di Thomas Müntzer
Nulla più di questa campagna elettorale certifica l’elemento di cui si parla da tempo: la distanza accumulata tra la Politica – quella degli apparati che hanno governato alternativamente negli ultimi 25 anni – e la società. Distanza e incomprensione della realtà che sicuramente in questa tornata ha trovato i suoi campioni nel Pd renziano. Solo tre mesi fa, con l’arroganza tipica della “generazione Renzi”, il membro della segreteria Pd Ernesto Carbone ebbe la geniale idea di lanciare su twitter l'hashtag #ciaone subito dopo aver visto il quorum del referendum sulle trivelle fermarsi al 35%. Fu Maurizio Crozza, ben più ancorato alla realtà, a fargli notare: “Guarda che tu insulti così chi ha votato… ma poi quelli rivotano!”. Bastava in fondo un po’ di percezione della realtà, o almeno una calcolatrice, per scoprire che in una fase in cui l’affluenza alle urne non arriva nemmeno al 60%, il 35% fa presto a diventare maggioranza, e magari non conviene insultarlo.
Ma la non percezione della realtà ha toccato il culmine a Roma, dove il Pd partiva in svantaggio per gli scandali di Mafia capitale. Quale fine stratega, di fronte a tali scandali e ai problemi enormi della città, poteva pensare di concentrare tutti gli sforzi sul tema delle Olimpiadi e dello stadio della Roma? Proprio gli esempi con dietro più scandali e sprechi della recente storia mondiale? L’idea geniale di chiudere addirittura la campagna elettorale con alle spalle lo stadio Olimpico sembrava quasi voler chiarire – con l’aiuto de il Messaggero di Caltagirone, e di tanti altri media – chi tra i due candidati garantiva la continuità agli affari dei veri “padroni di Roma”: speculatori e palazzinari.
La moderna Politica (usiamo ancora volutamente la maiuscola), immemore del radicamento sociale e di reali connessioni popolari, si innamora così tanto delle proprie narrazioni da dimenticarsi di guardare – almeno qualche volta – la realtà. La crisi economica e sociale morde da 8 anni, e chi continua a pagarne i costi chiede cambiamenti e risposte urgenti e radicali e viene continuamente tradito nelle sue speranze. Un po’ difficile pensare che basti ripetere all’infinito che siamo in ripresa, che aumenta il lavoro… o anche che la Roma avrà il nuovo stadio e non sarà più costretta a vendere i propri top player.
Il voto così chiaro nelle periferie di Roma e Torino, evidenzia prima di tutto il dato sociale di queste elezioni. Anche nel secondo turno a Roma il Pd vince (di misura) solo nel centro storico e ai Parioli, in tutti gli altri quartieri viene più che doppiato dai Cinque stelle, che supera il 70% a Tor Bella Monaca. Stessa cosa a Torino, dove solo Chiara Appendino ha parlato di periferie insistendo sull’esistenza di due Torino: la vetrina per i turisti e il disagio sociale di chi subisce la crisi.
C’è una voglia di cambiamento radicale evidente, che usa gli strumenti che ha a disposizione per quanto confusi essi siano, spesso in modo disincantato ma non meno arrabbiato, anche quando si astiene. A Roma non ci sono state dopo la vittoria scene di giubilo memorabili (diversamente da Napoli) ma il voto è stato sicuramente principalmente un sacrosanto “voto contro” chi ha governato la città negli ultimi vent’anni, e chi è attualmente al Governo del paese.
Ma la sconfitta non è solo di Renzi, è anche della destra che in alcune realtà quasi scompare. Nelle grandi città il Pd riesce a vincere infatti solo dove, come a Bologna e Milano, al ballottaggio c’è il Centrodestra, che perde in modo fragoroso anche a Napoli con de Magistris. Non solo, la destra perde anche due sue storiche roccaforti come Varese (dove da 23 anni governava un esponente della Lega) e Latina. In quest’ultimo caso il risultato è clamoroso perché a vincere contro la destra con percentuali bulgare (75%) è una lista civica (Latina bene comune) che si era presentata in alternativa al Pd. Insomma, se Berlusconi è in un’inarrestabile declino la linea di Salvini non viene premiata, perde la forza locale più identitaria (vedi Torino e ancor più Varese), non riesce ancora a fare egemonia nell’area di Centrodestra e non regge la competizione dei Cinque stelle nel voto di protesta. Non a caso se nei ballottaggi gli elettori della Lega e della Meloni tendono a votare in massa per il Movimento Cinque stelle, non avviene il contrario come visto a Bologna e Milano. Certo il Centrodestra recupera anche qualche città al Pd, ad esempio Trieste, e conquista qualche nuovo Comune in Toscana, sperando di aver trovato in Parisi e nel suo Centrodestra riunificato una possibile risalita. Ma ad entrare in crisi è l’idea dei “due Mattei”, i due omonimi e coetanei presentati dai media come le uniche alternative possibili.
In realtà più che mai il voto dimostra di essere talmente “liquido” da rendere possibili un’ampia varietà di alternative. La crisi economica sommata alla crisi di credibilità dei partiti e anche dei progetti di società produce un voto fluttuante e fenomeni politici sempre a rischio di sgonfiarsi velocemente. Chi descriveva il fenomeno Renzi come destinato a durare vent’anni, analizzava superficialmente una realtà sociale frammentata dalla precarietà, dove radicamento sociale di tipo nuovo è ancora tutto da costruire, non ci sono rendite di posizione, il senso di appartenenza è sempre più affievolito e con il potere più debole vanno in crisi gli stessi classici meccanismi clientelari (che ovviamente potranno essere sostituiti da altri, più moderni). La stessa durata dei Cinque Stelle non può non essere un punto interrogativo, specie ora che non godranno più semplicemente della “rendita di opposizione” ma saranno giudicati dagli atti concreti di Governo. E fenomeni come quello di de Magistris a Napoli, o nel piccolo quello di Latina e altri, dimostrano che lo spazio dell’alternativa può essere intercettato anche da altre esperienze, ma solo se si presentano con determinate caratteristiche e non riunificando i vecchi armamentari della politica, come usa fare la sinistra radicale.
