La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 29 settembre 2015

Immigrazione, la nostra risorsa. Un appello-manifesto

Il tema non è nuovo. Alcuni degli scri­venti ne hanno trat­tato sul mani­fe­sto. La sini­stra ha, in Ita­lia, la pos­si­bi­lità di indi­care una solu­zione non con­tin­gente né tran­si­to­ria al pro­blema gigan­te­sco dell’immigrazione. Lo può fare nel migliore dei modi, risol­vendo al tempo stesso alcuni suoi dram­ma­tici pro­blemi demo­gra­fici, ter­ri­to­riali, eco­no­mici e sociali. Noi pos­siamo indi­care agli ita­liani, con­tro la poli­tica della paura e dell’odio, una pro­spet­tiva che non è solo di soli­da­rietà e di umano e tem­po­ra­neo soc­corso a chi fugge da guerre e miseria.
Con le donne, gli uomini e i bam­bini che arri­vano sulle nostre terre noi pos­siamo costruire un inse­ri­mento sta­bile e coo­pe­ra­tivo, rela­zioni umane dure­voli, fon­date su nuove eco­no­mie che gio­ve­reb­bero all’intero Paese. Gli scri­venti ricor­dano che l’Italia sof­fre di un grave squi­li­brio nella distri­bu­zione ter­ri­to­riale della sua popo­la­zione. Poco meno del 70% di essa vive inse­diata lungo le fasce costiere e le col­line lito­ra­nee della Peni­sola, men­tre le aree interne e l’osso dell’Appennino, soprat­tutto al Sud, sono in abbandono.
Sem­pre meno popo­la­zione, in que­ste zone, fa manu­ten­zione del ter­ri­to­rio, con­trolla i feno­meni ero­sivi, sic­ché nes­sun fil­tro e pro­te­zione – come è acca­duto per secoli – si oppone alle allu­vioni che di tanto in tanto pre­ci­pi­tano con vio­lenza nelle valli e nelle pia­nure. Non solo dun­que la gran parte della popo­la­zione, ma la ric­chezza nazio­nale (città e abi­tati, aziende, infra­strut­ture via­rie e fer­ro­via­rie, ecc) è sem­pre più priva, a monte , di difese rispetto ai feno­meni atmo­sfe­rici estremi dei nostri anni. Ma non dob­biamo sol­tanto fron­teg­giare tale minaccia.
Lo spo­po­la­mento, l’invecchiamento di popo­la­zione, la dena­ta­lità delle aree interne costi­tui­sce, in sé, una per­dita incal­co­la­bile di ric­chezza. Ven­gono abban­do­nate terre fer­tili che erano state sedi di agri­col­ture, i boschi si insel­va­ti­chi­scono e non ven­gono più sfrut­tati, gli alle­va­menti di un tempo scom­pa­iono. Al tempo stesso bor­ghi e paesi deca­dono, per­dono i pre­sidi sani­tari, le scuole, i tra­sporti. E in tale pro­gres­sivo abban­dono degra­dano case, palazzi edi­fici di pre­gio, monu­menti, piazze: in una parola un immenso patri­mo­nio di edi­fi­cato rischia di andare in rovina insieme ai ter­ri­tori rurali.
Ebbene, que­ste aree non hanno biso­gno che di popo­la­zione, di nuove ener­gie, di voglia di vivere, di lavoro umano. Que­ste terre pos­sono rina­scere, ricreare le eco­no­mie scom­parse o in declino con nuove forme di agri­col­tura che valo­riz­zino l’incomparabile ric­chezza di bio­di­ver­sità dell’agricoltura ita­liana. In que­sti luo­ghi si può creare red­dito con nuove forme di alle­va­mento, in grado di uti­liz­zare immensi spazi oggi deserti, con­trol­lando le acque interne ora in disor­dine e tra­sfor­man­dole da minacce in risorse. In que­sti paesi può nascere un vasto movi­mento di edi­li­zia da restauro dell’esistente, capace di rimet­tere in sesto il patri­mo­nio abi­ta­tivo. Senza dire che in molti di que­sti bor­ghi anche i nostri gio­vani pos­sono spe­ri­men­tare un nuovo modo di vivere il tempo quo­ti­diano, di sfug­gire alla fretta che svuota l’animo e fram­menta ogni sog­get­ti­vità, di creare rela­zioni soli­dali, di sco­prire la bel­lezza del pae­sag­gio, di curare la natura e gli ani­mali. Si cian­cia sem­pre di cre­scita, mai di arric­chire di senso la nostra vita.
