di Carlotta Pedrazzini
Così è perché così deve essere è una frase dal gusto fatalista che possiamo utilizzare per descrivere il generale approccio con cui, nel corso della storia, si sono affrontate le questioni economiche, sociali e politiche. Un approccio fatalista di questo tipo ha giustificato, in passato, ogni genere di autorità e ingiustizia: la concentrazione del potere politico nelle mani di pochi, la divisione in classi, i privilegi, la diseguaglianza, la povertà, l'investitura dei monarchi, lo schiavismo, il vassallaggio. Anche i contemporanei discorsi sulle questioni di natura economica sembrano essere influenzati dalla stessa tendenza fatalista storicamente utilizzata per giustificare ogni ordine politico e sociale.
‘‘La diseguaglianza è aumentata'', ‘‘il tasso di disoccupazione è salito'', ‘‘i salari sono diminuiti'', ‘‘la povertà è in aumento''. La tendenzamainstream, quando ci si riferisce a questi fenomeni di natura economica (e ad altri ancora), è di trattarli come fortuiti e mai come il frutto di specifiche decisioni (o meglio, di specifiche politiche). Anche nell'ambito delle discussioni ufficiali, ci si rivolge a questi eventi come a qualcosa che semplicemente accade, proprio come in una giornata succede che ci sia vento oppure la pioggia. I discorsi sulla crisi economica mondiale iniziata nel 2007 vengono portati avanti riferendosi ad essa come se si trattasse di una forza funesta che, dopo essersi autogenerata, si è abbattuta sul mondo, e alla quale gli esseri umani stanno cercando in tutti i modi di resistere. E di sopravvivere.
Più di due anni fa il libro Il capitale nel XIX secolo usciva nelle librerie. L'autore, l'economista Thomas Piketty, focalizzava la sua attenzione sugli effetti negativi dell'attuale sistema economico, ponendo l'accento sulla questione delle diseguaglianze. Un argomento assolutamente pregnante (basta consultare i dati a disposizione che ci informano della sua crescita, soprattutto negli ultimi anni).
Anche se Piketty ha tratto delle conclusioni riformistiche, e non di cambio di paradigma, il suo volume ci fornisce uno spunto per pensare in modo diverso alle questioni riguardanti il capitalismo. Nel suo libro, l'economista francese spiega con chiarezza che tutto ciò che avviene nell'ambito economico è direttamente collegato alla sfera politica. Gli effetti economici sono sempre frutto di determinate scelte. Tutti i cambiamenti a cui assistiamo sono l'esito di decisioni ponderate prese al fine di sortire un determinato effetto. Nulla è dovuto al fato, dunque.
La diseguaglianza di sempre
Secondo il rapporto Oxfam pubblicato lo scorso gennaio, in Europa sono stati attualmente raggiunti livelli inaccettabili di ineguaglianza e povertà.
Attualmente, sul continente europeo, si contano 342 miliardari i quali, da soli, detengono un patrimonio totale di quasi 1.500 miliardi di dollari; al contempo lo stesso continente vede la presenza di 123 milioni di persone a rischio povertà e esclusione sociale.
La sproporzione tra il reddito del 10% più ricco rispetto al 40% più povero è abissale. La distribuzione del reddito è fortemente disomogenea, ma lo è ancora di più quella relativa alla distribuzione della ricchezza. Sappiamo infatti che l'1% della popolazione detiene un terzo della ricchezza totale, il resto è praticamente tutto in mano al restante 10% più ricco. Al 40% più povero, quindi, non rimane niente; è così che 7 milioni di europei si ritrovano a possedere quanto 662 milioni.
La grave disparità economica in termini di reddito e di ricchezza non è un fenomeno nuovo. Grazie all'analisi effettuata da Piketty (che ha raccolto e aggregato i dati relativi all'evoluzione di redditi e patrimoni in quei paesi del mondo in cui fosse possibile ottenerli, in un arco di tempo che va più o meno dalla rivoluzione industriale ad oggi), possiamo guardare all'evoluzione storica della diseguaglianza, per scoprire che non è mai esistito un periodo in cui questa non fosse presente.
La diminuzione della diseguaglianza è avvenuta esclusivamente in concomitanza con le due guerre mondiali, che hanno sostanzialmente portato una distruzione generale di patrimoni e ricchezze. Tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento è iniziata invece l'ascesa inarrestabile della disparità economica, generata delle politiche di matrice neoliberista applicate in modo massiccio a partire da quel periodo.
