di Aldo Giannuli
Le cosiddette Terre rare sono diciassette elementi, quindici dei quali della famiglia dei lantanidi (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio) il littrio e lo scandio. Essi hanno particolari proprietà: per cui esercitano un magnetismo resistente anche alle alte temperature. Per questo sono indispensabili nei prodotti tecnologico di nuova o recente generazione: dagli hard disk dei pc ai satelliti, dal laser alle macchine fotografiche digitali, dalle leghe per batterie ai sistemi d’arma computerizzati, dai catalizzatori per auto alle macchine a raggi x alle lampade fluorescenti, dai cellulari agli iPod, dai motori elettrici ibridi alle fibre ottiche, dai proiettili teleguidati ai radar di ultima generazione ed il loro uso è destinato a crescere per effetto dell’ eco-industria.
Si parla molto meno dell’uso militare delle terre rare, tuttavia è uno degli aspetti fondamentali della questione: le terre rare sono indispensabili per le “armi a energia diretta” che rappresentano l’ultima frontiera delle nuove armi.
Si parla molto meno dell’uso militare delle terre rare, tuttavia è uno degli aspetti fondamentali della questione: le terre rare sono indispensabili per le “armi a energia diretta” che rappresentano l’ultima frontiera delle nuove armi.
Sulla carta, questi elementi, sono meno “rari” di quanto non si creda: si stima che le riserve mondiali assommino a circa 100 milioni di tonnellate, cioè, raddoppiando il consumo attuale, ce ne sarebbe per circa 4 secoli, senza contare la possibilità di riciclare parte dei materiali utilizzati. Ma, in pratica le cose sono meno facili, sia perché la loro estrazione richiede tecnologie costose ed, inoltre, esigono un processo di raffinazione ed ossidazione altrettanto costoso, sia perché in buona parte sono a profondità tali da rendere l’investimento antieconomico. Peraltro, i 17 elementi non sono distribuiti omogeneamente, per cui, può benissimo profilarsi una scarsità relativa a questo o quell’elemento, ed altri, pur non essendo scarsi in assoluto, presentano soglie di criticità, perchè rivestendo una particolare rilevanza strategica- soffrono di una particolare sproporzione fra l’attuale gettito e la domanda crescente. Come nel caso del Disprosio, fondamentale per i laser e, dunque di particolare rilevanza soprattutto militare: già sei anni fa, uno studio del dipartimento statunitense per l’Energia segnalava la carenza di 14 materiali strategici: 9 terre rare e 5 metalli strategici (indio, litio, cobalto, tellurio e gallio) .
Inoltre, le terre rare, proprio per il loro magnetismo, presentano particolari problemi sia sotto il profilo ambientale che per la salute dei minatori. E fu proprio questo ad indurre gli Usa (che vantano riserve intorno al 13% sul totale) ad interrompere la loro produzione dal 2002, alvo riprenderla dieci anni dopo, come vedremo.
Attualmente si stima che la Cina abbia le maggiori riserve, sembra fra il 35 ed il 40% sul totale , seguita dalla Russia con circa il 18%, gli Usa con il 13%, l’Australia con il 5% (ma in gran parte già esaurito), e poi India, Brasile e Vietnam con quote dallo 0,5 al 3% ed il resto polverizzato in una grande quantità di giacimenti in gran parte di piccole o piccolissime dimensioni, economicamente non convenienti. Come vedremo, tuttavia, la Russia non ha le tecnologie necessarie, gli Usa danno un apporto irrilevante ed i paesi minori non sono affatto “a regime”, per cui, in concreto, la Cina, sin dai primi anni 2000, rappresenta oltre il 90% della produzione.
E qui già troviamo la prima particolarità di carattere geopolitico delle terre rare: non esiste nessuna altra commodity (per lo meno non di questa rilevanza) che abbia questo indice di concentrazione che assegna ad un solo paese il 90% della produzione mondiale. Il che, ovviamente, ha riflessi evidentissimi sul piano dei rapporti di forza non solo economici, ma, proprio per i campi di applicazione, anche politici e militari.
Ci sono poi particolarità di carattere economico che fanno di questo settore un unicum a livello mondiale per quanto riguarda la formazione dei prezzi.
