di Daniela Preziosi
Un no al referendum costituzionale ma anche un no a una sinistra che si blinda nel «meno siamo meglio stiamo». Appuntamento ieri in piazza nel cuore del quartiere Testaccio di Roma per «Porte Aperte», l’iniziativa messa in piedi da un bel gruppetto di ragazzi e ragazze insieme a Marco Furfaro, giovane dirigente di Sinistra italiana e prima dell’associazione Tilt. Centinaia di persone – 500 per gli organizzatori – arrivate non solo da Roma per interrogarsi anche fuori dalle stanze dei partiti su che fine ha fatto la sinistra, perché ha perso il suo popolo, e che ne sarà di lei dopo referendum. Qui si scommette sulla sconfitta di Renzi.
«La sinistra o tiene le porte aperte, o non è. Dobbiamo fare come a Parigi, durante gli attacchi del terrorismo: gli abitanti hanno aperto le case a chi cercava rifugio, non si sono blindati dentro», spiega Furfaro alla fine di una giornata fitta di voci che si danno il cambio sul palco. Fra gli altri: Paola Natalicchio, ex sindaca di Molfetta, don Ettore Cannavera, fondatore della comunità Collina di Cagliari («Dobbiamo passare dal patto di stabilità al patto di umanità»), Serena Sorrentino, segretaria della Funzione pubblica Cgil, Lorenzo Marsili di European Alternatives (arriva anche un messaggio di Yanis Varoufakis), Gabriele Piazzoni, segretario di Arcigay, Ilaria Cucchi (anche lei manda un messaggio), Anna Falcone, del comitato del No, Gianni Pastorino, consigliere regionale ligure, Linda Laura Sabatini, la statistica sociale recentemente allontanata dall’Istat. Mondi diversi, pronti a incrociare le proprie strade. A dire la sua arriva anche Giuliano Pisapia: «Bisogna passare da partitino del 2-3% a parte integrante di una maggioranza; solo così potremo trasformare l’Italia nel paese che abbiamo sempre voluto». Quanto al referendum, l’ex sindaco di Milano non si è schierato per il no e dalla platea non tarda ad arrivare la domanda. «Ho sentito tante stupidaggini dal fronte del Sì e tante stupidaggini dal fronte del No, cerchiamo di essere concreti. Quando avrete votato, avrete cambiato il paese?», «Vogliamo costruire iniziamo un percorso in cui le differenze siano una ricchezza. Costruiamo un centro-sinistra, o magari una sinistra-centro».
«La sinistra o tiene le porte aperte, o non è. Dobbiamo fare come a Parigi, durante gli attacchi del terrorismo: gli abitanti hanno aperto le case a chi cercava rifugio, non si sono blindati dentro», spiega Furfaro alla fine di una giornata fitta di voci che si danno il cambio sul palco. Fra gli altri: Paola Natalicchio, ex sindaca di Molfetta, don Ettore Cannavera, fondatore della comunità Collina di Cagliari («Dobbiamo passare dal patto di stabilità al patto di umanità»), Serena Sorrentino, segretaria della Funzione pubblica Cgil, Lorenzo Marsili di European Alternatives (arriva anche un messaggio di Yanis Varoufakis), Gabriele Piazzoni, segretario di Arcigay, Ilaria Cucchi (anche lei manda un messaggio), Anna Falcone, del comitato del No, Gianni Pastorino, consigliere regionale ligure, Linda Laura Sabatini, la statistica sociale recentemente allontanata dall’Istat. Mondi diversi, pronti a incrociare le proprie strade. A dire la sua arriva anche Giuliano Pisapia: «Bisogna passare da partitino del 2-3% a parte integrante di una maggioranza; solo così potremo trasformare l’Italia nel paese che abbiamo sempre voluto». Quanto al referendum, l’ex sindaco di Milano non si è schierato per il no e dalla platea non tarda ad arrivare la domanda. «Ho sentito tante stupidaggini dal fronte del Sì e tante stupidaggini dal fronte del No, cerchiamo di essere concreti. Quando avrete votato, avrete cambiato il paese?», «Vogliamo costruire iniziamo un percorso in cui le differenze siano una ricchezza. Costruiamo un centro-sinistra, o magari una sinistra-centro».
È il cuore del problema, alla fine lo dice anche Furfaro quando propone di «ricostruire un campo progressista». Ma per lui, a differenza dell’ex sindaco, la condizione è la vittoria del no. E non è l’unica condizione. In piazza non ci sono bandiere di Sinistra italiana, ma ci sono molti parlamentari e amministratori (Bordo, Campanella, D’Attorre, Ferrara, Nicchi, Quaranta, Piras, Ricciatti, Scotto, Smeriglio). E anche se è presto, l’iniziativa senza dirlo butta un occhio verso il congresso che si celebrerà dopo il referendum. Cercasi il segretario (di segretarie purtroppo non se ne vedono all’orizzonte) del dopo-Vendola. Ma prima serve un’idea su cosa deve fare la sinistra. Furfaro, fra i papabili (ma non il favorito dei pronostici, che invece è Nicola Fratoianni) si schermisce: «Qui non c’è un io, c’è un noi». Un noi «che non è una corrente», giura, ma l’ambizione di una comunità «inclusiva, in cui ci si ascolti con un sorriso, non una caserma». Un noi che per questo fa quadrato intorno a Pisapia, nonostante il dissenso sul referendum. Un noi che vuole «un partito grande, non un partitino del 3 per cento» (Simone Oggionni).
Va detto però che la Sel delle elezioni 2013, con il vento in poppa e un Vendola al massimo della forma (politica), prese il 3,2%; performance modesta ma determinante per far scattare il premio di maggioranza alla camera a vantaggio della oggi defunta coalizione Italia Bene Comune. Quindi la vera scommessa non è solo sul successo del futuro partito ma anche sulla sua capacità di riaprire l’ipotesi delle coalizioni seppellita dal Pd di Renzi. Ed è forte la differenza con chi, nella stessa Si, considera seppellita per sempre l’alleanza con il Pd, anche nel caso di una sconfitta di Renzi. Puntando invece sul cartello delle sinistre radicali.
Ma è presto per parlarne. La vittoria del sì farebbe tabula rasa di questi ragionamenti e come in tutto il paese anche per la sinistra scriverebbe un’altra storia. Per questo l’impegno è «tutti pancia sotto» per far vincere il no. Appuntamento stamattina ancora a Roma al Teatro de’ Servi, poi sabato 1 ottobre manifestazione a Firenze.
Fonte: Il manifesto
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