La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 30 settembre 2015

La fraternità in monete sonanti

di Roberto Ciccarelli 
Il lavoro? Non esi­ste. Oggi la moneta di scam­bio è il pagherò. Il pre­sente è il debito, il futuro è il pro­fitto di chi mette la tua vita nella sua vetrina con un «Mi piace». Que­sta situa­zione non induce a ribel­larsi, ma a una dispe­rata chiu­sura in se stessi. Ci si avvolge nella coperta dell’Io e si con­ti­nua a sca­vare nella volontà per­so­nale, l’unico bene rima­sto che ha ancora qual­che mer­cato. Sono dispo­ni­bile a lavo­rare e vendo la mia dispo­ni­bi­lità a farlo. A tutti costi, anche gra­tis. Que­sto è il tempo del cini­smo in cui il capi­tale non è solo il mezzo che estorce il lavoro, ma è il lavoro che gli ha con­se­gnato tutto il suo valore. Per­ché non c’è alter­na­tiva, viene pro­pa­gan­danto a reti uni­fi­cata. Non c’è il sala­rio d’un tempo, l’unico gua­da­gno è avere una certa imma­gine di se stessi. Si è fal­liti e ci si crede impren­di­tori di se stessi.
Con que­sta verità, incon­ce­pi­bile per la sini­stra, i sin­da­cati e i discorsi per i buoni demo­cra­tici, si con­fronta il filo­sofo fio­ren­tino Ubaldo Fadini. Il suo ultimo libro è un qua­derno di appunti sulla tra­sfor­ma­zione in atto,Dive­nire corpo (ombre corte, pp.141, euro 13). Fadini è un teo­rico raf­fi­nato, la sua scrit­tura è mag­ma­tica, un flusso di coscienza che oscilla tra let­ture fran­cesi (Deleuze e Guat­tari), posto­pe­rai­smo ita­liano (Chri­stian Marazzi o Andrea Fuma­galli), antro­po­lo­gia poli­tica tede­sca (Arnold Gehlen), filo­so­fia della tec­nica (Simon­don) e l’ecosofia di André Gorz. La sua rifles­sione si con­fronta con il pro­blema più inte­res­sante del nostro tempo: la tra­sfor­ma­zione della sog­get­ti­vità in impren­di­trice di se stessa a cui, ad esem­pio, la rivi­sta Aut Aut ha dedi­cato di recente un numero.
Fadini rifor­mula il pro­blema con il lin­guag­gio mar­xiano: visto che tutto è capi­ta­li­smo, cosa suc­cede al «capi­tale varia­bile» (il lavoro vivo, la sog­get­ti­vità che «fer­menta») quando diventa espres­sione del «capi­tale fisso», anzi è la pro­tesi orga­nica delle mac­chine, dei social media, della finanza? Dov’è la sua libertà, cosa può fare insieme agli altri se non ripro­durre la comune mise­ria asso­luta, quella dell’Io degli «uomini vuoti»?
La situa­zione è dispe­rante. Fadini prova a fare uno scarto, par­tendo dal ricco mate­riale pro­dotto dalla rifles­sione cri­tica dall’Anti­E­dipo di Deleuze e Guat­tari (libro del 1972) a oggi. La sua è un’immersione nella vita al tempo del neo­li­be­ri­smo. Parte dalla tri­ste­mente cele­bre cate­go­ria di «capi­tale umano» e la ribalta in una «car­to­gra­fia socio-esistenziale al ser­vi­zio di pra­ti­che con­crete di sperimentazione».
Il «capi­tale fisso umano» non è come quello ordi­na­rio del capi­tale, il «lavoro morto ogget­ti­vato» messo all’opera dal «lavoro vivo». Esso è il risul­tato del lavoro vivo e dell’attività dell’«individuo sociale». Per svi­lup­parlo, i tri­sti impren­di­tori di se stessi hanno avuto biso­gno di tra­sfor­marsi in un’impresa capi­ta­li­stica per met­tere in opera la fin­zione di un «capi­tale» che viene e va, come le stagioni.
In linea di prin­ci­pio potreb­bero eman­ci­parsi, anche per­ché que­sto capi­tale è un inve­sti­mento su loro stessi, senza il quale il lavoro morto che incar­nano non sarebbe mai all’opera. Fadini esclude che si possa uscire da que­sta situa­zione dirot­tando il desi­de­rio dall’Io al «sog­getto anta­go­ni­sta», sul signi­fi­cante vuoto di una «sini­stra» a tavo­lino, sull’idea dif­fusa per cui il neo­li­be­ri­smo fun­ziona male e che se fosse gestito meglio dallo Stato key­ne­siano ci sarebbe la cre­scita e tutti sta­reb­bero meglio. Quello Stato sot­tin­tende il ricorso a un’autorità ori­gi­na­ria alla quale gli indi­vi­dui si affi­dano (Deleuze-Guattari lo defi­ni­vano Urstaat). Tale pos­si­bi­lità può essere spe­ri­men­tata sul ter­reno etico: ciò che Deleuze chia­mava «potenza» e Marx «lavoro vivo».
Tutto dipende da cosa pos­sono fare insieme que­sti indi­vi­dui oggi ato­miz­zati in sette, infe­lici, inde­bi­tati. Que­sta pos­si­bi­lità oggi è rimossa e irrisa, per­sino dagli diretti inte­res­sati. L’alternativa è affi­data ai con­cetti maiu­scoli di cui si nutre il pen­siero indi­vi­dua­li­stico con­tem­po­ra­neo: il sog­getto, il movi­mento, il lea­der.
Dive­nire corpo di Fadini con­si­glia ami­che­vol­mente di lasciar per­dere e rico­min­ciare la spe­ri­men­ta­zione, tro­vare una fra­ter­nità in que­sta impresa, una sorella nel dive­nire, una musica nella lin­gua, accordi sco­no­sciuti nell’uso della vita a dispo­si­zione, non nella cura del lutto per un lavoro che non c’è.

Fonte: il manifesto 

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