di Michele Giorgio
Andati al potere nel 2011 con il via libera di re Mohammad VI, sotto pressione per le rivolte popolari e le guerre che nel Nordafrica avevano spazzato via i leader di Tunisia, Egitto e Libia, gli islamisti del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Pjd) si sono riconfermati la forza di maggioranza relativa sulla complessa scena politica marocchina. Le elezioni legislative di due giorni fa hanno visto il Pjd del premier Abdelilah Benkirane conquistare 125 dei 395 seggi alla Camera dei Rappresentanti, 18 seggi in più rispetto all’ultimo voto.
Un passo in avanti che però deve fare i conti con l’avanzata del Partito laico dell’Autenticità e della Modernità (Pam), costituito nel 2008 da Ilyas El Omari, un consigliere del re, passato da 47 a 102 seggi. Un risultato che non convince il Pjd che denuncia brogli. Su questa accusa si pronuncerà oggi il Consiglio nazionale per i diritti umani. Sullo sfondo dello scontro tra islamisti e laici c’è il silenzio, per quasi tutta la campagna elettorale, sulla situazione nel Sahara occidentale e la negazione dei diritti del popolo Sahrawi.
Un passo in avanti che però deve fare i conti con l’avanzata del Partito laico dell’Autenticità e della Modernità (Pam), costituito nel 2008 da Ilyas El Omari, un consigliere del re, passato da 47 a 102 seggi. Un risultato che non convince il Pjd che denuncia brogli. Su questa accusa si pronuncerà oggi il Consiglio nazionale per i diritti umani. Sullo sfondo dello scontro tra islamisti e laici c’è il silenzio, per quasi tutta la campagna elettorale, sulla situazione nel Sahara occidentale e la negazione dei diritti del popolo Sahrawi.
Il sistema elettorale in Marocco è finalizzato a disperdere il consenso tra i 27 partiti in modo che nessuna forza politica sia in grado di ottenere maggioranze schiaccianti. Un quadro che vede re Mohammad VI conservare i poteri principali grazie alla nuova Costituzione “democratica” approvata cinque anni fa. La maggiore polarizzazione emersa dal voto di venerdì perciò non deve ingannare. Benkirane con ogni probabilità riceverà di nuovo l’incarico di primo ministro ma dovrà necessariamente formare un’ampia coalizione per governare. Da parte sua il Pam non è in grado di mettere in piedi un esecutivo alternativo a quello degli islamisti perchè tutte le altre forze politiche, a cominciare dal Partito nazionalista Istiqlal, hanno perduto seggi rispetto alle passate elezioni. Fa un passo indietro anche l’Unione Socialista delle Forze Popolari, crollata da 39 a 20 seggi. Di scarso rilievo i risultati dei salafiti, tornati sulla scena politica, incluso il famoso Abdelwahab Rafiki, noto anche come Abou Hafs, il predicatore condannato a 30 anni di carcere per aver approvato gli attentati che nel 2003 fecero 45 morti a Casablanca. Rafiki, che era candidato per Istiqlal a Fez, è stato graziato nel 2012.
La mobilitazione del Pjd nei centri urbani, sue roccaforti, è riuscita a garantire la vittoria di misura, nonostante la debole politica economica attuata dal governo Benkirane nei passati cinque anni, la mancata soluzione alla siccità che sta affamando le campagne (da qui il voto dei contadini per il Pam) e l’insoddisfazione dei giovani, i più colpiti dalla disoccupazione e i più sensibili all’islamismo radicale. Non hanno influito sugli elettori gli scandali che avevano travolto il Pjd, come quello che ha rivelato la storia extraconiugale tra due noti predicatori. A conti fatti il dato più importante del voto è stato l’astensionismo: due giorni fa ha votato solo il 43% degli aventi diritto.
Fonte: Il manifesto
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