Infatti, a differenza di oro o argento, non è per nulla facile determinarli perchè non esiste alcun mercato ufficiale, ad eccezione del Fanya Metal Exchange, (di cui diremo dopo) uniche fonti disponibili sono a pagamento, come per esempio quella della Argus Rare Earths. E si tratta di un terreno minato, anche perchè le terre rare non sono tutte uguali. Ci sono quelle leggere e quelle pesanti e le più richieste sono le seconde, anche se tra le prime troviamo materiali pregiatissimi come neodimio e praseodimio usate, come il disprosio, per i magneti.
Poi c’è da considerare la scarsità relativa alla domanda: sia il cerio che il lantanio (usati nella produzione di acciaio) sono attualmente in eccesso di offerta, in natura esiste più cerio che rame, tanto per fare un esempio. Anche l’ittrio è abbastanza a buon mercato (4,40 dollari al Kg), mentre europio e terbio sono rarissimi: il terbio metallico vale 520 dollari al Kg e l’ossido di terbio 380 dollari. L’europio metallico 345 dollari e l’ossido di europio 110 dollari al Kg.
Dunque, questo richiede di separare fisicamente o diversi elementi per poterne determinare credibilmente il prezzo, quel che non è affatto facile, perché spesso si presentano associati fra loro oppure hanno altre impurità come uranio e torio che sono piuttosto complicati da smaltire.
Pertanto, anche se si ricorre ad una media dei differenti prezzi (ed uno stesso elemento può avere sino a 58 diversi prezzi da zona a zona della Cina) resta il problema di determinarne in concreto l’andamento, anche perché i vari elementi possono avere dinamiche del tutto divaricanti fra loro, il che accentua l’esigenza di una corretta separazione degli elementi che, invece, spesso è assai lontana da uno standard accettabile . Ed anche qui, siamo di fronte ad un unicum.
2- La Cina e la svolta del 2009.
La Cina conosceva da tempo l’esistenza dei suo giacimenti di lantanidi, ma a comprenderne lo straordinario valore fu Deng Xiaoping (“I paesi arabi hanno il petrolio, la Cina ha le terre rare”) che, nel 1986 varò il “programma 863” mirato a conquistare il controllo del mercato delle terre rare con una strategia di lungo periodo . Da quel momento la Cina profuse ingenti finanziamenti per lo sviluppo della ricerca tecnologica nel settore e, grazie all’ abbondanza dei giacimenti, ottenne importanti economie di scala, che gli permisero di realizzare una filiera assai più vantaggiosa di qualsiasi altro paese, eliminando via via i concorrenti (soprattutto gli Usa), che non ebbero più convenienza a sfruttare i propri giacimenti
Dopo la cessazione delle attività estrattive americane, nel 2002, la Cina è diventata monopolista e la sua produzione rappresenta circa il 95% di quella mondiale .
Conquistata questa posizione, la politica cinese ha mutato segno e, già nel settembre 2009, la Cina riduceva le esportazioni del 28% aumentando i dazi di uscita. Nell’estate del 2010, la Cina operò un ulteriore taglio adducendo la giustificazione del esigenze del mercato interno.
Seguirono poi ulteriori decurtazioni pari al 35% nel 2011 e nel 2012.
Tutto questo causava l’ennesima bolla speculativa finanziaria, dato che la ridotta disponibilità di terre rare minacciava la caduta dell’industria hi tec di Usa, Ue e Giappone, anche se per i due o tre anni successivi il bisogno sarebbe stato soddisfatto dalle scorte e contratti future.
Ufficialmente, il taglio fu motivato con le esigenze di natura ambientale e per il rispetto del protocollo di Kyoto. Data la ben nota sensibilità ambientale dei dirigenti di Pechino, nessuno ci credette. Qualche tempo dopo i primi tagli, Sun Zhenyu, ambasciatore cinese alla World Trade Organization, lasciò intendere che la posizione cinese potrebbe modificarsi se gli Stati Uniti rivedessero la loro politica restrittiva in materia di prodotti high tech con applicazioni sia commerciali, sia militari .
La prima spiegazione che ci si dette, fu quella della ricerca di ulteriori profitti, alzando il prezzo: conseguito il suo obiettivo di essere monopolista, la Cina avrebbe deciso di rifarsi degli sforzi sostenuti
E, infatti, i prezzi salirono vertiginosamente: dal prezzo del 2007, all’ottobre 2010, cerio e lantanio (gli elementi più abbondanti) sono passati da circa 3 dollari e mezzo al Kg a 50 dollari (+ 1.400% circa), il samario da 3,6 a 32,4 (+800%), il neodimio da 30 ad 80 (+164,76%), il disprosio da 89,1 a 286 (+221%), l’europio da 324 a 605 (+ 86,78%) ed il terbio da 500,44 a 615 (+ 22,89%).
