di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini
Un Piano per uscire dalle trappole dell’euro
L’euro è ormai diventato il simbolo di questa Europa “malata del mondo”. Creato sul modello del marco tedesco, ed esteso a un’area continentale, la sua architettura presenta quattro difetti strutturali:
ha eliminato l’uso del tasso di cambio per il riallineamento della competitività dei paesi membri senza sostituirlo con strumenti di riequilibrio alternativi;
non prevede strumenti fiscali adatti per operare adeguate politiche anti-cicliche e impone vincoli eccessivamente restrittivi sulla spesa per investimenti pubblici;
fa sì che i debiti pubblici di ciascun paese membro siano denominati in una moneta che gli stati emittenti non controllano (diventano in effetti debiti in moneta straniera);
determina una politica monetaria (tassi di policy e offerta di moneta) e un tasso di cambio identici per economie fra loro molto diverse.
Attualmente c’è chi (come Wolfgang Schaeuble, il ministro tedesco delle Finanze) vorrebbe imporre una riforma autoritaria del sistema per andare verso una maggiore centralizzazione, verso l’integrazione fiscale oltre che monetaria, garantendo la leadership e la primazia delle nazioni “più virtuose”: tuttavia, l’integrazione fiscale presupporrebbe l’integrazione politica, per la quale, però, non c’è alcuna volontà da parte dei principali paesi.
È ingenuo credere che i principali paesi dell’Eurozona (in particolare Germania e Francia) rinuncino alla loro piena sovranità in campo politico, fiscale, della sicurezza interna ed esterna, e della politica estera. Del resto da parecchi anni l’Unione Europea nei documenti ufficiali non preconizza più un’unione politica. Gli interessi nazionali – e soprattutto quelli degli stati creditori – prevalgono. Il sistema è quindi in una impasse e a costante rischio di rottura.
È ingenuo credere che i principali paesi dell’Eurozona (in particolare Germania e Francia) rinuncino alla loro piena sovranità in campo politico, fiscale, della sicurezza interna ed esterna, e della politica estera. Del resto da parecchi anni l’Unione Europea nei documenti ufficiali non preconizza più un’unione politica. Gli interessi nazionali – e soprattutto quelli degli stati creditori – prevalgono. Il sistema è quindi in una impasse e a costante rischio di rottura.
In campo economico, la UE impone il modello mercantilista tedesco, i dogmi dell’austerità teutonica e del pareggio di bilancio pubblico. Le economie nazionali devono sottostare completamente a queste regole suicide e le politiche economiche sono sottoposte al vaglio preventivo delle istituzioni europee. Si procede con il “pilota automatico” a guida tedesca.
L’Eurosistema odierno, dunque, è ben diverso da quello a cui molti cittadini europei pensavano quando hanno sentito parlare per la prima volta dell’euro come loro moneta unica. L’euro doveva essere un simbolo e un veicolo di maggiore integrazione e prosperità. In realtà, è diventato il maggiore ostacolo al compimento di questa visione: uno strumento di divisione, di egemonia-subordinazione, e di crisi economica che è diventata crisi sociale e che minaccia di diventare grave crisi della democrazia.
Per molti di coloro che hanno coltivato quel sogno, il “Piano A” consiste nel farlo risorgere riformando le istituzioni dell’Unione Europea (Eurobond, fondo federale, mutualizzazione e ristrutturazione dei debiti, democratizzazione degli organi decisionali della UE, etc.). Ma la storia di questi anni di crisi dimostra che gli interessi della grande finanza, le divergenze degli interessi nazionali, la complessità dei processi politici e la rigidità delle istituzioni e dei trattati intergovernativi rendono inverosimile che tale piano di riforme possa concretizzarsi.
