di José Antonio Gutiérrez D
Nel momento in cui si chiude il cerchio intorno alle forze reazionarie fondamentaliste armate in Siria, il regime di Ankara, che le ha sempre sostenute generosamente durante un quinquennio di “macelleria”, comincia ad innervosirsi. Il suo gioco si sta per concludere, da quando si sono verificate, nell’ordine, la forte irruzione della guerriglia curda del YPG contro lo Stato Islamico, l’intervento russo nel conflitto e la partecipazione determinata delle milizie di Hezbollah nella lotta contro questa variegata alleanza di opportunisti e fondamentalisti in armi che non vogliono altro che far capitolare Assad e reprimere le milizie curde.
Per questi motivi sono stati intensificati i bombardamenti contro i curdi che operano nel nord del Paese, in misura tale da dare chiari segnali di un intervento diretto nel conflitto siriano al fine di prolungare la vita ad un’avventura militare criminosa che non ha prodotto altro che dolore e morte.
Ed è qui che si gettano le maschere. La NATO, rappresentata dalla Turchia, da due giorni conduce bombardamenti spietati sulle milizie curde del YPG, che avanzano a nord di Aleppo verso le città di A’zaz e Tal Rifaat. I bombardamenti, che hanno provocato almeno 23 morti tra i civili, si sono concentrati sulla base area di Menagh, conquistata nel 2013 da una coalizione di “ribelli”, tra i quali partecipava Al-Qaeda (il fronte Al-Nusra) ed altri gruppi che successivamente sarebbero confluiti nello Stato Islamico. Questo è un punto chiave per garantire l’approvvigionamento delle forze “ribelli” al servizio delle teocrazie petrolifere e degli interessi di Stati Uniti e Unione Europea. Ahmet Davutoğlu ha dichiarato di aver informato il Vice Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di questi bombardamenti, e quest’ultimo, sebbene pubblicamente disapprovi l’intervento militare, tuttavia non li ha condannati né ha intrapreso azioni per porre un freno alla Turchia, la quale non sarebbe mai intervenuta senza la certezza assoluta di godere, in ultima analisi, di un appoggio da parte degli Stati Uniti.
Ricordiamo che la NATO aveva dichiarato, nel pieno della crisi con la Russia, che avrebbe difeso a spada tratta la ”integrità territoriale” dello Stato turco, argomento che il regime di Ankara sfrutta per attaccare i curdi, affermando che rappresentano una minaccia per il suo monolitico concetto di unità nazionale. Ciò potrebbe essere solo il pretesto per l’intervento diretto, via terra, delle truppe di Erdogan, ipotesi già minacciosamente avanzata la settimana scorsa.
La facciata della presunta unità contro lo Stato Islamico si rivela quindi una farsa: la Turchia, e con essa la NATO, puntano alla destabilizzazione ed al prolungamento del bagno di sangue siriano, nello stesso momento in cui lottano contro il movimento di liberazione curdo.
Puntando sulla strategia dell’incudine e del martello, nella misura in cui attaccano i curdi in territorio siriano, e si alimentano i gruppi reazionari armati per sterminare le milizie del YPG, la Turchia attacca anche i curdi sul proprio territorio, tentando di reprimerne lo spirito ribelle. Da mesi ormai viene imposto un vero e proprio stato d’assedio ai territori curdi in Turchia, con il dispiegamento di apparati militari e repressivi e attraverso i bombardamenti.
I media occidentali, nello stesso momento in cui si scandalizzavano per la distruzione del patrimonio culturale, storico e archeologico ad opera dello Stato Islamico, in luoghi quali Palmira (Siria), e lo denunciavano ai quattro venti, tacevano invece della sistematica distruzione del patrimonio dell’umanità che sta portando avanti la Turchia nella regione curda all’interno delle proprie frontiere: secondo informazioni della Municipalità di Diyarbakir (10 febbraio 2016) il distretto Sud di Diyarbakir è stato bombardato e le sue mura storiche, dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, sono state severamente danneggiate. Il 70% degli edifici nella zona est della città vecchia sono stati colpiti, e 50.000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa della violenza e del terrore di Stato.
In occidente si è creduto di poter utilizzare i curdi per opporli alle frange fondamentaliste “incontrollabili”, e tuttavia c’è stato un ritorno di fiamma. I curdi sono un soggetto politicamente maturo, con lunga esperienza di lotta per lasciarsi utilizzare come semplici marionette dalle grandi potenze. Quando gli Stati Uniti avviarono la loro strategia volta a ridisegnare gli equilibri in Medio Oriente, illudendosi che sarebbero sorti in tutta l’area dei regimi-fantoccio associati alle teocrazie petrolifere del Golfo e desiderosi di regalare il proprio petrolio in cambio di nulla, non fecero i conti con i curdi e con il loro progetto di socialismo libertario e di democrazia radicale; tanto meno fecero i conti con le enormi forze popolari che la loro strategia interventista finì con lo scatenare.
La verità è che continua ad affiorare un Medio Oriente libertario, che si annuncia nel potere popolare che nasce dal Kurdistan e si irradia in tutta la regione; tuttavia, allo stesso modo, è certo che gli Stati Uniti sono stati incapaci di imporsi ed hanno visto erodere la propria egemonia nella regione, mentre i loro alleati sono stati messi a nudo: nel corso degli ultimi decenni gli sceicchi arabi non sono mai stati così nervosi come adesso. Da qui la violenza del “califfo improvvisato” di Ankara contro i curdi.
Così come la battaglia di Kobane rappresentò la chiave per fermare l’avanzata dello Stato Islamico, oggi la battaglia di A’zaz si presenta come cruciale per sradicare il fondamentalismo armato e per difendere l’espansione, il consolidamento ed il diritto ad esistere del progetto autonomista, libertario e confederale curdo.
Articolo pubblicato su Resumen Latinoamericano/Rebeilón/ il 16 febbraio 2016
Traduzione di Ferdinando Gueli
Fonte: La Città futura
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