di Marco Santopadre
A scorrere solo alcune delle notizie degli ultimi giorni che riguardano la Turchia appare più che evidente quanto il paese stia sprofondando nel fascismo. Il regime del partito islamista e nazionalista di Erdogan occupa ormai ogni spazio nelle istituzioni e nei gangli del potere politico ed economico, e sembra intenzionato a regolare tutti i conti con la dissidenza senza fare sconti a nessuno. Il rapporto tra le forze reazionarie e gli apparati di sicurezza e giudiziari sembra ormai ampiamente rodato: alle minacce e alle provocazioni contro i “nemici della patria e dell’Islam” da parte dei gruppi estremisti seguono immancabilmente arresti, divieti e repressione nei confronti non degli aggressori ma delle vittime.
Le due culture politiche che si sono confrontate e scontrate in Turchia nei decenni scorsi – il nazionalismo sciovinista e l’islamismo politico radicale – sembrano essersi sovrapposte e unificate, formando una sorta di ideologia statale aggressiva e assai vendicativa.
Le due culture politiche che si sono confrontate e scontrate in Turchia nei decenni scorsi – il nazionalismo sciovinista e l’islamismo politico radicale – sembrano essersi sovrapposte e unificate, formando una sorta di ideologia statale aggressiva e assai vendicativa.
Partiamo dall’episodio di cui i media internazionali si sono occupati di più e che la dice lunga sul clima che si respira nel paese.
Venerdì sera una ventina di squadristi islamisti, armati di spranghe e bastoni, hanno fatto irruzione nel negozio di dischi Velvet IndieGround, ad Istanbul, dove era in corso una piccola festa in occasione della presentazione del nuovo disco dei Radiohead. Un party blasfemo, a detta degli estremisti, in quanto non rispettoso dei precetti religiosi previsti durante il mese del Ramadan. Gli islamisti hanno letteralmente devastato il locale situato a Tophane, ed hanno picchiato i partecipanti all’incontro, insultati perché bevevano alcolici.
Un ragazzo che stava curando lo streaming dell’evento ha ripreso l’aggressione e ha diffuso il video sui social media, con il risultato che la notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo. Immediata è arrivata la condanna da parte della band inglese guidata da Thom Yorke che ha scritto: “I nostri cuori vanno alle persone attaccate questa sera al Velvet IndieGround a Istanbul. Speriamo che un giorno saremo in grado di guardare indietro su questi atti di intolleranza violenta come cose dell’antico passato. Per ora, ai nostri fan di Istanbul possiamo offrire solo il nostro amore e sostegno”.
Ma il giorno dopo il blitz squadrista il negozio assaltato è stato chiuso su decisione del proprietario dei locali che ha deciso di sfrattare con effetto immediato il gestore sudcoreano del Velvet IndieGround, ripreso dalla stampa mentre abbandona il music shop in lacrime.
Mentre nessuno degli estremisti religiosi è stato finora arrestato, ieri la polizia in assetto antisommossa ha caricato e disperso con i lacrimogeni alcune centinaia di manifestanti che erano scesi in piazza contro la deriva islamo-fascista agitando dischi e bottiglie di birra nel centrale quartiere di Cihangir. La folla che gridava slogan come ‘Uniti contro il fascismo’ e accusava il presidente-sultano Recep Tayyp Erdogan di essere un ‘assassino’ e un ‘ladro’ è stata attaccata anche con gli idranti e le pallottole di gomma.
Altra notizia: nei giorni scorsi la segretaria generale della Confederazione turca dei sindacati progressisti (Disk), Arzu Cerkezoglu, è stata arrestata dalla polizia turca all’aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul, mentre si stava imbarcando su un volo diretto in Germania, perché accusata dalla magistratura di offese al presidente, pronunciate in un discorso tenuto a Diyarbakir lo scorso 31 agosto. A diffondere la notizia è stato Kani Beko, leader del Disk, tra le maggiori organizzazioni sindacali di opposizione. Decine di dirigenti e militanti dell’organizzazione sindacale sono attualmente in carcere o sottoposti a processo.
Con la stessa accusa – offese a Erdogan – è finito sotto processo anche l’ex stella della nazionale di calcio ed ex deputato proprio del partito del presidente, Hakan Sukur. Il procedimento penale è iniziato davanti alla 28/a corte penale a Bakirkoy, quartiere di Istanbul; sotto accusa alcuni tweet pubblicati dall’ex giocatore del Torino, dell’Inter e del Parma nel febbraio del 2015, e che potrebbero costargli una condanna fino a quattro anni di reclusione. A citarlo in giudizio è stato lo stesso Erdogan. Dopo il ritiro dal calcio giocato, Sukur era stato eletto in Parlamento nel 2011 nelle liste dell’Akp, salvo poi rompere con il partito islamista dopo l’inizio della guerra tra il presidente e la confraternita di Fethullah Gulen, il magnate e imam che da stretto alleato è diventato negli ultimi anni un nemico giurato del presidente. Da quando Erdogan è stato eletto presidente, nell’agosto del 2014, circa 2 mila inchieste sono state aperte per presunti insulti nei suoi confronti contro giornalisti, accademici, studenti, attivisti politici e anche minorenni e diversi esponenti del mondo dell’arte, del cinema e della cultura. Due settimane fa anche l’ex miss Turchia, Merve Buyuksarac, è stata condannata a 14 mesi con pena sospesa per offese a Erdogan.
