di Andrea Papi
Carlo Freccero giustamente afferma che per Renzi il modo d'intendere il premierato è quello di essere un amministratore delegato per conto di… In questo la gestione renziana rappresenta senz'altro un'autentica continuazione della visione berlusconiana. Forse neanche più efficiente, un po' meno fanfarona, senz'altro più “bullesca“ e arrogante. La caratteristica che contraddistingue il renzismo, superando il berlusconismo, in fondo è proprio quella di sfoggiare provocatoriamente questa visione, di non tentare neppure di velarla per farla apparire un'altra cosa. Ciò che Freccero non dice, probabilmente perché non lo pensa (lui stesso si autodefinisce un uomo del novecento, legato alle ideologie che ne hanno contraddistinto il secolo), è che non può essere diversamente.
Una tale condivisa constatazione porta automaticamente a chiedersi: che cosa è successo e sta succedendo alla politica? Parlo della politica come azione ed esercizio del potere, quella classica che c'insegnano nelle aule scolastiche, che dovrebbe essere il luogo principe delle decisioni riguardanti tutti e dovrebbe muoversi, come si usa dire, per realizzare il “bene comune“. Se, come sembra ormai evidente, si sta trasformando in una funzione assimilabile a quella degli amministratori delegati delle grandi aziende, come può operare in funzione del bene socialmente condiviso, come invece dovrebbe essere “secondo scuola“?
Sono convinto che non possa essere diversamente perché intravedo che lo spazio della politica in quanto tale, sempre più ghettizzato, ridotto e costretto in ambiti che non gli sono originariamente propri, di fatto si trova sempre più subordinato a contesti sovrastanti che ne condizionano pesantemente operato e scelte. Sorta originariamente come manifestazione del pensiero, branca della filosofia secondo Aristotele, la “politica“ nasce strettamente legata all'ambito della conduzione della polis. Si preoccupa di comprendere come gestire i contesti sociali, col compito di definire quale tipo di comunità e quali metodologie di gestione siano appropriate per l'andamento delle società cui ci si riferisce. In altre parole dovrebbe essere la scienza che definisce come governare le collettività, a seconda del tipo di configurazione sociale di cui sono composte. In questo senso l'anarchia, condizione politica senza capi e senza strutture centralizzate, rientra perfettamente tra le possibilità del come governare la polis, attraverso tecnologie gestionali che oggi definiamo autogoverno.
Rappresentando il momento fondamentale delle scelte che riguardano tutte le componenti dell'insieme sociale, la politica è, o dovrebbe essere, il luogo principe delle decisioni, in cui come chi e perché assumono un valore fondamentale e ineliminabile. Quando viene esercitata è dunque il luogo per eccellenza della decisionalità collettiva. Mentre questi presupposti diventarono fondanti con l'insorgere della modernità, quando il potere decisionale venne sottratto al re per passare al “popolo sovrano“, con l'avanzare sempre meno strisciante di una non ben definita “post-modernità“ o, se ironicamente vogliamo, “ex-modernità“, ha preso piede un processo sempre più invasivo tendente ad eroderne potenzialità ed efficacia fino, in un futuro non troppo lontano, a deprivarla di senso. A poco a poco, pur continuando a rimanere quale funzione sociale dichiarata e riconosciuta, il suo operato sarà sempre più marginale, rischiando la deriva dell'inconsistenza, annichilendo di fatto ogni residuo, anche vago, di possibilità per “le plebi“ di poter partecipare, anche se poco, a decidere del proprio destino.
Mentre i demagoghi e gli “amministratori delegati“ del politicantismo imperante con gran strombazzo continueranno a dichiarare di volerla riportare in auge (in parte sta già avvenendo), nei fatti faranno in modo che la funzione politica, originariamente nobile in quanto versata al bene di tutti, venga messa in soffitta per essere sostituita in modo strisciante da “atti amministrativi sotto delega“. Saranno spinti a farlo, chi consapevolmente chi no, per far permanere l'egemonia dei sistemi lobbistici, mafiosi e parafinanziari vigenti, senza permettere d'intaccarne il potere e mascherandone la pregnanza occulta. Il politicantismo lobbistico sta prendendo la mano alla partitocrazia. In tendenza si sostituirà ad essa affossando la funzione originaria della politica, facendo trionfare una funzione “amministrativa delegata“ per conto di… forze e categorie di potere che nulla hanno più a che fare con l'“interesse collettivo“, il “bene comune“, il “popolo“.