Per altre forze politiche, e per alcuni economisti[1] invece la soluzione è l’uscita dall’euro, ma anche questo Piano A potrebbe rivelarsi politicamente e tecnicamente difficilmente realizzabile. Inoltre, a parte i problemi tecnici e giuridici non facilmente risolvibili relativi al complesso processo di fuoriuscita, l’abbandono unilaterale dell’eurozona quasi certamente genererebbe gravi divisioni, instabilità e turbolenza. Passare dall’euro alla nuova lira sarebbe assai più problematico che uscire da un sistema di cambi semi-fissi, come era il Sistema Monetario Europeo. Se l’Italia uscisse dall’euro crollerebbe l’intero sistema della moneta unica. L’importanza e l’ampia diffusione internazionale dell’euro (che è anche la seconda valuta internazionale di riserva dopo il dollaro) renderebbero l’uscita unilaterale dall’euro assai complicata. Praticamente tutti i paesi, anche quelli extraeuropei, sarebbero contrari. Inoltre, i meccanismi tecnici dell’uscita sono difficili da prevedere e realizzare, e ancor più problematico è comunicarli alla pubblica opinione. La rottura unilaterale con l’euro creerebbe inevitabilmente timore e ansietà, e il rischio di fughe di capitali e di corsa agli sportelli bancari.
Per questi motivi, sia le forze che sperano di cambiare l’Europa in senso progressista sia le forze anti-euro hanno iniziato a pensare ad un Piano B[2], e cioè a una serie di azioni attuabili dai membri dell’Eurozona ma ancora dentro il quadro dell’euro. Il Piano B dovrebbe permettere di farci uscire dalla crisi, di produrre una reale ripresa economica, di generare occupazione assicurando stabilità finanziaria, ed eventualmente di creare anche – se e quando le condizioni lo giustificheranno – i presupposti per un’uscita il più possibile “morbida” dall’Eurosistema.
Il Piano B che proponiamo in questo documento è radicale e innovativo, ma nello stesso tempo ci sembra l’unico piano concreto e fattibile in tempi ragionevolmente brevi. Infatti, esso da una parte non richiede l’illusoria riforma integrale dell’Unione Europea e dell’euro e, dall’altra, evita la complessità e i pericoli insiti in una rottura unilaterale della moneta unica. Ancora (necessariamente) dentro l’euro, ma anche oltre l’euro. Il nostro Piano B dovrebbe diventare il Piano A dell’Italia e degli altri paesi europei in crisi.
A livello europeo, la nostra proposta presenta caratteristiche analoghe a quella del “Quantitative Easing del popolo” avanzata nel nuovo programma dei laburisti inglesi guidati da Jeremy Corbyn. Corbyn propone che il QE della Banca d’Inghilterra vada a finanziare non le banche e il sistema finanziario, come è il caso attualmente, ma direttamente i sudditi britannici. Si tratta di un progetto simile a quello del “denaro da prendere nelle buche” proposto da J. M. Keynes per superare la trappola della liquidità, e a quello noto agli economisti come “helicopter money”, cioè come “denaro gettato dall’elicottero” direttamente a tutti i cittadini, senza l’intermediazione creditizia.
È ovvio che noi non possiamo procedere allo stesso modo dei laburisti inglesi, perché la BCE sarebbe contraria a una operazione di questa natura. Tuttavia, la nostra manovra – basata sull’emissione di speciali titoli pubblici (i Certificati di Credito Fiscale, di cui si dirà nel prosieguo) – avrebbe effetti molto simili a quella proposta da Corbyn. Distribuiti gratuitamente ai cittadini e alle imprese, questi titoli conferirebbero nuovo potere d’acquisto che, contrariamente a quanto avviene nel QE britannico e dell’Eurozona, non resterebbe confinato all’economia finanziaria ma ridarebbe ossigeno all’economia reale.
Uno stato dell’eurozona che decidesse di emettere CCF eserciterebbe la propria sovranità fiscale per garantire stabilità e sviluppo in modo da compensare, sia pure parzialmente, la cessione di sovranità economica avvenuta all’atto di creazione della moneta unica.