Come è ovvio, i prezzi di partenza più bassi (lantanio, cerio, samario) furono quelli che subirono l’impennata maggiore.
Ma si pensò anche ad altri scopi di politica industriale. Ad esempio, rendere monopoliste le imprese cinesi che producono schermi pitti al plasma, come avrebbe dimostrato il particolare rincaro di lantanio e cerio che sono gli elementi più usati per la loro produzione, così come le mutate condizioni riguardanti lantanio e neodimio, potrebbe essere stato funzionale a battere i modelli di auto ibrida Prius e Insight di Toyota ed Honda.
Altri ipotizzarono che si volessero indurre le ditte produttrici a delocalizzare in Cina i loro stabilimenti, anche per evitare i dazi sulle uscite. Altri ancora che la svolta avrebbe favorito il salto dai settori a bassa redditività (tessile, mattone, giocattoli ecc) a quelli hi tech ad alta redditività.
Più sottile fu l’argomentazione di quanti collegarono i tagli delle esportazioni con lo scontro valutario fra dollaro e renminbi. I cinesi accusavano gli americani di produrre inflazione mondiale con la loro politica di liquidità e di svalutare indirettamente il loro debito di cui erano proprio loro i primi creditori . Per cui, il rincaro delle terre rare non sarebbe stato altro che la ripercussione della politica di iper liquidità statunitense: se il “dollaro facile” produceva inflazione soffiando nelle vele dei prezzi petroliferi (di cui i cinesi erano e sono acquirenti) non si vedeva perchè non dovesse soffiare anche in quelle dei metalli rari (di cui i cinesi erano e sono venditori).
Infine, non erano esclusi neppure scopi di natura politico militare, come rallentare gli sviluppi americani in materia di armi ad energia diretta.
E’ probabile che, nella scelta cinese, abbiano inciso in varia misura un po’ tutte queste motivazioni, anche se è difficile dire quale fosse più presente degli altri.
Dopo un primo attimo di disorientamento, gli occidentali provarono ad abbozzare una risposta all’offensiva cinese: in primo luogo riattivare le loro miniere dismesse (l’australiana Lynas, le cui azioni levitarono del 120% in tre mesi e la statunitense Mollycorp, +150% del valore azionario in pochi mesi), si ipotizzò l’avvio dello sfruttamento delle miniere in Alaska e Wyoming da parte delle canadesi Uncore rare metals e Rare element resurces quel che, però, non ha impedito che il valore delle loro azioni si apprezzasse del 50% nel primo caso ed addirittura del 300% nel secondo .Coreani e giapponesi, investirono 1,8 miliardi di dollari per rilevare il 15% di Companhia Brasileira de Metalurgia e Mineracao (Cbmm) che estrae niobio .
Nello stesso tempo, la Commissione europea varò un piano che prevedeva l’attivazione di una industria estrattiva europea nel settore (si parlò di possibili giacimenti in Svezia e in Groenlandia), la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e recuperare terre rare dalle discariche di prodotti tecnologici dismessi. Si pensò anche di ridurre il consumo di queste risorse (attraverso tecnologie più efficienti che ottengano gli stessi risultati con minori quantità di prodotto impiegato) e di possibili sostituzioni con altri materiali meno rari. Ma molte di queste manovre avrebbero potuto dare risultati solo dopo 10 o 15 anni. Troppo per poter dare una risposta alle urgenze. Né la produzione di India, Brasile e Malaysia crebbe molto oltre i limiti, delle 4.000 t. annue).
Le speranze maggiori si appuntarono sulla Russia che si sarebbe voluta
aiutare finanziariamente e tecnologicamente. Ma la cosa non prese mai quota, sia perché l’Unione europea era già attraversata dal dibattito sulla dipendenza energetica dalla Russia, sia per il sopravvenire della crisi ucraina e delle sanzioni occidentali contro Mosca che si è spostata sempre più verso la Cina.