Altro episodio gravissimo che dimostra la stretta collaborazione tra forze dell’estrema destra e gli apparati dello stato riguarda il Gay Pride di Istanbul. La manifestazione, convocata per il 26 giugno, è stata infatti proibita dalle autorità turche. Lo scorso anno il Gay Pride di Istanbul, giunto alla 14esima edizione, era stato disperso con i lacrimogeni, gli idranti e le pallottole di gomma dalla polizia dopo un divieto comunicato a poche ore dall’inizio.
La decisione è stata presa dal governatore locale per motivi di “sicurezza” e di “salvaguardia dell’ordine pubblico” dopo che nei giorni scorsi alcuni gruppi ultra nazionalisti e di estrema destra avevano minacciato azioni contro il corteo se non fosse stato vietato. A lanciare le minacce era stato il gruppo Alperen Ocaklari, associazione giovanile del partito fascista della Grande Unione (Bbp).
“Cari rappresentanti dello Stato – aveva tuonato mercoledì Kursat Mircan, capo della sezione di Alperen Ocaklari a Istanbul, durante una conferenza stampa – che chiudete gli occhi e le orecchie di fronte a questa immoralità e la consentite, vi chiediamo di assolvere al vostro dovere di fermarla. Non vogliamo assolutamente che camminino nudi sul sacro suolo del nostro Paese durante il mese benedetto del Ramadan. Lo Stato deve fermarli tenendo in considerazione i valori nazionali”. E aveva aggiunto che se le autorità turche non avessero vietato la manifestazione, “saremo noi a fermare la marcia”. Una minaccia analoga era già stata lanciata dall’associazione della Gioventù musulmana dell’Anatolia (Mag).
Proprio nei giorni scorsi, inoltre, il presidente Erdogan ha ratificato l’emendamento alla costituzione da lui stesso ispirato e che permette il ritiro dell’immunità parlamentare ai deputati indagati, una misura ad hoc contro i parlamentari curdi e della sinistra, accusati di reati che vanno dal sostegno a organizzazioni terroristiche fino agli insulti al presidente. E per rafforzare il suo regime che dal luglio dello scorso anno sta conducendo una brutale campagna di bombardamenti e arresti di massa nelle regioni a maggioranza curda – centinaia di morti, città distrutte, centinaia di migliaia di sfollati – Erdogan ha pensato bene di estendere la già ampia immunità, e impunità, concessa alle forze armate. Il Ministero della Difesa ha presentato un progetto di legge che intende aumentare la copertura legale nei confronti dei militari impegnati nelle cosiddette ‘operazioni di sicurezza’ contro i gruppi terroristici, ovviamente il Pkk, il Tak e le varie organizzazioni dell’insorgenza curda e della sinistra rivoluzionaria turca. Secondo il disegno di legge, solo il Primo Ministro potrà permettere che i vertici dell’esercito e dei servizi segreti (Mit) possano essere sottoposti eventualmente a inchieste e processi. Nel caso di militari semplici o di ufficiali di basso rango invece il via libera dovrà venire dal governatore distrettuale, anche in questo caso subordinando comunque al potere politico le inchieste della magistratura. Inoltre ogni reato commesso durante un’operazione definita ‘antiterrorismo’ delle forze armate dovrà essere giudicato da un tribunale militare e non da quelli civili.
Come se non bastasse, a poche settimane dal terzo anniversario dei moti (repressi nel sangue) che portarono in piazza milioni di turchi contro il governo il presidente Erdogan ha affermato che intende portare avanti il cosiddetto ‘progetto di riqualificazione’ di Piazza Taksim alla base della rivolta popolare. “Un progetto che dobbiamo affrontare con coraggio è quello che riguarda Gezi Park a Taksim. Costruiremo questo edificio storico” ha detto il ‘sultano’ nel corso di un discorso pubblico tenuto ad Istanbul. Si tratta come noto di un imponente progetto immobiliare nel cuore della parte europea della città, formato da un complesso di edifici residenziali e commerciali che prevede la realizzazione della copia di una caserma ottomana e di una grande moschea, oltre a un centro commerciale.
Fonte: Contropiano
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