La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 29 settembre 2015

Ma meno tasse non è stare meglio

di Roberto Romano
Il rap­porto 2015 della Com­mis­sione «Riforme fiscali negli Stati mem­bri dell’Unione euro­pea» vei­cola un mes­sag­gio ambi­guo: occorre tagliare le tasse sul lavoro, e spo­stare il fisco su con­sumi, pro­prietà e ambiente per favo­rire la cre­scita. Dall’elenco dei Paesi che dovreb­bero ridurre le impo­ste sul lavoro non manca pra­ti­ca­mente nes­suno: Ita­lia, Bel­gio, Ger­ma­nia, Fran­cia, Olanda, Por­to­gallo, Austria, Fin­lan­dia, Sve­zia, ecc.
Soste­nere che gli impren­di­tori non assu­mono per­ché il cuneo fiscale è pari al 48 per cento, con­tro la media euro­pea del 43, fa sor­ri­dere: il costo del lavoro dell’Italia è agli ultimi posti tra i paesi di area Ocse. Ma il punto non è que­sto, piut­to­sto cosa dob­biamo aspet­tarci dal fisco e quali sono gli obbiet­tivi che deve per­se­guire. Per alcuni le impo­ste e le tasse sono un «cor­ri­spet­tivo» dei ser­vizi pub­blici; altri sot­to­li­neano il ruolo delle tasse per finan­zia­rie ser­vizi che diver­sa­mente i cit­ta­dini dovreb­bero com­prare sul mer­cato a prezzi di mer­cato, appunto; recen­te­mente alle tasse è asse­gnato un ruolo spic­ca­ta­mente re-distributivo.
In realtà, il sistema fiscale non è estra­neo alla strut­tura del sistema eco­no­mico e ai prin­cipi matu­rati nel corso dell’ultimo secolo. I tri­buti si sono sem­pre adat­tati ai modi di pro­du­zione e agli assetti patri­mo­niali emer­genti dal sistema eco­no­mico, come all’evoluzione del diritto. Inol­tre, le spese pub­bli­che e l’erogazione di beni di merito per­met­tono, più di altre misure, la cre­scita reale del red­dito dei cit­ta­dini. In qual­che modo i ser­vizi per tutti senza nes­suna «cor­re­spon­sione» indi­vi­duale, hanno per­messo lo svi­luppo dell’attuale orga­niz­za­zione eco­no­mica. Diver­sa­mente dai luo­ghi comuni — minori tasse uguale mag­giore svi­luppo — un basso livello di tas­sa­zione non signi­fica mag­gior benes­sere. Tanto più la società è com­plessa, tanto più è neces­sa­rio ade­guare non solo il livello del pre­lievo fiscale in gene­rale, ma anche i pre­sup­po­sti di impo­sta. Il livello e la qua­lità (alta) della vita dei cit­ta­dini è legata al livello e al tar­get della tas­sa­zione e, più in gene­rale, al peso delle entrate fiscali sul Pil; si tratta dei diritti presi sul serio (Einaudi).
Sicu­ra­mente c’è il pro­blema di tas­sare in modo uguale per­sone uguali, prin­ci­pio dif­fi­ci­lis­simo da rea­liz­zare, ma ana­liz­zando il peso delle entrate fiscali in Europa, non è dif­fi­cile accor­gersi della rela­zione diretta tra diritti e pre­lievo fiscale. Dove esi­ste un’adeguata pres­sione fiscale si osserva un ade­guato stato sociale e tassi di cre­scita media­mente più alti. Quindi il «dovere» di pagare le tasse ha le sue ragioni nella rea­liz­za­zione di una società più giu­sta: «Se non si fosse strut­tu­rato il diritto posi­tivo, quale situa­zione sociale avremmo oggi e di quale libertà godremmo se attra­verso l’intervento rego­la­tore non fosse pro­mossa l’equità di quello che alcuni eco­no­mi­sti chia­mano lo scam­bio fiscale, e se non si fos­sero garan­titi, insieme ai diritti pro­prie­tari, anche i cosid­detti diritti ’presi sul serio’, cioè i diritti di libertà dal biso­gno?» (Franco Gallo).
Le tasse esi­stono non solo per risol­vere un pro­blema par­ti­co­lare, piut­to­sto sono un par­ti­co­lare eser­ci­zio di sovra­nità dei cit­ta­dini per sod­di­sfare, attra­verso la spesa pub­blica, i diritti col­let­tivi posi­tivi. Quando si sostiene la neces­sità di ridurre le tasse per alcune cate­go­rie di con­tri­buenti occorre pre­stare molta atten­zione. Nel pen­siero libe­ri­sta i tri­buti sono visti come uno stru­mento di finan­zia­mento della spesa per la sicu­rezza e la pro­te­zione dei diritti pro­prie­tari che si rifanno, in genere, alle cosid­dette libertà nega­tive, ma tra­scu­rando, a dif­fe­renza del pen­siero libe­rale, le libertà posi­tive civili e sociali, cioè le libertà frui­bili da cia­scun indi­vi­duo nell’uguaglianza, che tro­vano il loro limite nella libertà degli altri e, soprat­tutto, non ridu­cono l’autorità dello stato legan­dola «all’autorità» dei cit­ta­dini. Per que­sta ragione i tri­buti e le tasse devono essere con­si­de­rati parte del moderno sistema dei diritti posi­tivi, senza limi­ta­zioni di nes­suna natura nella pres­sione fiscale (art.53 della Costi­tu­zione), cioè il legi­sla­tore è legit­ti­mato ad allar­gare l’area della con­tri­bu­zione alle spese pub­bli­che e sociali, con­sen­ten­do­gli di sele­zio­nare i pre­sup­po­sti di impo­sta in ragione della mag­giore arti­co­la­zione della realtà economica.
Que­sta sem­bra essere la policy più ade­guata per rin­no­vare l’azione pub­blica e pro­ba­bil­mente, in pro­spet­tiva, per aumen­tare il sala­rio reale dei lavo­ra­tori. Pec­cato che il fisco sia diven­tato un eser­ci­zio per bul­loni di quartiere.

Fonte: il manifesto 

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