I Certificati di Credito Fiscale
Proponiamo che i governi nazionali emettano titoli, denominati Certificati di Credito Fiscale (CCF), che danno diritto al loro possessore di ridurre i pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione del paese emittente a partire da due anni dopo la loro emissione[3]. In altri termini, i CCF emessi oggi potranno essere riscattati fra due anni, dando titolo al portatore di beneficiare di un taglio delle tasse o di altre obbligazioni nei confronti dello stato, per un ammontare equivalente al valore facciale dei CCF riscattati.
I CCF, tuttavia, esattamente come tutti gli altri titoli di stato, come i Bot e i CCT, possono anche essere ceduti immediatamente sul mercato finanziario in cambio di euro, in tal modo incrementando la capacità di spesa dell’economia sin dal momento in cui essi vengono emessi. Il loro valore di mercato sarà analogo a quello di un titolo di stato zero-coupon a due anni.
Il governo attribuirà (senza corrispettivo) CCF a cittadini e aziende. Ai cittadini, saranno attribuiti privilegiando ceti sociali disagiati e lavoratori a basso reddito. Per massimizzare l’impatto dell’assegnazione dei CCF sull’espansione della domanda, i CCF potranno essere erogati tramite un’apposita “carta fiscale” e annullati se non spesi dal ricevente entro un anno.
Alle aziende, le assegnazioni saranno attribuite principalmente in funzione dei costi di lavoro da esse sostenute. Saranno inoltre privilegiati gli operatori in settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale, e le aziende che accresceranno maggiormente investimenti ed occupazione. L’attribuzione di CCF alle aziende, correlata ai costi di lavoro sostenuti, ridurrà i costi di lavoro effettivi, ne migliorerà immediatamente la competitività, ed eviterà quindi che l’effetto espansivo sulla domanda interna crei un peggioramento dei saldi commerciali esteri.
Le emissioni saranno tarate in modo tale da recuperare l’”output gap” prodotto dalla crisi. Nel caso dell’Italia, potrebbero partire da un livello pari al 5% del PIL annuo, aumentare gradualmente fino al 10% e successivamente essere modulate in modo da assicurare alti livelli di occupazione delle risorse senza ingenerare tensioni inflazionistiche oltre il livello-obiettivo BCE del 2% o scompensi nei saldi commerciali esteri.
Partendo dagli attuali livelli di domanda depressa e di disoccupazione massiccia, la spesa del maggior potere d’acquisto farà crescere il PIL in misura più che proporzionale rispetto all’emissione di CCF (per effetto del moltiplicatore del reddito, il cui valore risulta particolarmente elevato in caso di forte sottoutilizzo delle risorse). Considerando che il riscatto dei CCF ai fini di riduzione fiscale sarà possibile con un differimento di due anni dall’emissione, la crescita del PIL indotta dal moltiplicatore darà luogo a nuovo gettito fiscale che compenserà il costo fiscale del riscatto, evitando d’incrementare deficit e debito pubblico. Come le nostre proiezioni mostrano, anche con un valore del moltiplicatore relativamente basso (0,8) non si avrebbe peggioramento del rapporto deficit/PIL[4].
Una quota significativa dei CCF attribuiti nell’ambito del programma complessivo sarà inoltre utilizzata a sostegno di iniziative di pubblica utilità: innanzitutto un Piano del Lavoro finalizzato a realizzare infrastrutture immateriali (ricerca, scuola e università, politica attiva del mercato del lavoro, etc.) e materiali (per esempio, opere di riassetto idrogeologico e del territorio). Inoltre, i CCF potrebbero essere utilizzati dallo stato per programmi di rafforzamento e riqualificazione del welfare, di sostegno ai ceti sociali disagiati, e soprattutto per il Reddito di Cittadinanza.
