di Fabrizio Tonello
Alle elezioni del prossimo novembre potrebbe emergere una maggioranza relativa di cittadini che invoca legge e ordine a qualsiasi costo, favorevole a espellere 11 milioni di immigrati, a sopprimere la protezione dell’ambiente, la progressività del sistema fiscale e il diritto all’aborto: un panorama politico da brividi. Nel 1933, il nazismo andò al potere manipolando gente perbene, che voleva solo vivere in una «Germania ordinata». Lo stesso potrebbe fare Donald Trump: occorre quindi chiedersi perché molti americani onesti voteranno per lui. Una parte della risposta sta in un vecchio libro di Michael Kazin, The Populist Persuasion, che traccia una storia del populismo dal 1890 ad oggi.
Oggi sono degli estremisti di destra che si sono impadroniti del termine «populismo» ma quando il People’s Party fu fondato a St. Louis nel 1892, il suo programma era di battersi contro «La più crudele delle aristocrazie, quella del denaro».
Oggi sono degli estremisti di destra che si sono impadroniti del termine «populismo» ma quando il People’s Party fu fondato a St. Louis nel 1892, il suo programma era di battersi contro «La più crudele delle aristocrazie, quella del denaro».
Il partito intendeva «rimettere il governo della Repubblica nelle mani della gente comune», spazzando via i politici repubblicani asserviti ai miliardari di allora: i Morgan, i Rockefeller, i Carnegie.
Nel 2016, il populismo americano ha un miliardario come candidato.
La campagna per la presidenza nel 1896 fu aspra e il democratico-populista William Jennings Bryan avrebbe senza dubbio vinto se dietro il repubblicano William McKinley non ci fossero stati i miliardi dei robber barons e l’intelligenza del direttore della campagna elettorale Marcus Hanna. Prevalse McKinley, per soli seicentomila voti.
Il populismo trovò poi un altro canale di espressione: il proibizionismo. Oggi esso ci appare una stravaganza ma fu un movimento durevole e potente, che si batteva tra l’altro per rivendicazioni progressiste come il voto alle donne e il riconoscimento dei sindacati. Il suo zelo messianico era però ovviamente autoritario.
L’altro peccato originale del movimento era il razzismo. I sindacati erano all’avanguardia nel rivendicare la chiusura delle frontiere agli immigranti, in particolare italiani, ebrei e cinesi, esattamente come vuol fare Trump oggi. L’interesse di limitare la concorrenza di manodopera a basso costo sul mercato del lavoro si tingeva spesso di disprezzo per questi «animali» portati in America al solo scopo di «aumentare i profitti di corporation straniere (…) e procacciare bestiame per le frodi elettorali» (un altro tema di cui si discute molto quest’anno). Zelo missionario e xenofobia sono quindi correnti profonde e di lunga durata nella società americana.
Il peso dei principi religiosi e dei «valori» familistici nella rinascita di un populismo di destra è stato certamente determinante negli ultimi 40 anni, ma in un certo senso il New Deal era «stato vittima del proprio successo». Le riforme di Franklin Roosevelt e l’irripetibile boom postbellico avevano trasformato milioni di famiglie operaie in ceti medi proprietari di una casetta nei sobborghi residenziali. Sono questi lavoratori bianchi che oggi reagiscono alle turbolenze economiche e al senso di perdita di controllo sulla propria vita portati dal neoliberismo prendendosela con Washington e con l’establishment. Il loro conservatorismo culturale li ha resi ostili a un partito democratico, visto sempre più come l’organizzazione dei neri (Obama), delle donne (Hillary Clinton) e degli omosessuali (la sentenza della Corte Suprema che ha legalizzato il matrimonio gay).
Due mesi e mezzo di campagna di Clinton sembrano aver ottenuto l’effetto opposto a quanto gli strateghi del partito democratico speravano: la coalizione populista-conservatrice al seguito di Trump si è rafforzata e consolidata in misura inimmaginabile fino a solo poche settimane fa. Perché?
Una risposta parziale è che gli americani sono ben consci del «patto col diavolo» che i democratici hanno stretto in questi anni con le élite economiche: dopo la convention Hillary si è dedicata prevalentemente a raccogliere fondi. Il sostegno di Wall Street significa il distacco da quei milioni di americani che campano alla meglio, alle prese con l’insicurezza economica e con la sensazione di impotenza politica. Quegli americani che una candidatura di Bernie Sanders avrebbe potuto convincere.
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.