La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 29 settembre 2015

Ingrao, il commosso saluto è l’ultimo

di Andrea Fabozzi
La sini­stra ita­liana che fu comu­ni­sta e qual­che volta lo resta si ritrova ormai soprat­tutto e qual­che volta solo ai fune­rali. E nulla più dell’ultimo saluto a Pie­tro Ingrao, grande ere­tico e un uomo pro­fon­da­mente di par­tito, intel­let­tuale e diri­gente popo­la­ris­simo, il tutto per cento anni di lunga vita, può rimet­tere insieme per qual­che ora le tante sto­rie di chi nel Pci c’è stato, o l’ha votato o magari l’ha con­te­stato da sini­stra. E se la com­mo­zione per la morte di un lea­der che ha lasciato un buon ricordo anche in tutti i suoi avver­sari è tanta, lo è anche per la dif­fusa sen­sa­zione che que­sto saluto sia dav­vero l’ultimo. La morte del vec­chis­simo Ingrao cala il sipa­rio su una sto­ria già chiusa.
Al primo piano della camera dei depu­tati, la camera ardente è alle­stita nella sala che da qual­che anno è inti­to­lata ad Aldo Moro (e nel ’78 toccò ad Ingrao pre­si­dente dell’assemblea di Mon­te­ci­to­rio avver­tire l’aula del rapi­mento del segre­ta­rio Dc, con un discorso che fu cri­ti­cato per­ché troppo breve e senza dibat­tito, ma in quell’ora tra­gica il comu­ni­sta avver­tiva l’urgenza di far nascere un governo, quello Andreotti, che pure non gli pia­ceva). Il primo pic­chetto attorno alla bara sco­perta è quello della Fiom, con Mau­ri­zio Lan­dini. La grande fami­glia Ingrao è siste­mata in una fila di sedie sul lato sini­stro, la sorella Giu­lia, le figlie Cele­ste, Bruna, Chiara e Renata, il figlio Guido, tanti nipoti. Alle pareti le corone di fiori della alte cari­che isti­tu­zio­nali e una sola di par­tito, il Pd. Un ritratto di Ingrao stac­cato dalla «Corea» — la Gal­le­ria dei pre­si­denti — è siste­mato al cen­tro tra una ban­diera del Pci e una della pace. Men­tre si alter­nano i pic­chetti — Ber­ti­notti, Ven­dola e il gruppo diri­gente di Sel, Fas­sina, il pre­si­dente della Regione Lazio Zin­ga­retti e il vice sin­daco di Roma Causi — arriva subito Gior­gio Napo­li­tano. Saluta i parenti con un bacio, resta un po’ in appog­gio sul bastone di fronte al fere­tro, poi si avvi­cina e dà un col­petto a mano aperta sul legno, forse una carezza. Alla Stampa ha detto che «Ingrao è stato un uomo di asso­luta lim­pi­dezza morale, non ha mai com­bat­tuto bat­ta­glie per inte­ressi o ambi­zione per­so­nale»; i due sono stati molto avver­sari nel Pci, divisi da tutto ancora prima del cele­bre dis­senso di Ingrao nel con­gresso del ’66 e fino allo scio­gli­mento del ’90. «Ingrao era per il mono­ca­me­ra­li­smo», trova il modo di ricor­dare il pre­si­dente eme­rito della Repub­blica che oggi è il primo spon­sor della riforma costi­tu­zio­nale di Renzi. Ed è vero, salvo che nella sua costante rifles­sione sui «pro­blemi dello Stato», Ingrao par­tiva dall’esigenza di raf­for­zare par­la­mento e rap­pre­sen­tanza (rac­colto da poco in volume il suo car­teg­gio con Nor­berto Bob­bio): il mono­ca­me­ra­li­smo con l’Italicum è tutta un’altra storia.
La ten­ta­zione di accor­dare il pen­siero di un grande lea­der con il pro­prio è com­pren­si­bile — si faceva anche nel Pci con le posi­zioni di Togliatti, «lo chia­ma­vamo “tirare la coperta”, ha ricor­dato Ingrao nel suo Le cose impos­si­bili -, alla camera ardente arriva Achille Occhetto pre­ce­duto da un fondo sull’Unità ren­ziana in cui sostan­zial­mente rac­conta che Ingrao avrebbe ade­rito alla svolta della Bolo­gnina se solo gliel’avesse spie­gata lui. Renzi è a New York per l’assemblea Onu, il governo è pre­sente con la mini­stra delle riforme Boschi, il vice­mi­ni­stro Morando e il sot­to­se­gre­ta­rio De Vin­centi, che fa anche un turno di pic­chetto. Assenti in massa alla cele­bra­zione uffi­ciale della camera del cen­te­simo com­pleanno di Ingrao, i ren­ziani sta­volta fanno capo­lino: il capo­gruppo del Pd alla camera Rosato, il capo­gruppo al senato Zanda, il depu­tato Car­bone, la pre­si­dente della prima com­mis­sione del senato Finoc­chiaro. Pochi gli espo­nenti dei par­titi di cen­tro e destra che ven­gono a ren­dere omag­gio, il vice pre­si­dente for­zi­sta della camera Bal­delli, l’ex Dc D’Onofrio, Rutelli, Mariotto Segni, Nando Ador­nato che ha tra­scorsi comu­ni­sti. In serata fa il suo ingresso il pre­si­dente del senato Piero Grasso. Ma è soprat­tutto un incon­trarsi a sini­stra, tra i tanti che sono stati ingra­iani almeno un po’, o «mino­ranza di sini­stra» come pre­fe­riva Ingrao. Come Occhetto, del resto, che va incon­tro e si fa rico­no­scere dall’ottantenne Luigi Schet­tini, che è stato una colonna dell’ingraismo meri­dio­nale. Un po’ alla volta arri­vano Gavino Angius, Luigi Ber­lin­guer, Gianni Cuperlo, Wal­ter Tocci, Cesare Damiano, Vin­cenzo Vita, Cesare Salvi, Gior­gio Ruf­folo, Ugo Spo­setti, Wal­ter Vel­troni. Invece entra unita la dele­ga­zione dell’Ars: Aldo Tor­to­rella, Alfiero Grandi e Piero De Siena.
La ceri­mo­nia nel palazzo si pre­sta poco alla par­te­ci­pa­zione popo­lare, ma sono comun­que cen­ti­naia i cit­ta­dini romani che sfi­lano davanti al cada­vere di Ingrao. A tratti davanti all’ingresso prin­ci­pale della camera si forma una pic­cola fila. Molti por­tano un fiore, qual­cuno alza veloce un pugno chiuso. Domani i fune­rali saranno in piazza Mon­te­ci­to­rio, all’aperto. Come quelli di Pajetta, 25 anni fa.

Fonte: il manifesto 

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