3- Turbolenze ed imprevisti dopo la svolta…
Stanti le premesse appena descritte, la svolta cinese avrebbe dovuto mettere in serio pericolo l’industria Hi tech occidentale e ci fu anche chi ne paventò il suo crollo, che, però, non si è verificato, mentre si sono manifestate molti altre dinamiche impreviste e del tutto opposte come, ad esempio il crollo dei prezzi: l’ossido di ittrio valeva 10,50 dollari al chilogrammo all’inizio del 2015, nel 2016 vale 4 dollari. L’ossido di disprosio era a 290 dollari al chilogrammo, ed ha raggiunto i 218 dollari. L’ossido di terbio e di europio valevano 550 dollari al chilogrammo e ora sono a 380 e 100 dollari, rispettivamente. Per la verità, già dal 2013 aveva iniziato a manifestarsi una tendenza al ribasso e, anche se non si è tornati ai prezzi ante 2009, gran parte del “salto in avanti” è stato bruciato. On particolare dopo che, nel 2014, il Wto ha condannato la Cina per le restrizioni apportate e l’ha obbligata a “riaprire” i cordoni della borsa delle terre rare. E questo ha avuto conseguenze finanziarie pesantissime:
a giugno 2015 la Molycorp, quotata alla borsa di New York (NYSE), ha presentato istanza per essere ammessa al Capitolo 11, la procedura fallimentare americana . Nel 2011 era uno dei titoli azionari favoriti da molti investitori, tanto che il prezzo delle azioni era salito bruscamente, come abbiamo detto. I ritardi produttivi della miniera di Mountain Pass, la ricerca di fonti diversificate da parte delle imprese occidentali, ma soprattutto la decisione del Wto hanno condannato la Molycorp
Il prezzo delle azioni della società è attualmente di 0,12 dollari, assai lontano dai suoi massimi di oltre 74 dollari.
Né i guai sono stati solo per la Molycorp: Fanya Metals Exchange, la piattaforma di scambi per i metalli e le terre rare che ha sede a Kunming, nell’estremo sud della Cina, a fine 2015 si trovava sotto indagine per il default di un pagamento degli interessi a 220mila risparmiatori, per un debito complessivo di 6,2 miliardi di dollari (circa 40 miliardi di yuan). Ad agosto, una folla di creditori inferociti aveva aggredito per strada il fondatore di Fanya Metals Exchange, Shan Jiuliang consegnandolo alla polizia. Poco prima dell’annuncio delle indagini, per “pratiche d’affari illegali”, Shan Jiuliang (che non appare in pubblico dal 15 ottobre precedente) scompariva. Senza più partecipare alle riunioni del board del gruppo. Questa era l’ennesima sparizione di manager cinesi inquisiti per corruzione. All’inizio di dicembre era scomparso Guo Guangchang, fondatore della conglomerata Fosun, ricomparso pochi giorni dopo avere assistito le autorita’ in alcune indagini. Poco prima della scomparsa si Shan, era ricomparso un altro top manager, Yim Fung, presidente di Guotai Junan International, dopo oltre un mese dalla sparizione. Anche nel suo caso, la scomparsa era dovuta alle indagini delle autorità cinesi. Facile intuire che in diversi casi la “scomparsa” copriva un periodo di detenzione durante il quale la polizia aveva convinto i manager a collaborare. E sembra che ora il Fanya Metals Exchange debba liquidare tutte le sue partecipazioni nel momento peggiore del mercato. Chi ha comprato al Fanya Metals Exchange a prezzi molto alti è ora costretto a vendere a prezzi bassissimi.
Come spiegare la forte caduta dei prezzi delle terre rare e la simmetrica tenuta dell’Hi Tech occidentale?
In primo luogo ricordiamo che scorte e contratti future hanno fatto da cuscinetto ammortizzatore per qualche anno. A questo si sono aggiunti gli effetti della perdurante crisi: la caduta della produzione industriale ha decisamente ridimensionato la domanda. Poi sono venute le tre svalutazioni di seguito dello yuan-renminbi che, ovviamente, hanno ridotto i costi delle esportazioni cinesi. Infine la decisione del Wto seguita da quella delle autorità di Pechino di abbassare le imposte sulle esportazioni. Tutte cause che hanno sicuramente incoso, ma probabilmente la causa principale è stata un’altra.
