tenendo conto delle differenziazioni tra le forme del lavoro autonomo, con l’aumento di insicurezza sociale e precarietà dei redditi, permetterebbe anche di ripensare la Gestione Separata (GS) INPS e quindi il mondo delle Casse professionali, per evitare divari e diseguaglianze come in parte sostiene anche Adepp, l’associazione che rappresenta 19 enti previdenziali privati, audita in Commissione Lavoro al Senato (in Il Sole 24 ore, 10 marzo 2016, p. 49). Si tratterebbe di assicurare princìpi universalistici e solidaristici di accesso alla cittadinanza sociale per tutti i prestatori d’opera e di attività lavorativa autonoma e intermittente, rimodulando la GS Inps e ragionando su meccanismi di defiscalizzazione per le Casse previdenziali private, vincolati però all’erogazione di servizi, prestazioni e garanzie sociali per i loro iscritti.
Estensione di prime tutele sociali. Sul versante delle previste garanzie di tipo welfaristico, come la tutela della gravidanza, l’indennità di maternità, i congedi parentali, la malattia anche di lunga durata e l’infortunio, quindi la tutela di salute e sicurezza, si tratta di essere ancora ulteriormente inclusivi, nel senso di prevedere questo nucleo duro di garanzie nella prestazione lavorativa a fianco di quei primi strumenti garantistici “nel mercato”, come la deducibilità delle spese di formazione, l’accesso alle politiche attive e la loro valorizzazione nell’ottica di una formazione permanente e una serie di servizi personalizzati in favore di lavoratrici e lavoratori autonomi. È necessario contribuire a definire un primo cerchio di garanzie sociali nel rapporto di lavoro e nel mercato per la promozione del lavoro autonomo e indipendente, in questo caso inteso nel senso più vasto possibile e con assicurazioni sociali universalistiche, che permettano di ripensare l’intero sistema previdenziale e, soprattutto, le forme di inclusione sociale e di sostegno al reddito. Come nota Stefano Giubboni, c’è un’eccessiva «debolezza delle previsioni sulle tutele di carattere previdenziale» e più in generale manca la consapevolezza dell’urgente «questione del riequilibrio e dell’adeguatezza della protezione sociale, in particolare per i lavoratori autonomi di nuova generazione e per gli iscritti alla gestione separata dell’INPS».
Sostegni e garanzie per il reddito: per una nuova cittadinanza sociale. Proprio in questo ambito il DdL governativo è del tutto sprovvisto di portata innovativa. La previsione di strumenti universalistici di garanzia di una qualche forma di reddito minimo garantito è il nervo scoperto del sistema di Welfare italiano, rispetto all’intero contesto continentale, e riguarda la necessità di dare una lettura evolutiva ed inclusiva del dettato costituzionale. Così proprio l’apertura di una discussione parlamentare su tutele e garanzie sociali, a partire da un primo “statuto del lavoro autonomo e indipendente”, dovrebbe dare definitivamente applicazione al dettato dell’art. 35 Cost. – “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” – letto con i primi 4 articoli della stessa Costituzione, dove per “lavoratore” si intende chiunque, in qualunque modo, a qualunque titolo, partecipi alla promozione dell’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (C. Tripodina, Il diritto a un’esistenza libera e dignitosa. Sui fondamenti costituzionali del reddito di cittadinanza, Giappichelli, 2013). È la necessità ineludibile di pensare un Welfare universalistico nelle trasformazioni dei sistemi di produzione e dei molteplici lavori, che riguarda il necessario aggiornamento di una cittadinanza sociale all’altezza dei tempi, a partire proprio dalla previsione di un reddito di base inteso comeius existentiae (E. Granaglia, M. Bolzoni, Il reddito di base, Ediesse, 2016).
Adeguatezza ed equità del compenso. Riguardo al profilo della retribuzione, nel rapporto con la committenza, manca del tutto la previsione di una qualche forma di adeguatezza del compenso. Come nota Adalberto Perulli, l’inclusione di un “giusto compenso” potrebbe trovare un appiglio normativo in «quanto previsto dall’art.1, co. 7, lett. g, della legge delega n. 183/2014, relativamente all’estensione del salario minimo legale alle collaborazioni autonome», quindi almeno, ma non solo, per quanto riguarda le figure del collaboratore economicamente dipendente, a volte in regime di monocommittenza, «onde la necessità di assicurare l’ancoraggio della misura del compenso a quei dati di mercato rimessi alla determinazione dell’autonomia collettiva».
Questi sono alcuni dei principali punti (ma va aggiunto sicuramente lo spazio di dimensione collettiva di diritti comuni e di regolazione sociale del lavoro autonomo) dai quali partire per rendere il dibattito parlamentare più aperto alle esigenze di inclusione sociale e promozione sistemica del lavoro autonomo e indipendente di tutte le generazioni e soprattutto dei soggetti, spesso indeboliti, che si muovono intorno a queste forme di molteplici lavori e attività.
Fonte: eticaeconomia.it
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