Produrre una reale, forte ripresa economica è particolarmente vitale perché non solo, a sette anni di distanza dal fallimento Lehman, l’Eurozona si trova tuttora in un contesto economico depresso; ma anche perché i grandi fenomeni migratori non sono gestibili in presenza dei livelli di disoccupazione attuali. L’immigrazione può trasformarsi in una grande risorsa se si verifica nel contesto di un’economia e di un mercato del lavoro in espansione. Rischia, al contrario, di innescare pericolose derive sociali se si innesta su una situazione di produzione e occupazione stagnante.
Sul piano tecnico i titoli/moneta che proponiamo potrebbero essere emessi in tempi brevi. Sul piano istituzionale la manovra che proponiamo, essendo basata su titoli fiscali, è perfettamente in linea con i trattati europei poiché in campo fiscale ogni stato è completamente sovrano. Essendo inoltre i CCF dei titoli di stato, la loro emissione non metterebbe in discussione il monopolio della BCE sulla moneta unica. L’euro rimarrebbe l’unica moneta con corso legale. Anche se la UE e le istituzioni europee volessero contrastare l’iniziativa dei CCF, difficilmente potrebbero giustificare la loro contrarietà, perché i CCF sono coerenti con i trattati europei. Infine, l’introduzione dei CCF permetterebbe ai paesi dell’Eurozona di evitare il caos del possibile break-up dell’euro e di non subire nuove traumatiche crisi economiche, sociali e politiche.
Clausole di salvaguardia per la stabilità finanziaria
I CCF non sono una forma di debito. Il governo emittente non s’impegna a rimborsarli, ma soltanto a concedere riduzioni di pagamenti fiscali nel momento in cui i CCF vengono riscattati. Il governo non può quindi essere forzato ad andare in default sull’impegno assunto con l’emissione dei CCF.
Per paesi quali Italia, Spagna e Francia, che emettessero CCF per stimolare domanda interna e recuperare competitività esterna, non si verificherebbe alcun incremento di deficit anche con un moltiplicatore del reddito leggermente inferiore all’unità. Inoltre, se il moltiplicatore superasse l’unità – come i modelli econometrici indicano che sia assai probabile per economie in pesante recessione – il programma genererebbe addirittura risorse fiscali incrementali. In effetti l’emissione di CCF costituisce, per quanto riusciamo a immaginare, l’unica maniera di far crescere l’economia in misura robusta, rispettando i vincoli europei relativi al deficit e alla diminuzione del debito pubblico e garantendo ai mercati il puntuale servizio del debito.
Tuttavia, in caso di difficoltà nel raggiungere gli obiettivi fiscali prestabiliti (ad esempio a causa di condizioni economiche particolarmente sfavorevoli o un valore del moltiplicatore che si rivelasse particolarmente basso), i governi potrebbero attuare una o più delle seguenti azioni compensative (“clausole di salvaguardia”):
Sostenere alcune spese pubbliche sotto forma di CCF (e non di euro)
Effettuare incrementi di imposte ma compensare i contribuenti mediante assegnazioni aggiuntive di CCF
Incentivare i possessori di CCF a differirne l’utilizzo, riconoscendo una maggiorazione di valore dei CCF posseduti (in pratica, un tasso d’interesse corrisposto in CCF)
Collocare sul mercato (in cambio di euro) CCF a scadenza più lunga.
Queste azioni avrebbero effetti assai meno prociclici del tentativo di ridurre i deficit fiscali in contesti di recessione o depressione economica (come è avvenuto soprattutto dal 2011 in poi in molti paesi dell’Eurozona) mediante tagli di spesa o incrementi di tassazione. Al contrario di questi, esse non drenerebbero potere d’acquisto dall’economia, ma si limiterebbero a sostituire un tipo di attività finanziaria (l’euro) con un’altra (i CCF), per valori sostanzialmente invariati.