Sul finire del 2010, Baotou Steel Rare-Earth Hi-Tech Co. e Jiangxi Copper Corp., i due colossi cinesi del settore delle «terre rare», raggiunsero accordi per i quali, già nel febbraio successivo, era fissato un prezzo unico dei metalli rari in tutte le province cinesi (o per lo meno ci si tentò). Fra le motivazioni di questa scelta, i cinesi accennarono all’esigenza di far fronte al rischio che una parte della produzione potesse finire nelle mani del contrabbando. Questa preoccupazione, dunque, era già presente dall’inizio della manovra restrittiva. E pour cause: già nel 2009 si calcolava che circa un terzo della produzione nazionale era nelle mani del contrabbando. E le cose sono molto peggiorate in seguito: da una richiesta al governo della China Rare Earth Industry, apprendiamo che nel 2013 in Cina sono state prodotte illegalmente quarantamila tonnellate di terre rare nel Paese, contro le 30.000 previste per l’esportazione e nonostante l’azione repressiva. Già nel 2011 erano state sequestrate 23mila tonnellate di terre rare prodotte illegalmente ed erano state chiuse 55 aziende del settore.
Ad ostacolare l’azione del governo hanno contribuito tanto la geografia del paese (che si estende per oltre 9 milioni di Kmq ed ha zone scarsamente accessibili), quanto la radicata presenza della mafia locale (le ben note Triadi) e la diffusissima corruzione tanto nei ranghi del partito, quanto in quelli dell’amministrazione statale.
Tuttavia, la corsa alla discesa dei prezzi ha subito notevoli turbolenze. In primo luogo per le decisioni del governo sia nella lotta al mercato nero quanto sul sostegno alla domanda. A questo, nel novembre 2015 è giunta provvidenziale la crisi della Wolkswagen causata dal noto scandalo sulle emissioni truccate dei diesel.
Lo scandalo è stato un duro colpo, per la Volkswagen e per tutta l’industria automobilistica delle vetture alimentate ad idrocarburi, ma lo scandalo rischia di accelerare la rivoluzione delle auto elettriche e delle auto ibride e, pertanto risollevare tutto il settore delle terre rare diversi elementi dei quali sono utilizzati soprattutto nelle batterie, quel che fa pensare a un drastico aumento della domanda globale, in particolare il disprosio che è particolarmente necessario per la produzione dell’auto elettrica. Ed ancora prima dello scandalo Volkswagen, la Commissione UE per i metalli critici prevedeva che la domanda di disprosio sarebbe raddoppiata entro il 2020. E, infatti, i prezzi del praseodimio e del neodimio sono subito cresciuti a 380 renminbi per tonnellata, mentre l’ossido di disprosio ha toccato i 1.700 renminbi al chilogrammo.
Ma le turbolenze sono anche di segno opposto: una ulteriore complicazione è venuta dal recente scandalo delle “Pamana Papers” che ha reso nota la lista dei personaggi che si sono rivolti allo studio panamense pero ottenere la costituzione di conti offshore. Nell’elenco compaiono anche uomini vicini a Xi Jinping e ad altri otto membri, tra passati e presenti, del Comitato Permanente del Politburo. Xi compare in relazione al cognato, Deng Jiagui, già nominato due anni fa in un’altra inchiesta condotta da Icij (International Consortium of Investigative Journalism). Già nel 2012, però, un’inchiesta condotta dall’agenzia Bloomberg aveva svelato gli affari della famiglia di Xi – all’epoca vice presidente cinese – nei settori immobiliare, delle telecomunicazioni e, guarda caso, delle terre rare.
CONLUSIONI.
Con la svolta del 2009 è iniziato un processo che si è rivelato ricco di conseguenze controintuitive e che è lontano dall’essersi concluso.
La crescente rilevanza strategica delle terre rare comporta un insieme combinato fra la sfera economica e finanziaria, quella della politica interna cinese, dei rapporti di forza militari, l’attivazione di dinamiche criminali, i rapporti geopolitici eccetera.
Ma questo comporta anche la possibilità (forse dovremmo dire la probabilità) che le terre rare si trasformino nel fattore di maggiore instabilità dell’ordine mondiale, insieme al petrolio.
Ma, come sempre accade in questi casi, c’è sempre e qualcuno che ci guadagna.
Infatti, la domanda di terre rare per il settore militare, aerospaziale e high-tech non è affatto diminuita ed è assai probabile che i militari cinesi, acquisteranno tutte le terre rare disponibili a buon mercato. Ma questo spingerà anche gli altri a fare altrettanto ricorrendo al mercato nero, magari producendo una nuova impennata dei prezzi. Ed il contrabbando diverrà un altro mezzo della strana guerra asimmetrica che stiamo già combattendo.
Fonte: aldogiannuli.it
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