Sicuramente le peculiari caratteristiche del movimento grillino lo favoriscono chiaramente nei ballottaggi, tanto che ne vince 19 su 20. Virginia Raggi passa tra il primo e il secondo turno da 460 a 770mila voti e Appendino da 107 a 202mila voti, mentre ad esempio Sala a Milano sale molto meno (da 224 a 264 mila) e addirittura de Magistris a Napoli rimane praticamente stabile passando da 172 ad appena 185mila (nella città con il record negativo dell’affluenza, fermatasi al 35%). Se qualunque descrizione della vittoria dei Cinque stelle come causata dalla destra – come ha tentato di dire Fassino mentre si avviava verso il riposo della pensione – è superficiale, è vero che il loro presentarsi “né di destra né di sinistra”, onesti e radicalmente alternativi all’esistente, gli permette di raccogliere il voto dei delusi Pd, dei delusi di Berlusconi, ma anche quando utile sia della destra più estrema che della sinistra radicale.
Diverso il caso de Magistris che come detto stravince il ballottaggio limitandosi allo zoccolo duro del consenso del primo turno. Pur avendo mutuato alcune caratteristiche dei Cinque stelle, e ridotto il loro consenso in città al minimo, non è però un “partito piglia tutto” essendosi caratterizzato in modo molto più forte a sinistra e nei rapporti innovativi con i movimenti più radicali della città (emblematiche le scene di festeggiamento di ieri sera con migliaia di cittadini e militanti dei movimenti).
Paradossalmente, il voto sulla riforma costituzionale – a cui è legata anche la legge elettorale a doppio turno – su cui Renzi punta per la propria sopravvivenza, nel caso di una vittoria del Presidente del consiglio lascerebbe però intatta una legge elettorale che al momento favorisce i Cinque stelle. Insomma, comunque vada la situazione rimarrà molto aperta.
Da più parti fioriscono i paragoni tra le vittorie delle sindache di Madrid e Barcellona, Manuela Carmena e Ada Colau, e quelle italiane, ma in realtà la situazione è molto diversa. In Italia non c’è stato un movimento sociale e conflittuale che poi è stato in grado di occupare lo spazio politico dell’alternativa. Non ci sono stati gli Indignados né la forza del movimento per la casa catalano, il cui impatto nella politica è stato immediatamente conflittuale. Ma indubbiamente anche da noi c’è una profonda crisi di legittimità delle politiche liberiste e di austerity con cui si affronta la crisi, e il voto di ieri apre una fase nuova. Il Governo ne esce molto più debole e i poteri forti spaventati saranno costretti a immaginare alternative possibili. Nelle città si aprono possibilità, ma solo se si riesce a cancellare velocemente l’idea di delegare semplicemente il potere ai cittadini pentastellati. I governi di Roma e Torino possono andare in opposte direzioni, non avendo un progetto politico definito e una formazione politica strutturata dei propri dirigenti che vada oltre la richiesta di onestà e più democrazia. Subiranno probabilmente pressioni mediatiche forti (si veda il ruolo di Repubblica e dei giornali vicini ai potentati romani in questa campagna) e possono reagire in modo scomposto, anche con politiche di destra. È innegabile però che si sia aperto, se si è in grado di coglierlo, uno spazio di pressione conflittuale per i movimenti sociali che devono sfidare le nuove giunte a Cinque Stelle specie su alcuni contenuti. Se nella piazza di Chiara Appendino si cantava “giù le mani dalla Val Susa”, adesso i movimenti NoTav hanno più possibilità di agire per ottenere atti concreti mettendo in difficoltà possibili svolte moderare. Così a Roma per l’audit sul debito, per l’acqua pubblica, per l’autogestione degli spazi sociali e per il no alle Olimpiadi e nuove speculazioni edilizie (specie dopo l’ufficializzazione della nomina ad assessore di Paolo Berdini). Si tratta di giunte da sfidare sui contenuti con la capacità di approcciarle conflittualmente ma non nel modo in cui ci si oppone abitualmente agli amici dei poteri forti della città, che in questo momento sono disorientati e proveranno a strumentalizzare anche ogni conflitto che si aprirà.
L’esperienza napoletana di de Magistris nel suo rapporto con l'assemblea popolare di Massa Critica-Decide La città, rimane il modello più interessante a cui guardare, il cui approfondimento nella capacità di autogoverno sarà fondamentale nel prossimo periodo per delineare l’alternativa possibile nel Governo delle città, e da cui trarre strumenti anche per agire alcuni terreni di conflitto con le giunte grilline: se le loro politiche segneranno davvero una netta discontinuità rispetto alle giunte dei poteri forti, ciò dipenderà in larga parte dalla capacità dei movimenti di farsi inseguire dai Cinque Stelle sui loro stessi terreni (privatizzazioni, speculazioni, politiche occupazionali, gestione dei beni comuni).
Per questi motivi è urgente la costruzione dei conflitti sociali e l’irrompere in modo autonomo dei movimenti sulla scena politica, per intervenire in questa crisi di legittimità provando a costruire un radicamento di tipo nuovo, credibili progetti di società e a cambiare realmente il segno delle politiche economiche e sociali del paese, a cominciare dal governo delle città.
Fonte: communianet.org
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