L’introduzione dei CCF renderebbe più stabile anche il sistema bancario. La ripresa dell’economia ridurrebbe l’enorme minaccia costituita dalle sofferenze bancarie. Inoltre, se le banche detenessero più CCF e meno titoli di debito, gli eventuali rischi di default su questi ultimi influenzerebbero in misura molto minore la loro stabilità finanziaria.
Oltre a ciò, è possibile e auspicabile prevedere che anche i titoli statali di debito, come i BTP e i BOT, possano godere dell’opzione di conversione in CCF. In questo modo si ridurrebbe enormemente l’oscillazione di valore di mercato dei titoli di debito pubblico, in quanto questi sarebbero comunque riscattabili al loro valore nominale come crediti fiscali. In tal modo, si frenerebbe in misura sostanziale la speculazione sui titoli statali di debito.
Una possibile uscita morbida dall’Eurosistema
Le politiche economiche espansive sono tendenzialmente osteggiate dai paesi del Nord dell’Eurozona, in particolare dalla Germania, a causa del loro timore relativo ai rischi d’inflazione (anche se in questo momento il pericolo è proprio il contrario, cioè quello, di scivolare nella deflazione), di crescita del deficit statale e d’insostenibilità del debito pubblico. Ma la manovra con i CCF è concepita secondo il principio del rispetto sostanziale dei livelli concordati di emissione di debito in euro, sia annuo (deficit) che cumulato (stock di debito).
Nel caso in futuro si creassero le condizioni economiche oppure ci fosse la volontà politica di ritornare alla valuta nazionale, i CCF faciliterebbero il processo di uscita dall’Eurosistema, che potrebbe avvenire in forma “morbida” e non deflagrante.
Conclusione
L’emissione e la distribuzione gratuita dei CCF, possono essere decise autonomamente e democraticamente dal Parlamento e dal governo italiano senza la necessità di ottenere preventivamente l’assenso e la collaborazione delle istituzioni europee. L’Italia può e deve uscire dal tunnel della recessione e del debito con le sue sole forze, senza richiedere (peraltro del tutto inutilmente) ai paesi più competitivi, come la Germania, di rivalutare prezzi e salari interni, di peggiorare i loro saldi commerciali o di trasferire risorse finanziarie verso i paesi in difficoltà.
Il nostro Piano B dunque permetterebbe di uscire dalla trappola della liquidità, di ridare fiato all’economia e di creare nuova occupazione, in un quadro di stabilità di bilancio pubblico e di equilibrio della bilancia dei pagamenti. Si tratta anche di ridare fiato alla democrazia e alla politica e di riscuotere un vasto consenso popolare per una manovra espansiva e di svolta che possa finalmente raccogliere l’adesione convinta ed entusiasta della maggioranza della società e del mondo produttivo (lavoratori e aziende). Per questo siamo convinti che il Piano B sia destinato a diventare il Piano A non solo dell’Italia ma di tutti i paesi europei in crisi.
Note:
[1] Si veda, per esempio, Alberto Bagnai “Il Tramonto dell’Euro”, Imprimatur Editore 2012.
[2] Si vedano Sbilanciamoci: Un piano B per L’Europa; Corriere della Sera: intervista a Beppe Grillo, 9 agosto 2015; beppegrillo.it: I Ccf, “moneta parallela” per alleviare una crisi “alla greca”
[3] Questa proposta è esposta in un e-book, Per una moneta fiscale gratuita, che ne analizza e ne approfondisce i contenuti dal punto di vista economico, giuridico-normativo e istituzionale, recentemente pubblicato su Micromega on line, a cura degli autori di questa nota con prefazione di Luciano Gallino. Il nocciolo del progetto di moneta fiscale è contenuto nel libro seminale di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi con prefazione di Biagio Bossone,La soluzione per l’euro. 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana – creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la domanda, Hoepli, 2014.
[4] Si vedano gli esercizi di stima contenuti nelle appendici del secondo e del quinto capitolo dell’e-book di cui alla nota 3.
Fonte: Syloslabini.info
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