Nell’indifferenza del paese in questi ultimi decenni il diritto del lavoro italiano è radicalmente mutato. Si moltiplicano i casi di lavoratori licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche alle scelte delle proprie aziende, anche fuori dall’orario e dalle sedi di lavoro. Licenziamenti che sono confermati nei diversi gradi di giudizio con motivazioni riconducibili allobbligo primario di fedeltà alla propria azienda. Eppure l’articolo 2105 del codice civile dispone solo che il lavoratore non tratti affari in concorrenza con l’imprenditore, né divulghi notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o ne faccia un uso che possa recargli danno. Questo articolo è invece fatto valere estensivamente, rubricando anche la semplice espressione di una critica come atto illegittimo.
Questo principio, insieme a quello della continenza nell’esercizio della critica, sono sempre più spesso usati per limitare il dissenso e come strumento di deterrenza alliniziativa sindacale.
Questo principio, insieme a quello della continenza nell’esercizio della critica, sono sempre più spesso usati per limitare il dissenso e come strumento di deterrenza alliniziativa sindacale.
La vicenda dei lavoratori della FCA di Pomigliano, licenziati per aver inscenato al di fuori del luogo e dell’orario di lavoro il suicidio di un Marchionne angustiato per i lavoratori che si sono tolti la vita dopo il licenziamento, proprio per la crudezza dei toni, mette drammaticamente in chiaro quanto sta accadendo nel nostro paese.
Le recenti riforme del mondo del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi. Allo stesso modo è cambiato radicalmente anche il diritto del lavoro. Con esiti che rischiano di incidere sul più generale godimento dei diritti di espressione e di critica sanciti dall’articolo 21 della Costituzione, e di annullare le tutele di quell’autonomia e libertà di critica che sono i prerequisiti di qualsiasi relazione sindacale.
Quanto sta accadendo non è solo il risultato di cambiamenti normativi, ma anche e forse soprattutto l’indice di una profonda involuzione culturale, se è vero che i giudici interpretano e adattano ai casi concreti i principi generali della fedeltà e della continenza.
Interpretazioni sempre più ampie che stanno progressivamente cancellando ogni possibilità di dissenso da parte dei lavoratori, e delle organizzazioni sindacali, minacciando uno dei pilastri giuridici del sistema democratico del nostro paese.
A fronte di queste trasformazioni riteniamo sia urgente una presa di posizione di giuristi, professionisti del diritto, di sindacalisti e di lavoratori, di cittadini che inverta quella che ci sembra una regressione della cultura giuridica, politica e civile del nostro paese.
Crediamo che non siano più rinviabili iniziative pubbliche a difesa dei diritti e del diritto dei lavoratori e intendiamo farci promotori, con tutti coloro che condividono il nostro allarme, a promuovere occasioni di confronto, dibattito e mobilitazione per promuovere più giusta ed equa cultura giuridica del lavoro a partire dalla revisione delle norme che regolano l’obbligo di fedeltà.
Nella prima settimana di luglio si terrà a Napoli un incontro pubblico con giuristi, lavoratori, sindacalisti e semplici cittadini.
Per ulteriori adesioni: ellugio@tin.it
Alessandro Arienzo, Andrea Vitale, Franco Rossi, Giuseppe Allegri, Gianfranco Borrelli, Ascanio Celestini, Francesca Coin, Giorgio Cremaschi, Erri De Luca, Giuseppe Di Marco, Nicola Di Matteo, Roberto Esposito, Maurizio Ferraris, Ugo Maria Olivieri, Moni Ovadia, Daniela Padoan, Daniele Sepe.
Fonte: Il manifesto
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