La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 9 aprile 2017

Madre Terra, Sorella Acqua

di Cinzia Thomareizis
Il legame tra le comunità umane e il loro ambiente di vita si gioca fondamentalmente sul binomio acqua e terra, acqua e organismi viventi, acqua e produzione di cibo, acqua e possibilità di sopravvivenza in un territorio. Il cammino umano di civiltà ci indica che l’umanità deve avere come destino il pieno svolgimento di una vita degna, nella realizzazione di quei diritti e nell’accesso a quei beni comuni che sono fondamentali per la vita. Ma senza il compimento del diritto all’acqua, neppure gli altri diritti umani si concretizzano: il diritto all’alimentazione, alla salute, al lavoro, i diritti delle donne e dei bambini…
Allora ci chiediamo: perché - a distanza di sette anni dalla Risoluzione dell’Onu del 2010 che riconosce «il diritto umano, universale e inalienabile all’acqua e ai servizi igienici» come un diritto «autonomo e specifico, presupposto per l’esercizio di tutti gli altri diritti» - ancora oggi dobbiamo mobilitarci in difesa dell’acqua? E che strumenti mancano per procedere con l’impegno di assicurare la disponibilità di acqua di buona qualità a tutti?
Dobbiamo constatare che finora le legislazioni nazionali e il riconoscimento costituzionale di tale diritto umano universale, laddove si è prodotto, si sono rivelati strumenti troppo deboli per assicurarne l'effettivo rispetto. Di fatto hanno lasciato ai singoli Stati la possibilità di garantire il diritto all’acqua (anche al livello di minimo vitale) attraverso la tariffa, cioè il pagamento dei costi. Manca cioè uno strumento internazionale vincolante che definisca le modalità con cui gli Stati sono tenuti a dare attuazione al diritto umano all’acqua in termini universali, sottraendolo alla propria discrezionalità, e che garantisca a chiunque la giustiziabilità delle violazioni. Prima di addentrarci nel merito dello strumento giuridico, è opportuno ricordare alcuni dati e fenomeni in atto.
Uno sguardo globale: alcuni dati
A livello globale sappiamo che una grossa fetta dell’umanità è esclusa dal diritto all’acqua: ancora oggi 663 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile; più di 2,6 miliardi di abitanti del pianeta soffrono la mancanza di servizi igienici, che è la principale causa dell’inquinamento dell’acqua e delle malattie che ne conseguono; la cattiva qualità dell’acqua è la causa della morte di un milione e mezzo di bambini sotto i 5 anni; a causa di malattie relazionate con l’acqua si perdono 443 milioni di giorni scolastici.
I cambiamenti climatici inoltre costituiscono uno dei maggiori fattori che spingono le persone a migrare: una nuova categoria di rifugiati si sta delineando, quella dei rifugiati climatici, il cui numero potrebbe arrivare nel 2050 a 200-250 milioni di persone. Tra le diverse categorie di cambiamenti ambientali alla base di rilevanti spostamenti di popolazione, hanno un notevole ruolo proprio le cause direttamente legate all’acqua.
Un altro fenomeno che avrà un notevole impatto sull’accesso all’acqua e sulla sua gestione è quello dell’inurbamento. Secondo le previsioni dell’Ocse, nel 2030 due terzi dell’umanità vivrà nei grandi centri urbani e la distribuzione dei servizi costituirà un problema destinato a crescere, in particolare per quanto riguarda il servizio idrico.
Accaparramento di acqua e terra
L’accesso ad acqua e terra è una condizione intrinsecamente legata alla dignità della vita. Purtroppo l’accaparramento di acqua e terra, messo in atto dalla finanza internazionale e, in alcuni casi, dagli stessi Stati, costituisce uno dei principali meccanismi di sottrazione di tali diritti. «Oggi, oltre 200 milioni di ettari di terra sono oggetto di processi di accaparramento in tutto il mondo. Così gli enormi profitti di una élite sono costruiti sulla violazione sistematica dei diritti della maggioranza degli agricoltori, degli abitanti degli insediamenti urbani e rurali, dei pescatori, dei pastori e dei nomadi, che sono stati spogliati della loro terra e dei mezzi di sussistenza attraverso atti di violenza, intimidazioni e torture. L'accaparramento della terra si accompagna sempre di più a quello dell’acqua. Allo stesso modo, le coltivazioni non sostenibili, la privatizzazione dei servizi di distribuzione e di gestione delle acque, la contaminazione incontrollata di acqua prodotta dagli scavi in miniera, l’espulsione delle comunità per costruire dighe, la militarizzazione delle fonti, l'allontanamento dei pescatori e degli agricoltori dai loro habitat, la penalizzazione delle comunità povere nell’accesso all’acqua sono tutte modalità attraverso cui si procede all’accaparramento delle risorse idriche. La criminalizzazione degli attivisti che lottano per la tutela dei beni comuni sta diventando una prassi