Ebbene in che modo, con che mezzi, con quali forze si può per­se­guire un così ambi­zioso progetto?
La prima cosa da fare è can­cel­lare la legge Bossi-Fini e cam­biare atteg­gia­mento di lega­lità di fronte a chi arriva. Occorre dare agli immi­grati che vogliono restare la pos­si­bi­lità di tro­vare un lavoro in agri­col­tura, nell’edilizia, nella sel­vi­col­tura, nei ser­vizi con­nessi a tali set­tori, nel pic­colo arti­gia­nato. Non si capi­sce per­ché i gio­vani del Sene­gal o dell’Eritrea deb­bano finire schiavi come rac­co­gli­tori sta­gio­nali di arance o di pomo­dori e non pos­sano diven­tare col­ti­va­tori o alle­va­tori in coo­pe­ra­tive, costrut­tori e restau­ra­tori delle case che abi­te­ranno, dei labo­ra­tori arti­giani in cui si inse­die­ranno altri loro com­pa­gni. Ricor­diamo che oggi l’ agri­col­tura non è più un sem­plice set­tore pro­dut­tivo di beni agri­coli, ma è un ambito eco­no­mico mul­ti­fun­zio­nale. Nelle aziende agri­cole oggi si fa tra­sfor­ma­zione arti­gia­nale dei pro­dotti, pic­colo alle­va­mento, cucina locale, com­mer­cio, turi­smo, assi­stenza sociale, atti­vità didat­tica. E’ una rete di atti­vità e al tempo stesso un mondo di rela­zioni umane.
La seconda cosa da fare è avviare e met­tere insieme un vasto movi­mento di sin­daci. Su tale fronte, la strada è già aperta. Mimmo Lucano e Ila­rio Ammen­dola, sin­daci di Riace e Cau­lo­nia, in Cala­bria, hanno mostrato come pos­sano rina­scere i paesi con il con­corso degli immi­grati, se ben orga­niz­zati e aiu­tati con un minimo di soc­corso pub­blico.
I sin­daci dovreb­bero fare una rapida rico­gni­zione dei ter­reni dispo­ni­bili nel ter­ri­to­rio comu­nale: patri­mo­niali, dema­niali, pri­vati in abban­dono e fit­ta­bili, ecc. E ana­loga ope­ra­zione dovreb­bero con­durre per il patri­mo­nio edi­li­zio e abi­ta­tivo. A que­ste stesse figure spet­te­rebbe il com­pito di isti­tuire dei tavoli di pro­get­ta­zione insieme alle forze sin­da­cali, alla Col­di­retti, alle asso­cia­zioni e ai volon­tari pre­senti sul luogo. Se i diri­genti delle Coo­pe­ra­tive si ricor­das­sero delle loro ori­gini soli­da­ri­sti­che potreb­bero dare un con­tri­buto rile­van­tis­simo a tutto il progetto.
Sap­piamo che a que­sto punto si leva subito la domanda: con quali soldi? E’ la rispo­sta più facile da dare. Soldi ce ne vogliono pochi, soprat­tutto rispetto alle grandi opere o alle altre atti­vità in cui tanti impren­di­tori ita­liani e gruppi poli­tici sono cam­pioni di spreco. I fondi strut­tu­rali euro­pei 2016–2020 costi­tui­scono un patri­mo­nio finan­zia­rio rile­vante a cui attin­gere. E per le Regioni del Sud costi­tui­reb­bero un’ occa­sione per met­tere a frutto tante risorse spesso inu­ti­liz­zate.
E qui le forze della sini­stra dovreb­bero fare le prove di un modo antico e nuovo di fare poli­tica, met­tendo a dispo­si­zione del movi­mento i loro saperi e sforzi orga­niz­za­tivi, le rela­zioni nazio­nali di cui dispon­gono, il con­tatto coi media. Esse pos­sono smon­tare pezzo a pezzo l’edificio fasullo della paura su cui una destra inetta e senza idee cerca di lucrare for­tune elet­to­rali. L’immigrazione può essere tra­sfor­mata da minac­cia in spe­ranza, da disa­gio tem­po­ra­neo in pro­getto per il futuro. Così cessa la pro­pa­ganda e rina­sce la poli­tica in tutta la sua ric­chezza pro­get­tuale. In que­sto dise­gno la sini­stra potrebbe get­tare le fon­da­menta di un con­senso ideale ampio e duraturo.

Piero Bevi­lac­qua, Franco Armi­nio, Vezio De Lucia, Alfonso Gianni, Mau­ri­zio Lan­dini, Tonino Perna, Marco Revelli, Edoardo Sal­zano, Enzo Scan­durra, Guido Viale

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