A questo riguardo David Graeber (in un'analisi riportata anche su ‘‘A'' 395 – febbraio 2015) ha spiegato perché un aumento del ricorso a politiche di stampo neoliberista sia avvenuto proprio in quegli anni, a ridosso dell'abbattimento del muro di Berlino e del crollo dell'URSS. In breve, il crollo del colosso sovietico ha messo fine a una di quelle che venivano percepite come possibili alternative in campo socio-economico, facendo credere ai decisori politici che il sistema capitalistico, di cui erano fautori, non avesse più alcun rivale credibile.
Il pensiero che il capitalismo fosse il solo sistema davvero realizzabile (e duraturo) ha portato i politici a spingere sull'acceleratore per quanto riguardava le politiche neoliberiste, e ha diffuso un generale sentimento di rassegnazione tra le popolazioni, meno restie ad accettare la “medicina amara del neoliberismo'' proprio perché venduta come ormai l'unica esistente. Nel periodo della guerra fredda, invece, il pericolo di un sovvertimento di stampo socialista aveva portato i governi a promuovere politiche espansive, andando ad aumentare lo stato sociale; i provvedimenti in campo economico in quel preciso periodo erano volti ad evitare che tra i cittadini nascesse l'esigenza di ricercare ed instaurare un sistema differente.
In sostanza, quando non è stato più necessario mascherare il vero volto del capitalismo, ecco che sono arrivate le politiche di austerità, il liberismo, le privatizzazioni, l'erosione delle tutele dei lavoratori, il taglio dei servizi sociali, che hanno progressivamente smantellato quello stato sociale che era stato concesso solo per sfavorire il ricorso ad un diverso sistema economico. È chiaro quindi che le tendenze economiche, i periodi di crisi e di espansione non siano fenomeni fortuiti, ma esiti di specifiche scelte fatte dai decisori politici. La narrazione che viene proposta però è molto diversa e lascia intendere che gli individui siano in balia di strutture economiche e finanziarie che si muovono senza una logica e soprattutto senza un fine.
Trickle-down addio
Il dato sulla diseguaglianza in Europa, recentemente pubblicato dal rapporto Oxfam, ci mette davanti all'esistenza di un chiaro problema di redistribuzione della ricchezza, che si concentra nelle mani di pochi a scapito dei molti lasciati senza niente.
Un andamento così negativo della redistribuzione dichiara di fatto che, a differenza di quanto sostenuto da economisti e politici, l'effetto trickle-down (ossia di sgocciolamento della ricchezza dall'alto verso l'alto) non è mai realmente esistito. Per gli economisti, questo fenomeno, che avverrebbe automaticamente senza bisogno di interferenze, dovrebbe anche servire da principale strumento di equilibrio. Secondo la concezione classica, la ricchezza sarebbe capace di distribuirsi da sola; l'accumulazione e l'arricchimento di pochi sortirebbero effetti positivi per tutti, anche per coloro collocati all'ultimo gradino della scala sociale. Ma la situazione attuale e le previsioni di un ulteriore aumento nei prossimi anni di diseguaglianza e povertà (si parla di 15-25 milioni di nuovi poveri entro il 2025) sconfessano questa teoria.
Se storicamente la diseguaglianza non è mai drasticamente diminuita, e al contrario ha imboccato la strada dell'incremento senza fine, significa che non c'è mai stato – né evidentemente mai ci sarà – alcun effetto di sgocciolamento redistributivo. Il sistema, così come ci è sempre stato venduto, non funziona.
Le previsioni per i prossimi anni parlano di un ulteriore incremento generale della diseguaglianza e della povertà; le varie “riforme sul lavoro'' messe a punto dai governi europei e le politiche di austerità imposte in tutto il mondo segnalano che non c'è volontà, da parte dei decisori politici, di arrestare l'ascesa delle diseguaglianze e dell'ingiustizia sociale.
Quando guardiamo a questi fenomeni, ricordiamoci che il sistema economico a cui sono collegati è frutto di una specifica scelta, e che nessun effetto è legato al caso o al fato. Le alternative che funzionano, come le fabbriche recuperate, le esperienze di produzione collettiva e autogestita, indicano che esiste in realtà la possibilità di agire in campo economico; sono proprio quelle esperienze a sconfessare la credenza fatalista che non ci sia altro sistema che quello capitalista e neoliberista, al quale gli individui devono sommessamente arrendersi.
Qualcuno ha pensato e costruito questo sistema secondo il proprio volere. A tutti noi oggi il compito di crearne uno completamente differente.
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=408&pag=17.htm
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