comune, anche se nascosta dalle autorità. Ecco perché la terra e l’acqua sono risorse sempre più scarse e conseguentemente fondamentali per la sicurezza delle società e la sovranità degli Stati. Tuttavia, la scarsità che è alla base della crisi idrica e di quella della terra non è un evento naturale, ma, al contrario, il frutto di scelte politiche, geostrategiche e finanziarie». Questa è la significativa analisi che ha portato per la prima volta i movimenti della terra e dell’acqua a sottoscrivere in maniera congiunta, nel corso nel Forum Sociale Mondiale di Dakar del 2014, la prima piattaforma di mobilitazione a difesa del diritto all’acqua e del diritto alla terra. Questa alleanza si è rafforzata al Forum Sociale mondiale di Tunisi (2015) che ha identificato nella proposta di strumenti giuridici a difesa dei diritti economici, sociali e culturali una delle modalità con cui salvaguardare i diritti alla terra e all’acqua. E ha compiuto un ulteriore passo con il processo, avviato a Roma nel 2014, degli Incontri Mondiali dei Movimenti Popolari in dialogo con Papa Francesco, le cui proposte comprendono il diritto alla terra, al lavoro e alla casa.
Il furto delle risorse
Il fenomeno dell’accaparramento delle risorse idriche non colpisce però solo le regioni più vulnerabili e povere del pianeta, ma sta investendo anche i Paesi industrializzati. Le risorse naturali sono diventate appetibili in termini di profitto non solo a livello di gestione e privatizzazione del servizio idrico, ma anche attraverso l’appropriazione delle fonti d’acqua, tramite concessione da parte di Stati o Regioni a imprese private multinazionali. Fenomeni di questo genere, noti e documentati in America Latina, Africa, Asia, Territori Occupati Palestinesi, sono purtroppo in corso anche nelle regioni del sud Italia (Lazio, Campania, Puglia, Molise, Umbria, Calabria, Basilicata), come denunciato dalla Dichiarazione finale della terza assemblea della rete a tutela delle fonti dell’acqua (Avellino, 2017).
A livello planetario, inoltre, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai nelle calotte artiche apre nuovi scenari di conflitto e di accaparramento delle risorse naturali e idriche, con «una corsa alle grandi risorse energetiche e minerarie, prima celate sotto la calotta» (rinnovabili.it).
Un Protocollo Internazionale a difesa dell’acqua e della terra
L'espropriazione di terra e acqua è possibile anche perché mancano strumenti di diritto internazionale che consentano alle comunità locali di difendere beni comuni e risorse naturali dei propri territori. 
Gli Stati, finora, non hanno mostrato alcuna volontà politica di applicare le Risoluzioni dell’ONU: solo alcuni, sotto la spinta dei movimenti, hanno introdotto nelle loro Costituzioni il principio del diritto umano all’acqua o hanno adottato leggi-quadro, senza però mai definire le modalità con cui garantire tale diritto. Un ampio margine di discrezionalità che rischia di inficiare il suo carattere universale. Per i prossimi 15 anni, a livello di Nazioni Unite, non è stato assunto alcun impegno a garantire il diritto umano all’acqua come obiettivo di sviluppo sostenibile. Ciò che prevale è l’approccio di “assicurare l'accesso universale all'acqua da bere e ai servizi igienici attraverso un prezzo accessibile e una gestione efficiente e sostenibile”. 
Se non si vuole lasciare al mercato e alle imprese la definizione delle modalità con cui concretizzare il diritto umano all’acqua, i movimenti possono oggi impegnarsi per rilanciare il processo attraverso nuovi strumenti, che traducano in norme vincolanti per gli Stati il principio che l’acqua è un diritto umano, stabilendo alcuni principi attuativi irrinunciabili: la priorità dell’uso umano per la vita, incluso l’uso personale e quello per la produzione di cibo; la gratuità del minimo vitale di acqua; la responsabilità degli Stati a garantire questo diritto; la giustiziabilità delle violazioni presso la Corte Internazionale dei Diritti Umani.
Tale strumento, che assume la veste giuridica di un Protocollo Internazionale, potrebbe costituire un quadro di riferimento per vincolare gli Stati rispetto alle leggi e alle politiche da adottare. E consentire ai movimenti di rafforzare le proprie rivendicazioni nei confronti di governi e Parlamenti. Per tutti questi motivi, il Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’Acqua, insieme al Dipartimento di Scienze Giuridiche nazionali e internazionali dell’Università Bicocca di Milano, ha elaborato la proposta di un Protocollo Internazionale per il diritto umano all’acqua, lanciando la Campagna Internazionale Waterhumanrighttreaty, aperta a quanti vorranno impegnarsi in difesa dell’acqua e della terra (www.waterhumanrighttreaty.org). 

Fonte: Adista.it 

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