Una tendenza di transizione che s'intreccia perfettamente con la tendenza principale da cui in definitiva deriva. Mi piace chiamare “sistemi obbliganti“ quelle situazioni dinamiche di potenza che, attraverso la forza e le impostazioni che le caratterizzano, determinano condizioni di assoggettamento generalizzato, stati di quasi totale condizionamento permanente e sistematico per chiunque si trovi in qualche modo sotto il loro influsso. Generano cioè condizioni obbliganti da cui non si può prescindere. Le macroinfluenze delle egemonie finanziarie globali sono in tal senso un esempio molto calzante, dal momento che senza avere alcuna legittimità di potere in senso classico esercitano di fatto una capacità di dominio incontrastato, in grado anche, in più di un'occasione, di mettere intere popolazioni in ginocchio.
Mi sembra di poter dire che quelli che ho chiamato “sistemi obbliganti“ sono l'espressione più lampante della forma del dominio che a livello planetario sta prendendo piede in modo predominante. Destinato molto probabilmente a soppiantare, in un futuro non troppo lontano, le vecchie forme di potere che avevano caratterizzato la modernità dopo l'affossamento dell'egemonia aristocratico/monarchica, per diverso tempo a venire caratterizzerà in modo pregnante l'egida di un nuovo potere, non più politico in quanto non comprende la decisionalità come caratteristica specifica del suo operare. Al posto dei riti decisionali cui eravamo abituati, ci troveremo sempre più oppressi da sovrastanti macro/condizionamenti, capaci di vincolare molto fortemente le nostre vite, fino a distruggerle, senza fra l'altro avere la possibilità di contrastarli.
L'egemonizzazione di un tale status determina in modo pregnante un cambiamento a 180 gradi della funzione politica tradizionale. Come sostenevo all'inizio, non può essere diversamente perché è un processo in atto che sembra inarrestabile. Già oggi siamo costretti a notare, con sempre più frequenza, che le possibilità di scelta dei vari organismi istituzionali addetti (dal premierato nazionale, alle regioni, ai comuni, a tutta la “filiera“ gestionale in mano al politicantismo) sono sempre più ristrette, in alcuni casi impossibilitate, strette tra morse finanziarie, intrecci di “interessi particolari“ e “giri di favori e scambi“ che li rendono impotenti. Tutto viene continuamente scaricato sui cittadini non coinvolti, che attraverso imposte gabelle e balzelli vari devono sistematicamente coprire gli ammanchi che genera un tale “male sistema“. Da troppo tempo perdura, si rafforza e si affina. Non può essere un caso, né semplicemente un insieme di anomalie. È sistema a tutti gli effetti, occulto e strutturale.
Incontrastata supremazia
A ben vedere, un tale brodo para/istituzionale che progressivamente ha occupato la dimensione decisionale della politica, inizialmente con processi degenerativi poi tendendo a sostituirvisi, è in vari modi, più o meno intricati e complessi, la risultante di processi, inizialmente contenuti e latenti ora dilaganti, che derivano direttamente dagli influssi e dalle influenze insiti nella visione e nelle pratiche del capitalismo, diventato incontrastato egemone delle gestioni economico/politiche planetarie, ora trapassato alla dimensione operativa finanziaria che esercita una vera incontrastata supremazia su qualsiasi altra cosa, condizionandola e determinandola.
Il capitalismo ha messo in moto l'avidità e la sopraffazione che ne sono insiti, travalicando ogni illusione smithiana di presunte “mani invisibili“ che avrebbero dovuto equilibrare le relazioni socio-economiche tra gli individui. Avidità e sopraffazione, ormai uniche spinte realmente motivanti, capaci di stimolare voglia di mettersi in gioco e possibilità di emergere, sono diventati lo strato granitico e magmatico, sempre meno intaccabile, su cui si reggono le dinamiche del mondo, giocoforza strumento e usufrutto dei potentati, tendenti a dissimularsi, che dirigono il gioco.
Fonte: A Rivista
Originale: http://www.arivista.org/?nr=408&pag=86.htm
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