di Umberto Baldocchi
Il sistema di elezione dei Senatori – diretta, indiretta o “mista” che sia – è coerente con la sua funzione e con lo spirito della Costituzione? La discussione in corso spazia tra varie interpretazioni, ma non può nascondere una certezza: nella nuova versione dell’art. 2 il Senato non è eletto dai cittadini. Vediamo perché.
Il comma quinto dell’art. 2 del testo provvisorio – il cuore di questa intricata vicenda – recita:“La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge”.
La lingua giuridica non è una opinione: ELEGGERE significa giudicare migliore qualcuno da “innalzare ad una carica”, magari in un elenco di candidati. Invece SCEGLIERE significa solo selezionare tra più possibilità, ma questa valutazione non incorpora l’elezione.
Nella elezione, quindi, la scelta non è la “decisione finale”, ma un passaggio intermedio funzionale a riconoscere l’idoneità di un soggetto a ricoprire una carica. Inoltre, proprio per la sua natura di “atto parziale” non è suscettibile di RATIFICA, perché quest’ultima è una conferma, che presuppone un atto già finale e non parziale.
Ma la complicazione non è finita, perché occorre intendersi su un altro termine: la “conformità”.
Si può prevedere che il Consiglio regionale potrà eleggere come senatori alcuni di loro già eletticome consiglieri; magari selezionando quelli che hanno ottenuto maggiori preferenze. Oppure, quelli indicati in un apposito listino bloccato sottoposto ai cittadini elettori – con modalità definite da una futura legge – senza mai tradire la “conformità” alla scelta dei cittadini. Il fatto è che – qualsiasi sia la soluzione – non si scappa da quanto previsto dal comma 2 dell’art. 2. Dove si specifica con estrema chiarezza che soggetto elettore sono “i consigli regionali ( che) eleggono con metodo proporzionale i senatori tra i propri componenti”.
A questo punto il trucco è scoperto: dietro il paravento della “conformità alle scelte” dei cittadini salta agli occhi la realtà impresentabile dei senatori “nominati” da un corpo eletto per fare altro.
Succederà cosi che il nuovo “senatino” (100 persone) sarà composto da senatori eletti in circoscrizioni più piccole rispetto a quelle della Camera e con un minor numero di preferenze, cioè pari a quelle necessarie ad eleggere un consigliere o un sindaco. Il Senato nuovo sarà così un ennesimo corpo di nominati, anzi di iper-nominati, con lo svuotamento sostanziale della sovranità popolare.
La Costituzione italiana su questo punto è molto precisa: la sovranità, secondo l’art. 1 non “nasce” dal popolo , né “deriva” dal popolo, come avviene legittimamente in altre Costituzioni. Per la Costituzione francese del 1791, “la fonte di ogni sovranità è nel popolo” ( art.3); per la Costituzione di Weimar del 1919 “Il potere statale emana dal popolo” ( art.1).
Per la Costituzione italiana no, è diverso. “ La sovranità appartiene al popolo” ( art.1). Questa è una dichiarazione molto impegnativa, che implica conseguenze precise. Il testo italiano vuol dire che una delle funzioni di vertice della sovranità – la legislazione – non può essere delegata dal popolo ad intermediari che, a loro volta, la delegheranno ad altri.
La riforma in discussione tiene conto di questo principio di sovranità “non delegabile”?
Purtroppo no. E questa grave lacuna si somma alla carenza di legittimità dello stesso Parlamento, che quella riforma deve approvare, segnalata dalla Suprema Corte, come nefasto effetto dell’applicazione della norma elettorale con il quale è stato eletto, dichiarata incostituzionale (“porcellum”).
Come ha detto Massimo Villone (audizione Senato, 1 Commissione, del 27 luglio 2015), la“accertata illegittimità costituzionale del sistema elettorale fondativo della rappresentanza, rende mendaci e ingannevoli i numeri parlamentari che definiscono una maggioranza”.
Fonte: Libertà e Giustizia
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